La testimonianza da Londra di un giovane italiano, moderno emigrante
Vivo a Londra dal 2006, e la vita da immigrato, a meno che non sia vissuta in prima linea, non può essere compresa pienamente. Vi propongo di leggere una poesia dello scrittore Cileno Pablo Neruda, intitolata “Lentamente Muore”. Questa poesia mi è cara, e le sue parole mi sono venute spesso in mente qui a Londra (specialmente quando era appena arrivato) e le ho utilizzate per sopportare la solitudine e la lontananza da amici e familiari. La prima volta che mi sono imbattuto in questa poesia fu quando la stampai per regalarla ad un amico che ostentava a trasferirsi a Londra, per paura di non farcela e dover quindi tornare indietro. Io vivevo già da qui da 4 anni, e non concepivo come un ragazzo della mia età (22 anni a quel tempo) potesse decidere di rinunciare a qualcosa senza nemmeno averci provato. Oltretutto la mia presenza qui avrebbe dovuto rasserenarlo: essendo già inserito, l’avrei sicuremente aiutato ad ambientarsi a Londra. Percependo questa sua paura, quando tornai in Italia in vacanza gli donai una copia della poesia. Dopo pochi mesi, contro ogni pronostico, il mio amico prese il volo e mi seguii oltremanica. Tuttora mi ripete che le parole di Neruda furono uno stimolo fondamentale nella sua scelta, e tutt’ora la poesia di Neruda è appesa in camera sua, qui a Londra.
Tornando a me, questa poesia mi è servita recentemente come spunto per cambiare vita, per rilanciarmi. Lavoro in un’azienda dove vengo trattato male, preso in giro in quanto italiano (non siamo ben visti all’estero), non sono valutato e mi vengono assegnate mansioni che non mi competono. Invece di cercare di rinnovarmi, ri-inventarmi un presente, per un anno e mezzo non ho saputo fare altro tranne che lamentarmi con familiari ed amici, trascinando a casa i problemi lavorativi. Qualche mese fa, mentre leggevo la poesia di Neruda, inconsciamente mi venne in mente un detto popolare bergamasco che dice che “quando si sta affogando, bisogna bere un po d’acqua per non soffocare”. In quell’istante mi sono reso conto che ero già ubriaco di problemi e sofferenze dovute al lavoro, non volevo intaccare anche l’umore di amici e parenti.
Come dice la poesia, “muore chi non capovolge il tavolo”. Spesso mi chiedo come mai, visto che ero infelice, non abbia lasciato subito il lavoro. Il problema è che io ero abituato “al nero su bianco”, ovvero alla mia busta paga, che era regolare a tempo indeterminato e mi garantiva sicurezze per il presente. Neruda dice saggiamente che le emozioni fanno di uno sbadiglio un sorriso. Vi garantisco che quando quando si è infelici sul lavoro, le nostre ambizioni svaniscono ed iniziamo a lavorare come delle macchine, senza passione e cuore, solamente per raggiungere il traguardo della paga a fine mese. La mia salvezza è stata rendermi conto che non potevo continuare così, perché di acqua ne avevo già piena la bocca e un cambio era necessario. Desiderare di migliorarsi è una buona medicina: se non crediamo in noi stessi, sarà sempre difficile ottenere qualcosa o anche essere felici in questa vita. Oltre all’infelicità, sentivo dentro di me il desiderio di essere apprezzato, di valere di più.
Finalmente, qualche settimana fa ho deciso di consultarmi con un amico che mi ha assisito nello scrivere la mia lettera di dimissioni, ovvero il mio “pass per la libertà”. Come di consuetudine ovunque (specialmente qui a Londra), nella lettera, con molta formalità, ho ringraziato la titolare per la possibilità datami, augurandole buoni auspici per il futuro (ricordo bene una frase di mio nonno, che mi diceva che “le porte bisogna lasciarle sempre aperte”). Ora sono felicissimo perché appena ho dato le dimissioni ho ricevuto molte offerte di lavoro, ed ho quindi avuto il “lusso” (con i tempi che corrono) di poter scegliere la mia nuova occupazione tra tre differenti proposte. Credo che Neruda avesse proprio ragione nel dire che l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità. E’ vero che la vita è un dono divino, piena di difficoltà ed ostacoli, ma sono sicuro che spetta poi a noi poi prenderne il controllo e giocarci tutte le chances al meglio.
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