domenica, luglio 22, 2012
Tre settimane all’insegna delle solidarietà nelle favelas del Perù. Le hanno appena trascorse 55 giovani italiani tra i 15 e i 17 anni aderenti alle Missioni MVC del Movimento di Vita Cristiana. Obbiettivo: la costruzione di 21 abitazioni nei luoghi colpiti dal terremoto del 2007, la realizzazione di aree ricreative e di spazi di culto e lo svolgimento di attività al fianco di anziani e disabili della periferia di Lima e di Cañete.

Radio Vaticana - Ad accompagnare i giovani italiani c’erano sette consacrati del Sodalizio di Vita Cristiana, tra loro Fernando Lozada Baldoceda. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – La prima settimana abbiamo lavorato in un quartiere molto povero di Lima, una vera e propria favela, con più di 500 mila abitanti provenienti dalle montagne peruviane: gente che abita in case di paglia o di materiali molto umili. Abbiamo costruito un campetto di calcio in cemento e dei giochi per bambini, insieme ad una grotta per la Madonna. La seconda settimana ci siamo poi spostati al sud di Lima, nella città di Cañete, dove abbiamo costruito 21 case prefabbricate, di legno, di circa 24 metri quadrati, in una favela che si chiama Bello Horizonte: lì abitano in vere e proprie capanne di circa 4 metri quadrati. Abbiamo lavorato insieme alle famiglie e ci hanno aiutato in tutto, anche perché alcuni terreni erano veramente impossibili: era necessario appianare e livellare il terreno, dove verrà poi posto il pavimento. Si lavorava con martelli pneumatici per scavare la roccia. E’ stato veramente qualcosa di molto importante per loro e questo lo si capisce da come ci hanno ringraziati.


D. – Fernando, ventuno case in una settimana non è cosa da poco: questo conferma che, a volte, manca la volontà di aiutare i Paesi in difficoltà…
R. – Sì, manca la buona volontà e la disponibilità: 21 case sono veramente tante. Certo, si è trattato di case prefabbricate e quindi prendendo la mano diventa possibile realizzarle velocemente, ma non avrei mai immaginato in passato che un giorno avrei potuto costruire 21 case! Spero che l’anno prossimo siano molte di più, ma ci vuole la buona disponibilità e la voglia di lavorare duro. I ragazzi lavoravano dalle 9.00 del mattino fino alle 6.00 del pomeriggio, quando non c’era più luce: parlo infatti di una zona, dove non c’è neanche la luce elettrica.


D. – Offrire spazi ricreativi in una favela può aiutare la gente anche nella dimensione spirituale?
R. – E’ una formazione integrale dell’essere umano. Alla fine un’esperienza di spiritualità, di preghiera, di incontro con l’Altro, cioè con Dio, è molto più difficile se prima non avviene un incontro con l’altro, il tuo prossimo, tuo padre, tua madre. Offrendo poi, tra l’altro, ai bambini la possibilità di divertirsi sanamente, si riesce a sottrarli dalle situazioni di abuso che vivono questi bambini, spesso usati per rubare o intrappolati nel mondo della droga…


D. – Cosa ha voluto dire per 55 ragazzi italiani rimboccarsi le maniche e avvicinare una realtà tanto diversa da quella alla quale sono abituati?
R. – Capire che tutto quello che loro danno per scontato non è così scontato e che vivono in una realtà – questo detto con le loro parole – che molto spesso non corrisponde alla vera realtà, ma è una realtà anestetizzata da tutto il benessere che c’è. Per loro è stato ancora più importante e fondamentale ritrovare negli occhi di questi bambini una pace, una serenità, una gioia che loro stessi difficilmente vivono.


D. – Tra l’altro, oltre a dedicare tre settimane delle tanto desiderate vacanze estive ad un progetto solidale, hanno dovuto chiedere alle loro famiglie di pagargli un viaggio costoso…
R. – E’ stato un sacrificio, perché mentre loro si trovavano in Perù a dormire poco, a faticare tutto il giorno, molti dei loro coetanei ed amici più stretti erano al mare, in barca o a fare turismo in qualche bella città del mondo. Questo dimostra che l’essere umano è fatto per donarsi!


D. – “Un’esperienza che ti fa riflettere sul valore della vita e sulla vera felicità”; “una esperienza bellissima anche se dolorosa”; “un’esperienza mai vissuta in Italia”: raccontano Vittoria, Matilde, Federico, alcuni dei ragazzi che hanno partecipato alla missione. Questo conferma quello che tu dici?
R. – Bisognerebbe intervistare tutti loro! Sì, si può essere felici in mezzo alla sofferenza, si può essere felici in mezzo a tante mancanze che molte volte sono veramente superficiali. Cancellare la sofferenza dalla vita umana, penso che sia un assurdo: la sofferenza è qualcosa che ti fa crescere e ti fa capire tante cose!


D. – Le missioni del Movimento di Vita Cristiana non si fermano qui. Come vi finanziate? E’ possibile aiutarvi in qualche modo?
R. – Sì, certo. I ragazzi oltre al viaggio che pagano, e un viaggio in Perù purtroppo costa tanto, versano una piccola quota di circa 300 euro che copre circa il 25-30 per cento delle spese per i materiali. Durante l’anno noi facciamo delle attività – concerti, mostre fotografiche – per autofinanziarci, ma ci appoggiamo molto sulle donazioni private. Si può visitare il sito internet, dove si trova un modulo per fare donazioni: www.missionimvc.com

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