Non è perfetta, ma è il più avanzato strumento di giustizia internazionale che abbiamo. E oggi compie 10 anni.
Amnesty International - Il 1° luglio 2002, con la ratifica numero 60, entrava in vigore lo Statuto della Corte penale internazionale. C’erano voluti quattro anni, da quell’afosissimo 18 luglio 1998 di Roma, giorno in cui venne approvato lo Statuto istitutivo di un organo permanente di giustizia internazionale che sarebbe stato chiamato a processare i responsabili di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. La campagna di pressione e sensibilizzazione da parte di migliaia di Organizzazioni non governative riunite nella Coalizione per la corte penale internazionale (oggi sono 2500, di oltre 150 paesi) era partita nel 1994: l’anno del genocidio del Ruanda.
Oggi, i paesi che hanno ratificato lo Statuto sono più che raddoppiati, arrivando a un totale di 121. E giusto due settimane fa ha inaugurato il suo mandato di nove anni la giudice del Gambia Fatou Bensouda, secondo procuratore nella storia della Corte penale internazionale. Prende il posto di Luis Moreno Ocampo e, si spera, aprirà una nuova era nella giustizia internazionale insieme alla prospettiva di una più robusta strategia investigativa.
Il 14 marzo di quest’anno, la Corte ha emesso il suo primo verdetto, nei confronti di Thomas Lubanga, capo di un gruppo armato della Repubblica Democratica del Congo. Una condanna dura, anche se le indagini si erano limitate all’arruolamento e all’impiego di bambini soldato, senza che fossero state esaminate altre denunce a suo carico come quelle relative alla violenza sessuale.
La Corte sta attualmente indagando su possibili crimini commessi in Costa d’Avorio, Kenya, Libia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Uganda e nella regione sudanese del Darfur. Sta inoltre esaminando denunce di crimini in diverse parti del mondo, tra cui Afghanistan, Colombia, Georgia, Honduras, Gaza e Nigeria per decidere se aprire indagini.
Prima di assumere formalmente l’incarico, la procuratrice Bensouda ha annunciato una serie di priorità che avrebbero caratterizzato il suo mandato, tra cui la revisione della qualità e dell’efficacia delle indagini e dei procedimenti, lo sviluppo di una forte politica di genere e la trasparenza delle procedure di selezione di coloro che condurranno le indagini.
Diverse sfide politiche attendono al varco la procuratrice Bensouda. Oltre all’annunciato taglio dei fondi da parte di alcuni governi, negli ultimi anni, l’Unione africana ha adottato misure che hanno messo in difficoltà la Corte, come il rifiuto di cooperare all’arresto del presidente sudanese Omar al-Bashir, col pretesto che la Corte stesse prendendo di mira soltanto gli africani. A giugno, il Malawi ha rifiutato di ospitare il periodico Summit dell’Unione africana, a causa della presenza di al-Bashir. Un segnale importante, anche se si è subito trovata la sede alternativa, in Etiopia.
Uno dei compiti della procuratrice Bensouda dovrà essere quello di garantire maggiore sostegno e fiducia dell’opinione pubblica: un obiettivo possibile, se la Corte mostrerà di essere e sarà effettivamente un imparziale riferimento di giustizia per le vittime di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra dimenticati o ignorati dalle autorità statali.
L’Italia, paese ospitante della Conferenza istitutiva del 1998 e tra i primi 60 ad aver ratificato lo Statuto, sta per terminare – si spera – un lento percorso parlamentare di adeguamento della normativa interna alle disposizioni dello Statuto.
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