Dal Meeting di Rimini ancora una sollecitazione al cambiamento
Chi ha visitato il meeting negli scorsi anni probabilmente ha avuto modo di visitare la “Pasticceria Bar dei carcerati” dove alcuni detenuti distribuivano caffè, cappuccini e soprattutto confezionavano e vendevano ottimi prodotti dolciari. L’esperienza dello ‘stand dei carcerati’, ripetuta negli anni, approfondita da convegni, testimonianze e mostre su argomenti legati alla detenzione, ha dimostrato che è possibile intendere in un nuovo modo di scontare la pena nel rispetto della dignità umana. Autrice di questo tentativo è una cooperativa di volontari, la “Giotto”, che da 15 anni è presente nella casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova dove offre lavoro e facilita il recupero e il reinserimento dei detenuti (è una delle cooperative del consorzio “Rebus” )
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Era il 2008: l’iniziativa al Meeting venne accolta positivamente sia da parte dei detenuti che vi parteciparono sia da parte dei visitatori. Ad applaudire la positività di questa iniziativa, testimoniata da commoventi testimonianze dei carcerati, venne anche il Ministro della Giustizia Alfano, che naturalmente si mostrò entusiasticamente soddisfatto dell’esperienza e la additò come esempio da diffondere. La sensazione di chi , come me, da anni frequenta il Meeting era che di lì a poco finalmente qualcosa sarebbe cambiato.
Purtroppo non è stato così: sappiamo che da allora la situazione dei penitenziari, anziché migliorare, è ulteriormente peggiorata. I dati sono noti: i detenuti in Italia sono oggi circa poco più di 70mila, di cui il 50% circa in attesa di giudizio. Mentre la capienza massima dei nostri istituti di pena è di 43mila posti, il sovraffollamento medio è del 150%. Se confrontiamo questi dati con gli altri paesi europei abbiamo il non invidiabile primato del sovraffollamento ed anche quest’anno abbiamo collezionato un'altra condanna della Corte europea dei diritti umani; è l’indice della precarietà della situazione che, oltre a contraddire le finalità della pena, porta a conseguenze gravissime: un dato assai significativo sono i 32 suicidi tra i detenuti e i 7 tra gli agenti di custodia verificatisi dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane.
Non si capisce perché per la soluzione di questo problema le autorità non imboccano ancora la via giusta. Perciò se ne è parlato ancora qui al Meeting: “Il carcere ti cambia in meglio o in peggio. Cifre e statistiche dicono in peggio. Il dato è che il 90% di chi esce dal carcere commette un nuovo reato” ha detto Nicola Boscoletto, presidente del consorzio Rebus aprendo l’incontro “Vigilando redimere. Quale idea di pena nel XXI secolo?”. Eppure l’esperienza di “Rebus” funziona, ed è interessante capire soprattutto perché: “Chiudere per 22 ore al giorno una persona in cella non basta. Condannarlo per 22 ore al giorno a non fare nulla per anni significa rispondere ad un male con un male più grande. Il lavoro e quindi il rapporto con l’altro offrono invece una dimensione di senso alla pena che stai scontando”, spiega Boscoletto.
Allora perché non applicare tale modello su tutto il territorio nazionale? La risposta delle autorità è che non ci sono i soldi, ma sembrerebbe che non sia così: lo Stato recentemente ha stanziato 110 milioni di euro per l’acquisto di braccialetti elettronici da applicare ai detenuti in permesso e di questi ne sono utilizzati solo 14. Per portare educazione e lavoro nelle carceri sono invece riservati solo 18 centesimi a persona al giorno, contro i 250 euro individuali spesi per le spese connesse con il mantenimento. Questi dati rattristano: se non mettiamo la centralità della persona sempre al primo posto ci perdiamo tutti. Lo ha sottolineato Giovanna Maria Pavarin, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Venezia, che ha sottolineato che “esiste un’opinione pubblica che pensa che il carcere deve solo ‘contenere’ chi ha infranto la legge”. Tuttavia, ha considerato che questa mentalità è molto lontana dal nostro dettato costituzionale, il quale prevede non solo condizioni umane di detenzione, ma indica come fine ultimo della pena il recupero.
Al convegno è intervenuto anche il senatore Luciano Violante, per il quale è fondamentale garantire condizioni di detenzione civili e umane: “Noi non possiamo pensare di cambiare il carcere e il concetto di pena se non avviamo un profondo cambiamento culturale nella nostra società. Infatti da voi cattolici ho imparato una cosa: le persone possono cambiare”.
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