lunedì, luglio 30, 2012
Una delegazione di alcune decine di lavoratori dell'Ilva di Taranto è entrata nell'aula del consiglio comunale del capoluogo ionico, dove dovrebbero essere prese iniziative sulla delicata vicenda dello stabilimento, su cui grava un provvedimento di sequestro disposto dalla magistratura.
 
Radio Vaticana - Per ora il sequestro degli impianti è stato solo notificato ma non eseguito e si aspetterà il Tribunale del Riesame, fissato per il 3 agosto, prima di decidere cosa fare. Oggi a Taranto non ci sono proteste e all’Ilva si sta lavorando normalmente. Intanto, i custodi amministrativi nominati dal Gip sono arrivati nello stabilimento e sono a colloquio con il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante. All’Angelus, ieri, il Papa ha lanciato un appello perché si tuteli sia il diritto alla salute sia quello al lavoro. Parole “di grande conforto”, ha detto l’arcivescovo di Taranto mons. Filippo Santoro. Parole accolte molto positivamente dalla gente, come ci conferma al microfono di Debora Donnini, padre Nicola Preziuso, direttore dell’Ufficio pastorale sociale della diocesi di Taranto e cappellano dell’Ilva: ascolta

R. – E’ stato accolto con una grande sorpresa e una grande soddisfazione perché, hanno detto, il Papa ha pensato a noi. Questo monito del Papa ci trova in sintonia con quello che da tutti era auspicato da anni, cioè che il tema “Taranto” fosse assunto a livello nazionale. Questo dramma è una conseguenza di qualcosa che è a monte, che è molto grave, cioè il fatto che tra la fabbrica e la città si sia consumata sempre di più una frattura. L’Ilva ha portato una cultura industriale e la difficoltà della fabbrica nei riguardi del territorio è che purtroppo non si è fatta carico delle problematiche del territorio.


D. – Adesso si attende la decisione del Tribunale del Riesame sul sequestro: cosa chiedono gli operai e anche voi?


R. - Al Tribunale del Riesame si arriva con un protocollo di intesa siglato appunto il 26 luglio tra il ministro Clini, la Regione e la Provincia, cioè per la prima volta, dopo tanti anni, tutta la classe politica si trova unanime verso un obiettivo comune: salvare l’occupazione e salvare il tema della salute. Questa riconciliazione è autentica, per cui che cosa si propone: aprire un tavolo, riuscire a mettere in campo le migliori tecnologie e attivare risorse economiche. Lo stabilimento sta in piedi da più di 50 anni. La situazione dell’impatto ambientale proprio negli ultimi anni ha avuto un’evoluzione positiva molto importante, non conosciuta, molto banalizzata - che non è giusto - però è lo Stato che deve in qualche maniera porre riparo a una trascuratezza, oltre all’attuale proprietà dell’Ilva ha già dichiarato di seguire i dettami della magistratura. Come Chiesa abbiamo proposto intanto, la sera del primo agosto, una fiaccolata, quindi un incontro di preghiera.


D. - C’è timore per una possibile chiusura degli stabilimenti. Questa sarebbe una decisione drammatica, anche se il diritto alla salute chiaramente è fondamentale…


R. – Sì, per i seguenti motivi: innanzitutto vanno in crisi 20 mila famiglie, con tutto l’indotto. Un’altra crisi è derivata dal fatto che l’obiettivo della fabbrica non era solo la produzione, quando fu installata, ma anche quello di innestare una cultura industriale che trova nella capacità di produzione il cambiamento culturale anche del nostro Sud: in contrapposizione alla cultura industriale c’è la cultura clientelare. Quante persone in tutti questi anni hanno potuto permettersi di formare una famiglia, di avere una vita dignitosa… Allora un dialogo può dare la possibilità di una nuova fase in cui la dimensione dell’impatto ambientale venga presa come cambiamento di stile di vita.


D. - Chiedete in pratica che gli stabilimenti non vengano chiusi ma si proceda al più presto ad una bonifica?


R. – La bonifica è possibile. Si tratta di prendere le migliori tecnologie e da subito metterle in atto perché è giusto! E' vero, la gente perde la salute, ha perso la salute, specialmente nella parrocchia del rione Tamburi in cui vivo dal ’79. Non è che non abbia vissuto sulla mia pelle quel drammatico impatto ambientale, però c’è anche da dire che nel ’79-’80, la situazione delle polveri, la situazione dell’aria che non si poteva respirare, era almeno 10 volte superiore a quella di adesso. C’è stata un’evoluzione, però quando c’è animosità alla fine si estremizza e estremizzando non si arriva da nessuna parte.


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