domenica, giugno 17, 2012
Si fermano i 280 berretti blu della missione Onu (Unsmis) a causa della escalation di violenza in Siria: troppo rischiosa la missione tra repressione e rivolta armata

Radio Vaticana - Homs è di nuovo sotto le bombe governative e un migliaio di civili, musulmani e cristiani, sono intrappolati nella terza città siriana ormai semidistrutta. Robert Mood, comandante della missione Onu, denuncia un'intensificazione delle violenze armate in tutta la Siria. Gli Stati Uniti annunciano consultazioni con i partner internazionali ''sui prossimi passi verso una transizione politica in Siria, come richiesto dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu''. Da domani, al margine del G20 di Los Cabos in Messico, Obama parlerà di Siria con i colleghi russo Putin e cinese Hu Jintao. Dopo trent’anni di permanenza nel Paese, è stato costretto a lasciare Damasco il gesuita padre Paolo Dall'Oglio, che da Beirut si chiede se il mondo ora resterà solo a guardare.

Nel frattempo il New York Times ha scritto che la Russia sta inviando in Siria sofisticati sistemi missilistici di difesa che potrebbero essere usati per abbattere aerei o affondare navi qualora gli Stati Uniti o altri Paesi occidentali tentassero di intervenire per mettere fine al conflitto siriano. Dell’attendibilità di questa notizia e soprattutto delle possibile vie di azione, Fausta Speranza ha parlato con Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes:
R. - Ad impedire, o quantomeno a scoraggiare, un intervento internazionale di matrice occidentale e araba, tipo quello che è accaduto in Libia. La Siria è un grande cliente di armi russe ed è probabilmente oggi l’unico Stato che possiamo considerare filorusso nella regione. Mosca vuole far sentire la sua voce nel cortile di casa.


D. – Altri stanno in questo momento cercando di far sentire la voce diversamente. Per esempio la Francia preme sull’acceleratore per un cambio di regime in Siria e forse anche per qualcos’altro. Qualcuno dice che ipotizza seriamente un intervento tipo quello in Libia, ma sarebbe possibile?
R. – Intanto, dal punto di vista militare la vedo piuttosto complicata per la Francia da sola o anche per un’alleanza Nato o con più Paesi del Golfo. Innanzitutto, perché la Siria, o meglio il regime siriano, ha degli armamenti molto sofisticati e moderni, che renderebbero difficile una guerra molto più di quanto non sia già stata difficile quella della Libia. L’esperienza della Libia, inoltre, non dovrebbe incoraggiare altri interventi militari, vista la situazione di sostanziale guerra civile che lì perdura.


D. – Che cosa ipotizzare da parte della comunità internazionale in questo momento? Siamo davvero in un momento di buio?
R. – Non mi pare che sia in vista una soluzione, anche perché la questione non è tanto quella del presidente Assad, quanto, da una parte, della minoranza alawita, legata al mondo sciita e all’Iran e, dall’altra, alle opposizioni, al plurale, che sono fra l’altro abbastanza divise fra loro, sostenute soprattutto dai Paesi del Golfo, dall’Arabia Saudita e un pochino meno dall’Occidente. Credo che la partita resterà aperta ancora molto a lungo.

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