martedì, agosto 21, 2012
E’ la statunitense Harvard la migliore Università al mondo e sono statunitensi anche altre 7 delle prime 10, tra cui Stanford. Le altre 3 si trovano in Gran Bretagna: Oxford, Cambridge e Imperial College London.  

Radio Vaticana - Resta anglosassone il primato fino al 20.mo posto dove si trova la giapponese Università di Tokyo. E' questa la classifica mondiale delle università secondo la Shanghai Jiao Tong Università, unanimente riconosciuta per il suo rigore, i cui dati sono stati pubblicati in questi giorni con la ricerca Academic Ranking of World Universities. L’Italia, culla storica della tradizione universitaria, non compare tra le prime 100. Le Università di Pisa e La Sapienza di Roma compaiono entro le prime 150, dopo l’Università sudafricana di Cape Town, al 103.mo posto. Per numero di Atenei riconosciuti tra i migliori 400, dopo gli Usa che ne contano 150, compare la Cina con 42 istituti. Della nuova geopolitica del sapere Fausta Speranza ha parlato con l’economista Umberto Sulpasso, docente universitario negli Usa e in India e promotore di una rilevazione del Prodotto Nazionale Sapere, adottata dal governo di New Delhi: ascolta

R. – Ci sono conferme in termini di numeri: gli Stati Uniti da tempo sono al primo posto; l’Asia va avanti, l’Europa è stazionaria … Però, in chiave di geopolitica direi che invece le considerazioni da fare sono altre. La politica del sapere anche negli Usa è in ribasso, perché non c’è il sostegno da parte del settore pubblico che era esplosivo addirittura negli anni Settanta e poi negli anni Ottanta e Novanta. Mentre a livello di politica del sapere, il fenomeno invece veramente nuovo è la straordinaria spinta che i Paesi asiatici stanno dando al privilegio delle università. E si spiega la bassa posizione dell’Europa, perché la politica del sapere in Europa è nettamente in ribasso: siamo tutti presi dai deficit pubblici e non ci rendiamo conto che l’emergenza principale è l’emergenza-sapere.

D. – Costa sempre di più andare all’università. Le tasse universitarie aumentano. In Paesi come la Gran Bretagna abbiamo visto gli studenti scendere in piazza…

R. – In Gran Bretagna e anche in California, che è stata un po’ la patria dell’università a basso prezzo, sono addirittura triplicati i costi di accesso all’università. Però, bisogna sempre ancora ricordare che il titolo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti dà quasi immediato accesso al posto di lavoro, e va visto in chiave – appunto – di costo-rendimento, se così posso dire.

D. – Sì, però quello che sembra è che gli Stati fanno sempre meno, investono sempre meno per il sapere e chiedono ai privati di spendere di più per il sapere …

R. – Gli Stati non solo chiedono ai privati di spendere di più, ma spendono molto meno. Questa è un po’ la crisi generale di tutto il mondo occidentale. Non così nell’Asia, dove invece gli interventi dello Stato sono sempre maggiori e sempre migliori. Un esempio clamoroso è quello della Cina dove si sta investendo moltissimo nelle università, tant’è vero che il numero dei ph.d. (dottorato di ricerca, corrispondente al doctor of philosophy da philosophiae doctor), il numero dei degree, dei titoli che vengono realizzati è in netta crescita. E lo stesso succede in India, dove addirittura è stato deciso di calcolare il Prodotto nazionale del sapere, che è un fatto assolutamente nuovo. E’ una rilevazione che diventa un riferimento importante sia per gli investimenti pubblici sia per il costo che i privati sostengono per accedere all’istruzione universitaria.

D. – Da economista, ma con lo sguardo sulla geopolitica che abbiamo tenuto finora, ci dice che cosa significa per l’Occidente perdere pezzi di sapere?

R. – L’Occidente sta già mettendo in atto una politica suicida nel campo della industrializzazione, perché sta spostando ad Oriente tutti i fenomeni principali dell’industrializzazione che sono stati il pilastro fondamentale del suo sviluppo. Però quello che sfugge a molti è che quando si trasferisce l’industrializzazione, si trasferiscono di fatto anche le tecnologie, il know-how. Allora, o si stabilisce una politica veramente importante, una politica del sapere che porti ad una crescita notevole del sapere, specialmente quello tecnologico, in questo momento, o altrimenti il depauperamento che già c’è dell’industrializzazione si accompagnerà al depauperamento del sapere e, a mio parere, si accompagnerà anche al depauperamento della finanza: è evidente che a questo punto gli incentivi finanziari per i grandi capitali non saranno più in Occidente, ma saranno nei Paesi asiatici.


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