Sono migliaia le persone affluite stamani a Srebrenica, situata nell'entità serba della Bosnia ed Eregovina, per partecipare alla cerimonia di commemorazione delle vittime del genocidio di 17 anni fa, costato la vita ad oltre 8 mila musulmani bosniaci.
Radio Vaticana - Il presidente americano, Barack Obama, ha condannato i tentativi di negare il genocidio ed ha espresso soddisfazione per i processi all’Aia dei due principali responsabili del massacro, Ratko Mladic e Radovan Karadzic. Da quel drammatico giorno, l’11 luglio 1995, Srebrenica è diventata una questione di coraggio. Chi non lo ha avuto? Risponde, al microfono di Emanuela Campanile, il giornalista e scrittore Luca Leone, esperto di Balcani:ascolta
R. - Sono sempre gli stessi. Manca ai politici locali, che anzi sguazzano nel nazionalismo e nel negazionismo. E' mancato e manca ai politici internazionali; spesso manca anche ai giudici del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja. Manca ai giornalisti che hanno paura di chiamare il genocidio col suo nome nonostante ci siano quattro sentenze internazionali che riconoscono che quello di Sebrenica del luglio del 1995 è stato un genocidio.
D. – Qual è la lezione di questa vicenda?
R. – Da un lato è che spesso il lato oscuro torna a prevalere nei popoli e nei politici. L’altro grande lato oscuro è il profondo disinteresse e la profonda ignoranza che caratterizza i popoli e i governanti europei. E, al contempo, il fatto che ancora oggi nessuno voglia prendersi le proprie responsabilità. Tutti avevano gli strumenti per prevedere quanto stava per accadere ma nessuno ha fatto mai nulla. Questa gente è stata completamente abbandonata e se non fosse stato per le donne di Sebrenica, oggi probabilmente nessuno parlerebbe di questo genocidio. Sono state loro a scendere in piazza per fare in modo che uscisse fuori la verità.
D. - Una storia nel cuore d’Europa non ancora risolta…
R. – Da un lato è giusto che tutte le carte vengano controllate e che tutto venga soppesato adeguatamente prima di emettere delle sentenze, ma i battenti del Tribunale Penale Internazionale dovrebbero chiudere nel dicembre del 2014. Questo vuol dire che, ad oggi, non ci sarebbe il tempo neanche per arrivare a sentenze di primo grado, sia nel processo di primo grado contro Mladic sia in quello contro Karadzic. E i giudici si trovano nella condizione difficile di dover trovare una soluzione di compromesso per poter fare il loro lavoro.
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