La situazione attuale in Siria ha bisogno della leale volontà di pace delle parti in causa
A Ginevra, il 30 giugno scorso, era stato unanimemente accettata da tutte le parti in causa una risoluzione che prevedeva il graduale passaggio in Siria verso un sistema pienamente democratico. Assad aveva accettato il documento finale di Ginevra e aveva nominato un suo rappresentante per avviare la transizione con l’opposizione e preparare la sua uscita di scena, a patto che avvenisse in maniera sicura e senza vendette settarie. Ma successivamente il piano è stato sconfessato dalla dissidenza armata e ormai sembra chiaro che la guerra imperversi ancora perché l’opposizione sente a portata di mano la vittoria e vuole ottenerla senza condizioni. Per questi motivi, il 19 luglio scorso la Russia e la Cina hanno posto nuovamente il veto alla risoluzione ONU che prevedeva un inasprimento delle sanzioni ma che soprattutto avrebbe anche aperto la strada (senza ulteriori delibere) all’intervento armato: secondo il rappresentante della Cina il documento da approvare era imperniato sulle pressioni da esercitare nei confronti del regime ma senza nulla di analogo a carico degli insorti, cosa del tutto inusitata dopo il terribile attentato a Damasco che aveva causato la morte di alcune delle più alte cariche dello stato.
La situazione in Siria la conosciamo tutti così: da una parte un governo sanguinario e dittatoriale che fa continua strage di civili e dall’altra la popolazione insorta e vessata. In realtà il conflitto siriano è causato almeno in parte da un ambiguo comportamento degli attori principali. Succedanea a questa situazione è la guerra combattuta dalla comunità internazionale contro la Siria con le armi dell’embargo (che ha conseguenze gravissime per la popolazione civile) e con l’appoggio logistico e politico ad uno solo dei gruppi di opposizione. Le Figaro riferisce che è certo che Francia, Usa, Turchia e i Paesi del Golfo riforniscono gli insorti anche di armi, e in particolare l’Arabia Saudita sta fornendo ingenti quantità di armi anticarro; il New York Times si spinge oltre, sostenendo che le posizioni dei depositi e dei loro destinatari sono coordinati sul posto direttamente da personale della CIA.
Tuttavia nonostante queste ingerenze lecite e illecite, senza l’approvazione della risoluzione ONU e senza una ‘exit strategy’ diplomatica condivisa che tuteli tutte le parti, Assad non se ne va, almeno per ora. A chiedere la sua estromissione non è più un semplice e spontaneo moto di popolo: oltre ai siriani armati contro il governo di Damasco vi sono ormai migliaia di combattenti provenienti da diversi paesi (Pakistan, Afghanistan, Tunisia, Libia, Somalia, Giordania, Algeria, Palestina e Libano). E’ da considerare anche che l’opposizione armata non rappresenta tutta la popolazione, che al contrario appoggia per la maggior parte ancora il regime, e non perché sia favorevole alla dittatura ma perché nel caos attuale Assad rappresenta agli occhi della gente l’ordine e la sicurezza.
Il recente attentato terroristico al consiglio di sicurezza siriano, rivendicato dall’esercito libero siriano, potrebbe essere stato aiutato dal supporto di intelligence esterna. Secondo il quotidiano Al-Akhbar di Beirut e la tv Libanese Al-Manar, non si è trattato del suicidio di un kamikaze: per compiere l’attentato è stato utilizzato un ordigno di almeno 40 kg di esplosivo preventivamente nascosto nella sala delle riunioni, (la qual cosa non è evidentemente facile da realizzarsi). Al di là degli addebiti morali e materiali, non si capisce come si possa pensare che simili metodi terroristici possano portare nel paese mediorientale la democrazia e un ridente futuro, né si comprende come simili azioni possano rispecchiare la nuova politica lanciata da qualche tempo dall’ONU per proteggere i diritti umani e le libertà individuali più che la pace tra gli stati. La crisi siriana ormai è diventata il terreno di uno scontro che deciderà le regole del gioco nelle relazioni internazionali del futuro.
Un particolare non sfugge: ogni momento in cui si è riaccesa la speranza di una fine delle ostilità e di una soluzione diplomatica è stato contraddistinto da un’acutizzazione della violenza, immediatamente ed esclusivamente addebitata all’esercito siriano nonostante l’assenza totale di indagini di commissioni indipendenti. Insomma sembra si sia fatto di tutto per far precipitare la situazione, non supportare i tentativi di pace di Kofi Annan e suscitare ulteriore tensione. Che dire per esempio del fatto che mentre era presente in Siria solo uno sparuto gruppo di osservatori dell’ONU e mentre Annan annaspava sulla via della mediazione, a ridosso della Siria si è svolta ininterrottamente dall’inizio dell’anno una colossale esercitazione della Nato? E’ stata messa in atto col chiaro scopo di ammonire il presidente siriano, come eloquentemente esprime il nome, «Leone all’Erta» (El-Assad el-Mutaahib). Ce ne siamo accorti solo quando un velivolo è stato abbattuto dell’aviazione turca impegnata in esercitazione di ricognizione sulla Siria. Anche in questo caso è superfluo dire come sia pericoloso e cosa significhi un simile dispiegamento di forze a ridosso di un paese in guerra.
Di fronte alla quotidiana conta dei morti e alle nefaste e drammatiche conseguenze dell’appoggio incondizionato ad una sola delle fazioni in lotta, non è fazioso domandarsi se non fosse possibile un’altra e più utile via per la riconquista dei diritti sociali e civili della popolazione siriana. Neanche la presenza di Al Qaida o la presenza numerosa dei jadisti, ormai ampiamente documentata, è stata sufficiente a far riflettere. L’inutilità del protrarsi di questo conflitto è evidente anche nel fermo giudizio che la Chiesa ha espresso tramite un comunicato del 19 luglio 2012 della CCEE (il Consiglio della Conferenza Episcopale Europea: “Questo conflitto non può che portare con sé inevitabilmente lutti, distruzioni e gravi conseguenze per il nobile popolo siriano. La guerra è una via senza uscita. La felicità non può che essere raggiunta insieme, mai nella prevaricazione degli uni contro gli altri”. Da qualsiasi parte venga e qualunque sia la bandiera, il modo attuale di guardare all’uomo e alla sua dignità non porterà mai ad alcuna liberazione.
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