venerdì, luglio 13, 2012
Le associazioni chiedono al governo la cancellazione del programma di acquisto dei Joint Strike Fighter

GreenReport - 75.000 firme di cittadini, 650 associazioni, il sostegno di oltre 50 Enti Locali (tra Regioni, Province e Comuni). Le associazioni sono scese di nuovo in piazza per chiedere ancora una volta al governo la cancellazione del programma di acquisto dei Joint Strike Fighter. E' questa l'altra speding rewiew chiesta oggi con la consegna delle firme della petizione contro i caccia che la campagna "Taglia le ali alle armi" promossa da Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Tavola della Pace, una manifestazione che è stata il momento conclusivo della seconda fase di azione prevista dalla campagna. Gli organizzatori sottolineano che «negli ultimi mesi l'attenzione sul tema delle spese militari e del particolare spreco costituito dai caccia Joint Strike Fighter è cresciuta moltissimo anche grazie a tutte le informazioni diffuse dalle associazioni e dai gruppi che hanno sostenuto "Taglia le ali alle armi". Dai problemi tecnici ai costi sempre in aumento, dai dubbi di tutti gli altri paesi partner alla ostinata decisione di continuare l'acquisto da parte del nostro Ministero della Difesa, alle inesistenti "penali" sulla cancellazione dell'acquisto, l'opinione pubblica ha avuto modo in questi ultimi mesi di capire meglio cosa sta dietro al progetto del caccia F-35. E comprendere come si tratti dell'ennesimo e gigantesco spreco di denaro pubblico a sostegno delle spese militari distolto invece da usi socialmente ed ambientalmente più utili e necessari».

Alla manifestazione c'era anche Legambiente ed il suo presidente Vittorio Cogliati Dezza sottolinea che «già nel 2012 si potrebbero recuperare ben 791,5 milioni di euro cancellando i finanziamenti per cacciabombardieri, sommergibili, radar e corsi sulle forze armate. Siamo preoccupati perché il governo Monti, con le decisioni prese finora, si sta dimostrando attento solo alle esigenze delle grandi lobby. Le manovre approvate e i tagli previsti dalla spendy review hanno smontato punto per punto i settori più vivaci dell'economia reale, come nel caso degli incentivi alle rinnovabili e della detrazione fiscale del 55%, e favoriscono un vecchio modello di sviluppo basato sulle fonti fossili. Si taglia drasticamente la sanità, la ricerca e i servizi ai piccoli comuni ma non le spese militari e si riducono di ben poco i caccia F-35 da acquistare».

Negli ultimi mesi l'attenzione sul tema delle spese militari e del particolare spreco costituito dai caccia Joint Strike Fighter è cresciuta moltissimo anche grazie a Famiglia Cristiana e a tutte le informazioni puntuali diffuse dalle associazioni e dai gruppi che hanno sostenuto "Taglia le ali alle armi e la Tavola per la Pace guarda oltre e mette in discussione un affare da 230 miliardi: «Lavoro non bombe. Questo chiedono gli italiani, giovani e anziani. Il lavoro è vita, le bombe la distruggono. Eppure, mentre si continua a tagliare sulla vita della persone, per le armi la spending review non ha inciso come auspicato. Qualche sforbiciata, a onor del vero, comincia ad esserci. Sugli acquisti, sugli investimenti, sulla mini-naja e sulle missioni internazionali, che avrebbero a disposizione, nel 2013, 400 milioni in meno. Sul taglio del personale (che per ora dovrebbe essere non inferiore al 10%) non ci sono ancora numeri certi ma soprattutto non è ancora certo chi pagherà i costi dell'operazione visto che il personale dovrebbe essere messo a riposo con il 95% dello stipendio, in deroga alla stessa riforma delle pensioni del ministro Fornero. A parte il trattamento speciale riservato ai militari, il conto sarà pagato con i fondi del bilancio della Difesa oppure questi oneri verranno scaricati sulle altre amministrazioni dello stato aumentando di fatto la spesa militare?»

Francesco Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace, scrive che « I più informati dicono di un braccio di ferro in corso da tempo all'interno del governo con il ministro della Difesa, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, un uomo che, indifferente alla crisi si oppone, come nessun altro, ai tagli del proprio bilancio e nel contempo sta cercando di ottenere dal Parlamento la delega per riorganizzare in proprio la spesa militare del prossimo decennio continuando così la più anacronistica delle corse agli armamenti. Parliamo del disegno di legge delega di riforma dello strumento militare (denominato DDL Di Paola dal suo primo e unico firmatario) in discussione da alcune settimane al Senato. Parliamo di almeno 230 miliardi di soldi pubblici che verrebbero sottratti ad un paese, il nostro, in grandissima difficoltà. Il disegno del Ministro è avvolto da numeri e da parole che si prestano a più di una lettura: revisione in senso riduttivo, stabilità programmatica, flessibilità di bilancio, invarianza della spesa. Ma la sostanza è inequivocabile. Se il progetto venisse approvato così com'è entrato a Palazzo Madama ci ritroveremmo con un superministro della Difesa, dotato di poteri e autonomia senza pari, capace persino di vendere armi nel mondo. E con uno strumento militare ipertrofico, costosissimo, modellato sui "livelli di ambizione" di qualche generale e di un complesso industriale che sembra dettare le linee politiche ai politici. Uno strumento vicino più ai campi di battaglia che alla Costituzione. Negli ultimi giorni, numerose organizzazioni della società civile e un numero ancora più grande di cittadini hanno deciso di rompere il silenzio che circonda l'iniziativa del ministro Di Paola sollecitando il Parlamento a "pensarci bene". L'appello promosso dalla Tavola della pace lo scorso 22 giugno ha aperto un primo varco nel mondo politico ma ancora più efficaci sono state le mail che centinaia di cittadini hanno inviato direttamente ai senatori della commissione difesa e ai capigruppo di Palazzo Madama. Ne danno conferma i resoconti della riunione della Commissione Difesa del 4 luglio che riportano le proteste "bipartisan" del senatore Carrara (CN:GS-SI-PID-IB-FI) e del senatore Del Vecchio (PD) raccolte dalla presidente Pinotti (PD) secondo i quali l'invio delle mail contrarie al DDL Di Paola "configurerebbe un'indebita pressione sulla Commissione ed i suoi componenti, che dovrebbero, al contrario, vedersi riconosciuta la possibilità di esaminare un provvedimento così delicato liberi da qualsiasi condizionamento". No comment»

Di segno diametralmente opposto l'iniziativa dei Gruppi parlamentari del Partito Democratico delle Commissioni Difesa di Camera e Senato, coordinati dal senatore Casson e dall' onorevole Calipari, che il 10 luglio risposto alle obiezioni dei pacifisti illustrando unaserie di emendamenti al DDL Di Paola che sono stati depositati ieri sera. «Tra questi la cancellazione delle due norme più odiose - spiega Lotti - quella che consentirebbe al ministro della Difesa di vendere armi nel mondo e quella che scaricherebbe sugli enti locali gli interventi di protezione civile delle FFAA. Il PD ha inoltre deciso di avanzare altre proposte che se accolte costringeranno finalmente il ministero della difesa a presentare il suo vero bilancio comprendendo i fondi disloccati negli altri ministeri e a sottoporre a verifica parlamentare tutti i programmi di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale. Il PD ha inoltre deciso di accogliere l'appello della Tavola della pace a cancellare definitivamente la mini-naja destinando il milione di euro risparmiato al servizio civile. Tutte proposte estremamente positive che ora devono passare al vaglio della Commissione Difesa, per passare poi alle altre commissioni interessate e all'aula. Sullo sfondo resta il problema non completamente risolto dell'eccesso di delega che il DDL attribuisce al ministro della Difesa, in assenza di un disegno strategico di ridefinizione del modello di difesa compatibile con le possibilità economiche del Paese e coerente con una nuova idea di sicurezza e una nuova visione del ruolo dell'Italia in Europa e nel mondo».

Lotti conclude: «Opporsi a queste armi e al DDL Di Paola non è affare da pacifisti ma da gente responsabile. Dobbiamo ridurre il debito pubblico e anche la Difesa deve finalmente dare un contributo significativo. Dobbiamo fare i conti con un mondo che sta rapidamente cambiando, riconoscere le nostre responsabilità e decidere con quali strumenti e risorse intervenire. Dobbiamo rimettere in piedi una politica di pace, cooperazione e integrazione che è insieme estera e interna, italiana ed europea. Dobbiamo prendere atto che la prevenzione è meglio della cura, il dialogo è meglio dello scontro, la cooperazione è meglio della guerra, i ponti sono meglio dei muri, la sicurezza umana è meglio della sicurezza armata».


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