"Aiuto alla Chiesa che Soffre" mette in luce la difficile situazione economica di Trinidad e Tobago, anche attraverso le dichiarazioni di monsignor Robert Llanos, vicario generale dell’arcidiocesi di Port of Spain
Dimenticate le foto patinate delle riviste di viaggi e le brochure ammiccanti delle agenzie turistiche. Trinidad e Tobago non è affatto un paradiso. A cinquant’anni dall’indipendenza – festeggiati lo scorso 31 agosto - lo stato caraibico ha ancora gravissimi problemi sociali ed economici. E’ quanto racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre monsignor R0bert Llanos, vicario generale dell’arcidiocesi di Port of Spain. Nel 2011 la fondazione pontificia ha donato alla Chiesa locale oltre 20mila euro, destinati a progetti per la Nuova Evangelizzazione. «La corruzione e la criminalità sono parte integrante della vita di tutti i giorni – dichiara il presule durante una visita al quartier generale di ACS in Germania – e le tensioni tra i diversi gruppi di origine indiana e africana continuano a crescere». Ma la «piaga più profonda» di Trinidad e Tobago sono le enormi disparità sociali che rendono la popolazione sempre più materialista ed individualista: una tendenza che può essere contrastata solo attraverso l’educazione. «Dobbiamo fare ancora molto per le nostre scuole – afferma il vicario generale – soprattutto promuovere la formazione degli insegnanti». Anche in ambito scolastico vi sono molte disuguaglianze. Il sistema educativo pubblico, recentemente riformato, non riesce ad educare adeguatamente i ragazzi. Mentre gli studenti degli istituti privati - siano essi cattolici (la Chiesa cattolica gestisce 119 scuole primarie e 12 secondarie), anglicani, islamici, hindu o presbiteriani - hanno una preparazione notevolmente migliore degli altri.
Il momento di grave crisi economica non permette gli investimenti di cui la scuola avrebbe bisogno. Ma nonostante ciò il presule non crede che il Paese accetterà gli aiuti di Nazioni Unite e Banca Mondiale. «Il sostegno è legato ad alcune condizioni, tra cui l’adozione di misure di controllo delle nascite, e la legalizzazione dell’aborto e dei matrimoni omosessuali. Una minaccia di nuove dipendenze a soli 50 anni d’indipendenza».
Nello Stato insulare vivono 1 milione e 300mila di persone. I musulmani sono il 6%, mentre gli hindu – a causa del massiccio afflusso di lavoratori immigrati dall’India - il 24%. I cristiani sono il 56%, i cattolici il 26%. La Chiesa cattolica è oggi fortemente impegnata a fronteggiare il continuo calo delle vocazioni. Più della metà dei sacerdoti dell’arcidiocesi ha superato i sessant’anni e solo quattro uomini sono prossimi all’ordinazione. Colpa del dilagante materialismo “importato” direttamente dagli Stati Uniti. «Ma noi non ci arrendiamo. Siamo pronti a lottare per rinnovare la cultura cattolica e rafforzare la nostra identità etica e morale. Anche se non tutta la classe politica è al nostro fianco».
Dimenticate le foto patinate delle riviste di viaggi e le brochure ammiccanti delle agenzie turistiche. Trinidad e Tobago non è affatto un paradiso. A cinquant’anni dall’indipendenza – festeggiati lo scorso 31 agosto - lo stato caraibico ha ancora gravissimi problemi sociali ed economici. E’ quanto racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre monsignor R0bert Llanos, vicario generale dell’arcidiocesi di Port of Spain. Nel 2011 la fondazione pontificia ha donato alla Chiesa locale oltre 20mila euro, destinati a progetti per la Nuova Evangelizzazione. «La corruzione e la criminalità sono parte integrante della vita di tutti i giorni – dichiara il presule durante una visita al quartier generale di ACS in Germania – e le tensioni tra i diversi gruppi di origine indiana e africana continuano a crescere». Ma la «piaga più profonda» di Trinidad e Tobago sono le enormi disparità sociali che rendono la popolazione sempre più materialista ed individualista: una tendenza che può essere contrastata solo attraverso l’educazione. «Dobbiamo fare ancora molto per le nostre scuole – afferma il vicario generale – soprattutto promuovere la formazione degli insegnanti». Anche in ambito scolastico vi sono molte disuguaglianze. Il sistema educativo pubblico, recentemente riformato, non riesce ad educare adeguatamente i ragazzi. Mentre gli studenti degli istituti privati - siano essi cattolici (la Chiesa cattolica gestisce 119 scuole primarie e 12 secondarie), anglicani, islamici, hindu o presbiteriani - hanno una preparazione notevolmente migliore degli altri.
Il momento di grave crisi economica non permette gli investimenti di cui la scuola avrebbe bisogno. Ma nonostante ciò il presule non crede che il Paese accetterà gli aiuti di Nazioni Unite e Banca Mondiale. «Il sostegno è legato ad alcune condizioni, tra cui l’adozione di misure di controllo delle nascite, e la legalizzazione dell’aborto e dei matrimoni omosessuali. Una minaccia di nuove dipendenze a soli 50 anni d’indipendenza».
Nello Stato insulare vivono 1 milione e 300mila di persone. I musulmani sono il 6%, mentre gli hindu – a causa del massiccio afflusso di lavoratori immigrati dall’India - il 24%. I cristiani sono il 56%, i cattolici il 26%. La Chiesa cattolica è oggi fortemente impegnata a fronteggiare il continuo calo delle vocazioni. Più della metà dei sacerdoti dell’arcidiocesi ha superato i sessant’anni e solo quattro uomini sono prossimi all’ordinazione. Colpa del dilagante materialismo “importato” direttamente dagli Stati Uniti. «Ma noi non ci arrendiamo. Siamo pronti a lottare per rinnovare la cultura cattolica e rafforzare la nostra identità etica e morale. Anche se non tutta la classe politica è al nostro fianco».
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