Un convegno a Tunisi coinvolge cristiani e musulmani per approfondire la reciproca conoscenza e riflettere sul diverso modo di vivere la fede
Alla luce della decisione governativa della scorsa settimana, che ha imposto il coprifuoco notturno nel Paese del Nord Africa, il momento che fa da sfondo ai lavori è senza dubbio impastato di tensioni, fermenti e di minacce. È, d’altra parte, un’atmosfera che pervade anche l’Egitto e altri Paesi dell’area. L’iniziativa, quindi, ha un valore indubbio e degno di ammirazione per il coraggio con cui la Fondazione desidera, anche in momenti come questo, «studiare l’interazione tra cristiani e musulmani e le modalità con cui essi interpretano le rispettive fedi nell’attuale fase di mescolanza dei popoli, “meticciato di civiltà e di culture”, partendo dalla vita delle comunità cristiane orientali».
La Fondazione veneziana in questi anni, attraverso pubblicazioni, eventi culturali, convegni e scambi a diversi livelli, ha sempre mirato a mettere in evidenza la centralità del dialogo fra le religioni come risposta alle criticità della globalizzazione e dei processi migratori, sottolineando, fra l’altro un tema caro a Benedetto XVI: «Il dialogo interreligioso passa attraverso il dialogo interculturale, perché l’esperienza religiosa è vissuta e sempre si esprime culturalmente: a livello teologico e spirituale, ma anche politico, economico e sociale».
Al centro dei lavori di Oasis ci saranno il futuro dei Paesi dell’area maghrebina, il loro anelito e sforzo di realizzare la libertà, ma anche il destino delle comunità cristiane della zona, sempre più minoranze e sempre più a rischio di fronte a un futuro carico di incognite. «Oggi in Medio Oriente ci troviamo a fare i conti con un movimento di protesta che sta cancellando uno dopo l’altro i regimi. Aggrapparsi a quanto rimane del passato non è una buona strategia. I cristiani locali perciò non hanno altra scelta che scommettere sul movimento democratico».
Il grande nodo lasciato fino ad oggi insoluto dalle rivoluzioni arabe riguarda proprio l’incognita del rischio della scelta fra la dittatura laica o una democrazia dal carattere accentuatamente “islamico”. Ovviamente, non si tratta di trovare soluzioni alternative, si dovrà accettare il compromesso di coalizioni e di negoziati fra le parti, accettando, e questo non è mai facile per noi occidentali, che siano le popolazioni locali a trovare una loro via alla realizzazione positiva dei valori emersi dalle spinte al rinnovamento. È senza dubbio una via tutt’altro che facile, ma che dobbiamo aver il coraggio di rispettare.
D’altro canto, non dovrebbe sfuggire che uno dei problemi fondamentali dell’Europa oggi sta proprio nella sfida che l’Islam pone alla sua laicità, intesa come esclusione del fattore religioso dalla vita pubblica. Se da un lato l’esperienza democratica dell’Europa può offrire alla Tunisia e all’Egitto una chiave per aprire porte importanti al loro futuro, dall’altro le democrazie europee oggi assillate dallo spread, dagli eurobond, dalla crisi in generale, sono chiamate a interrogarsi su cosa significhi la cultura musulmana che è sempre più presente sui loro territori. Proprio grazie ai musulmani, nelle nostre città e nei nostri Paesi ci rendiamo conto che non è possibile privatizzare l’ambito del religioso e sarebbe bene interrogarci, per una questione di reciprocità, su come conciliare la nostra laicità europea alla dimensione pubblica della religione nell’Islam.
Potremmo trovare qui chiavi importanti per leggere i passi da fare per il futuro dell’Europa ed evitare il rischio di imporre ad altri modelli non consoni alla loro cultura e tradizione. Roberto Catalano
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