Con 34 miliardi di tonnellate di CO2 in un anno il 2011 ha fatto segnare un nuovo record di emissioni. In 11 anni ci siamo giocati circa un terzo di quello che potremmo emettere dal 2000 al 2050 per contenere la soglia del riscaldamento globale entro i 2 °C. L'ultimo “Trends in global CO2 emissions” del Joint Research Centre.
Qualenergia - Anche nel 2011, nonostante la crisi economica, le emissioni mondiali di CO2 hanno continuato a crescere. Dopo una diminuzione nel 2008 e un aumento del 5% nel 2010 sono salite di un ulteriore 2,7%, raggiungendo il record di 34 miliardi di tonnellate. Sono i dati del rapporto annuale “Trends in global CO2 emissions”, redatto dal Joint Research Centre (Jrc) della Commissione Europea e dall’Agenzia per l’ambiente olandese (Pbl). Dal 2000 le varie attività umane, deforestazione compresa, hanno provocato emissioni per 420 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Secondo la letteratura scientifica per contenere il riscaldamento globale entro la soglia dei 2 °C nel periodo 2000-2050 non dovremmo rilasciare in atmosfera più di 1.000-1.500 mld di tonnellate di CO2: in poco più di 10 anni ci siamo già giocati oltre un terzo del "budget" e, se continuiassimo con questi ritmi, supereremmo il tetto massimo in altre due decadi.
I maggiori emettitori l’anno scorso sono stati Cina (29% dei rilasci totali), Usa (16%), UE (11%), India (6%), Russia (5%) e Giappone (4%). I Paesi Ocse hanno rappresentato circa un terzo di rilasci globali, ossia la medesima percentuale di Cina e India assieme. Ma il peso dei Paesi emergenti continua a crescere: le emissioni sono scese del 3% nell'Unione Europea e del 2% negli Stati Uniti e in Giappone, ma sono cresciute del 9% in Cina e del 6% in India.Al momento il dato pro capite del gigante asiatico è arrivato quasi allo stesso livello di quello europeo: 7,2 tonnellate in Cina contro 7,5 in Europa, mentre ogni abitante degli Stati Uniti emette in media 17,3 tonnellate.
Notevole il peso della produzione energetica da carbone. In Cina il suo consumo nel 2011 è cresciuto del 9,7% e il Paese ora è diventanto il maggiore importatore mondiale di questa fonte fossile. Da notare tuttavia che in dieci anni il Paese ha quasi dimezzato la sua carbon intensity, ossia il rapporto tra emissioni e prodotto interno lordo. Tra le cause delle emissioni di CO2 bisogna rilevare anche il notevole peso del gas flaring, cioè la pratica di bruciare in atmosfera il gas inutilizzato che si ottiene nell'estrazione del petrolio: il suo contributo non è diminuito nel 2011 ed è pari circa alle emissioni di un Paese come la Spagna. Negli Stati Uniti le emissioni da gas flaring nel 2011 sono aumentate del 50% per colpa della pratica del fracking (fratturazione) usata per estrarre lo shale-oil, il greggio da scisti.
Qualenergia - Anche nel 2011, nonostante la crisi economica, le emissioni mondiali di CO2 hanno continuato a crescere. Dopo una diminuzione nel 2008 e un aumento del 5% nel 2010 sono salite di un ulteriore 2,7%, raggiungendo il record di 34 miliardi di tonnellate. Sono i dati del rapporto annuale “Trends in global CO2 emissions”, redatto dal Joint Research Centre (Jrc) della Commissione Europea e dall’Agenzia per l’ambiente olandese (Pbl). Dal 2000 le varie attività umane, deforestazione compresa, hanno provocato emissioni per 420 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Secondo la letteratura scientifica per contenere il riscaldamento globale entro la soglia dei 2 °C nel periodo 2000-2050 non dovremmo rilasciare in atmosfera più di 1.000-1.500 mld di tonnellate di CO2: in poco più di 10 anni ci siamo già giocati oltre un terzo del "budget" e, se continuiassimo con questi ritmi, supereremmo il tetto massimo in altre due decadi.
I maggiori emettitori l’anno scorso sono stati Cina (29% dei rilasci totali), Usa (16%), UE (11%), India (6%), Russia (5%) e Giappone (4%). I Paesi Ocse hanno rappresentato circa un terzo di rilasci globali, ossia la medesima percentuale di Cina e India assieme. Ma il peso dei Paesi emergenti continua a crescere: le emissioni sono scese del 3% nell'Unione Europea e del 2% negli Stati Uniti e in Giappone, ma sono cresciute del 9% in Cina e del 6% in India.Al momento il dato pro capite del gigante asiatico è arrivato quasi allo stesso livello di quello europeo: 7,2 tonnellate in Cina contro 7,5 in Europa, mentre ogni abitante degli Stati Uniti emette in media 17,3 tonnellate.
Notevole il peso della produzione energetica da carbone. In Cina il suo consumo nel 2011 è cresciuto del 9,7% e il Paese ora è diventanto il maggiore importatore mondiale di questa fonte fossile. Da notare tuttavia che in dieci anni il Paese ha quasi dimezzato la sua carbon intensity, ossia il rapporto tra emissioni e prodotto interno lordo. Tra le cause delle emissioni di CO2 bisogna rilevare anche il notevole peso del gas flaring, cioè la pratica di bruciare in atmosfera il gas inutilizzato che si ottiene nell'estrazione del petrolio: il suo contributo non è diminuito nel 2011 ed è pari circa alle emissioni di un Paese come la Spagna. Negli Stati Uniti le emissioni da gas flaring nel 2011 sono aumentate del 50% per colpa della pratica del fracking (fratturazione) usata per estrarre lo shale-oil, il greggio da scisti.
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