venerdì, luglio 06, 2012
Un peacekeeper indiano della locale missione Onu (Monusco) è rimasto ucciso a Bunagana negli intensi scontri che da ieri mettono a confronto esercito regolare congolese (Fardc) e ribelli del Movimento del 23 marzo, nella provincia del Nord-Kivu (est)

Misna - La località confinante con l’Uganda è ora sotto il controllo degli insorti e si sarebbe svuotata dei suoi abitanti, passati dall’altra parte della frontiera. Il portavoce della Monusco, 18.000 soldati dispiegati per lo più nell’Est instabile, ha precisato che il casco blu è deceduto successivamente per le ferite riportate nei combattimenti. Eppure nelle ultime settimane la missione Onu aveva inviato rinforzi nella zona di Bunagana, circa 100 chilometri da Goma, di una certa importanza strategica in quanto posto di frontiera con l’Uganda.

Fonti di stampa internazionale sottolineano che le forze ribelli stanno guadagnando terreno e oppongono netta resistenza alle truppe di Kinshasa. Ieri, nel territorio di Rutshuru, i miliziani hanno strappato alle forze regolari la cittadina di Jomba. Il portavoce della società civile della provincia del Nord-Kivu, Omar Kavota, ha riferito che “circa 20.000 persone sono in fuga verso Bunagana e verso Rubare”. Violenti scontri sono stati segnalati anche a Tchengerero.

Il colonnello Vianney Kazarama, portavoce del M23, ha dichiarato che “abbiamo catturato due elementi delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr, ribellione hutu rifugiata dal 1994 nell’est congolese, ndr) che dovevano respingere l’M23 e penetrare in territorio ruandese, tramite la città di Ruhengeri”. Il colonnello Ngeleka Celestin, portavoce delle Fardc, ha replicato che si tratta soltanto di una “guerra mediatica e psicologica per spaventare i nostri valorosi soldati”.

Da inizio aprile l’Est della Repubblica democratica del Congo è ostaggio di nuove violenze provocate da soldati ammutinati, per lo più ex ribelli del Congresso nazionale di difesa del popolo (Cndp, tutsi) del generale latitante Bosco Ntaganda – ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia – che rivendicano la piena attuazione degli accordi firmati nel 2009 col governo di Kinshasa grazie ai quali erano stati integrati nell’esercito. Rapporti dell’Onu e di organizzazioni internazionali hanno dimostrato il sostegno diretto del governo di Kigali alla nuova ribellione. Dall’inizio delle ostilità gli operatori umanitari hanno registrato più di 250.000 sfollati interni mentre altre decine di migliaia si sono rifugiati nei confinanti Rwanda e Uganda.

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