Il sacrificio delle poliziotte che hanno fatto da scorta a chi ha combattuto la mafia deve essere ricordato come l’esempio più concreto di una battaglia che si può vincere
Il mestiere del poliziotto ha sempre suscitato ammirazione per il coraggio di affrontare i gravi rischi che comporta. Quando poi a scegliere di indossare la divisa sono le donne, si crea intorno a loro un’aurea di stupore e di stima: non è certo scontato, infatti, intraprendere un percorso professionale che mette alla prova la figura femminile in un continuo confronto con la forza maschile, eppure spesso sono proprio gli uomini ad apprezzare l’intuito e la perspicacia che molte colleghe dimostrano durante le indagini. In occasione del 20° anniversario delle stragi di Falcone e Borsellino sono state numerose le cerimonie di commemorazione per ricordare i giudici-simbolo della lotta alla mafia e per menzionare le loro scorte e, seppur di riflesso, gli uomini sopravvissuti agli attentati, che invece avrebbero meritato un ruolo più centrale in tutte le parate ricche di inutili sfarzi e banale retorica: focalizzare il ricordo di quanto accaduto attraverso i superstiti sarebbe stato certamente più significativo. Ma un’altra mancanza in queste rievocazioni è stata l’assenza di uno sguardo più approfondito sulla morte delle donne-poliziotto che facevano la scorta e di chi, come Emanuela Loi, deceduta in quel maledetto 19 luglio del 1992, ha perso la vita in nome dello Stato.
Gli anni del maxi-processo erano terribili, la città di Palermo era invivibile e il resto dell’Italia subiva una sorta di “guerra fredda” fra lo Stato e la mafia. Le vittime di questo conflitto sono state non solo coloro che decisero di schierarsi in prima persona per rompere quella trattativa (che dopo vent’anni ancora persiste) ma anche i seguaci degli eroi (fra cui appunto poliziotti e poliziotte). Oggi quel sacrificio è stato vano? La mafia esiste ancora e lo Stato è governato da una classe politica in cui il numero degli indagati è ancora troppo alto. Tuttavia le donne che decidono di “combattere” la mafia rappresentano la bellezza del lato femminile dell’Italia, la forza rigeneratrice di uno Stato che può e deve rinascere. Emanuela Loi e tutte le altre che oggi come allora decidono di difendere gli imprenditori che non intendono pagare il pizzo, i magistrati che non si lasciano corrompere, i politici che non accettano le tangenti sono l’esempio evidente di una speranza che si nutre del loro coraggio. Ricordarle e ringraziarle è un’azione di gratitudine e di stima da parte di una comunità che decide di impegnarsi insieme a loro nella lotta alla corruzione e all’illegalità.
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