Alcune centinaia di lavoratori dell’Alcoa sono scesi questa mattina in piazza a Roma per protestare contro la chiusura dello stabilimento di Portovesme.
Radio Vaticana - Occasione del sit-in, che si è svolto davanti al Ministero dello Sviluppo Economico, l’incontro tra il governo, le istituzioni sarde e una folta delegazione sindacale per decidere le sorti dell’azienda. La manifestazione si è svolta in un clima di tensione con petardi e tafferugli tra manifestanti e forze dell’ordine. Quattordici gli agenti feriti, mentre un operaio è stato colpito lievemente da una bomba carta. Michele Raviart: ascolta
“Io sono un semplice operaio e ho due figli e una famiglia da mantenere… Mi stanno buttando in mezzo alla strada, a 47 anni! Mia figlia a 25 anni è in mezzo alla strada, perché nel Sulcis non c’è niente, non ci sono alternative. Non ce lo possiamo permettere noi e non se lo può permettere il territorio!”.
“Stiamo cercando di portare avanti questa battaglia per salvaguardare il posto di lavoro, cui ci stiamo aggrappando disperatamente dal momento che non abbiamo nient’altro a cui aspirare. L’Alcoa ha già iniziato lo spegnimento degli impianti o meglio ci ha obbligato – in relazione all’accordo che è stato siglato il 27 di marzo – a collaborare allo spegnimento della nostra fabbrica. Noi siamo obbligati a cancellare il nostro posto di lavoro!”.
Si dichiarano “pronti a tutto” gli operai dello stabilimento Alcoa di Portovesme, che insieme ad altri lavoratori del Sulcis, sono scesi questa mattina in piazza a Roma davanti al Ministero dello Sviluppo Economico per protestare contro la chiusura di uno degli stabilimenti di alluminio più importanti d’Italia. L’Alcoa produce il 12% del fabbisogno di alluminio di tutta l’Italia e fa parte di una filiera industriale strategica a livello nazionale, cruciale per il territorio del Sulcis, come ci spiega il sindaco di Carbonia Giuseppe Casti:
“Le conseguenze di una chiusura sarebbero gravissime! E’ un territorio che, in questo momento, è assolutamente in difficoltà… Viene considerata una delle province più povere di Italia. Abbiamo assolutamente bisogno che il governo si occupi della vertenza e che la risolva in maniera definitiva! Alcoa vale 2.500 posti di lavoro e in un territorio come il nostro non è assolutamente possibile perdere questa opportunità”.
Qualora l’Alcoa dovesse chiudere, non tutti i lavoratori avrebbero gli stessi diritti. Alcune centinaia non sono dipendenti diretti dell’azienda, ma sono stati spesso assunti tramite agenzie interinali. Mimmo Ravo, sindacalista della Cisl:
“Dentro la mia fabbrica ci sono ormai anche un sacco di ragazzi di queste aziende interinali e loro non hanno alcun tipo di tutela. Per noi c’è un pizzico di sopravvivenza con gli ammortizzatori sociali: per loro? Loro sono morti! Sono diverse centinaia anche qui, perché l’Alcoa ultimamente non ha più assunto nessuno ma assumeva da queste aziende interinali per poterli poi cacciare via quando voleva”.
La speranza dei manifestanti è che il governo riesca a chiudere in maniera positiva la vertenza, favorendo la vendita alla multinazionale svizzera Glencore, già presente in Sardegna con due fabbriche e giudicata credibile da istituzioni e lavoratori. Il punto chiave della trattativa sarà il costo dell’energia elettrica: la Glencore vorrebbe un prezzo calmierato come lo era per l’Alcoa. Una condizione che difficilmente sarebbe accettata dall’Unione Europea, che la giudicherebbe probabilmente un aiuto di Stato.
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