mercoledì, giugno 27, 2012
Nel libro di Lia Beltrami (Ed. Paoline 2012), l’autrice ci invita a vivere, ad imitazione di Maria e Giuseppe, una spiritualità della speranza, una qualità di vita che sia "teologale" cioè espressione di fede, carità, e soprattutto di speranza.

di Carlo Mafera

Ogni opera letteraria possiede un nucleo, un cuore dal quale si espande tutto il racconto. Forse inconsciamente l’autore scrive tutta la storia solo per esprimere quel concetto. Il Manzoni, per esempio, sembra scrivere i Promessi Sposi solo per raccontare la conversione dell’Innominato e per far risaltare quella meravigliosa frase di Lucia nell’incontro con lui: “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”. E queste parole gli donano una nuova speranza di salvezza, a cui giungerà attraverso la strada della fede. Anche nel libro della Beltrami c’è un passo che condensa tutto il suo significato: “Fidarsi dell’Abbà vuol dire lasciarsi cambiare, accettare che egli smonti ogni nostra sicurezza, e permettergli di entrare nelle spaccature più profonde della nostra anima e della nostra intelligenza per ricreare tutto in un modo nuovo. Fidarsi dell’Abbà vuol dire lasciarsi sorprendere da Lui, accettare soluzioni diverse, impensate e abbandonarsi alla sua tenerezza e alla sua consolazione. Fidarsi dell’Abbà significa essere certi che egli provvederà a ogni nostro bisogno, anche nei sentimenti, e ci ricolmerà di ricchezze di ogni genere.” Ecco, in breve il significato della Speranza cristiana.

Lia Beltrami, scrittrice e autrice di documentari, esperta quindi di storie “on the road” dove il cammino è sempre il protagonista, propone una riflessione su Giuseppe, Maria e Gesù nella loro vita quotidiana, paragonandola alla vita quotidiana di due pellegrini in viaggio verso la Siria alla ricerca di un dialogo interreligioso e al viaggio di un giovane senegalese alla ricerca della libertà. In ogni parte la speranza è il fil rouge che collega gli avvenimenti evangelici con quelli attuali: al racconto evangelico segue la testimonianza di una vicenda di attualità, a testimonianza che vangelo e vita sono una cosa sola.

Negli episodi evangelici e nelle storie quotidiane si connotano sempre e comunque alcune precise caratteristiche: l'attesa, anzitutto, della rivelazione piena e definitiva del Signore; la fiducia nella sua promessa che verrà e dove sarà lui, là saremo anche noi; la pazienza, inoltre, che non cede allo scoraggiamento e che sa perseverare nella sofferenza; la libertà, infine, di agire con e nello Spirito, che consente di muoversi in questo modo anticipando la liberazione totale del futuro.

In un’ epoca come la nostra dove avanzano il nichilismo e il relativismo, in un tempo appiattito sul presente, poco aperto al futuro, in una civiltà dominata dallo stress fino ad apparire depressa, il tema della speranza risulta attuale come un segno dei tempi per la Chiesa. Per il cristiano coltivare la Speranza e trasmetterla agli altri è un preciso dovere e il significativo libro della Beltrami ne è una valida testimonianza. La speranza cristiana - lascia trasparire nelle sue pagine l’autrice - non si può confondere con le illusioni, con la mancanza di realismo, con la fuga dalla durezza del presente. Se la fiducia è riposta in Dio, anche la speranza risulta solida, come risulta evidente dalla citazione su indicata. Da ciò proviene un dinamismo interiore che diventa scelta operativa e disponibilità alla fatica. Molti invece vivono oggi con un vuoto dentro che viene riempito continuamente facendo seguire un'attività ad un’altra, con conseguente stress.

È probabilmente la speranza la virtù che, attraverso la storia e ancor oggi, contraddistingue i cristiani dai loro contemporanei. Diviene allora importante esercitare il carisma della consolazione con il malato, il disperato, per ri-progettare e ri-prendere il volo della speranza. Come pellegrini dentro la storia, siamo chiamati a condividere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne d'oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono» (Gaudium et spes, 1)

La consolazione che Dio ci dona, attraverso il suo Spirito d'amore, e che siamo chiamati a scambiarci reciprocamente, ci rende più forti, ci dà il coraggio di resistere nella sofferenza e sostiene la nostra speranza. La più grande risorsa dell'uomo è l'uomo stesso come risorsa; il suo essere è anche il suo poter-essere che include il suo essere-compassionevole. L'insegnamento dell'enciclica “Spe salvi” ispira e sprona credenti e comunità ad approfondire e ad assumere come stile di vita una spiritualità della speranza, una qualità di vita che sia "teologale", cioè espressione di fede, carità, speranza.

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