giovedì, settembre 20, 2012
A Torino la protesta dei dipendenti dell’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti nel canavese

Città Nuova - Una storia di disperazione ma anche di battaglia estrema per quel diritto sancito dal primo articolo della Costituzione italiana, il lavoro. Una decina di dipendenti dell’azienda di Castellamonte, realtà pubblica che gestisce rifiuti e altri servizi nel canavese, sono saliti sul tetto di uno dei capannoni per opporsi alla cessione ai privati di alcuni rami dell'impresa e due di loro hanno minacciato con delle taniche piene di benzina di darsi fuoco. L’intenzione è di continuare a passare le prossime notti sul tetto almeno fino a quando non ci saranno certezze sulla loro sorte. Ma le cose sembrano poter migliorare.

All’Asa il lavoro non manca, perché l’azienda raccoglie i rifiuti di 51 comuni del canavese, eppure l’azienda, dal febbraio del 2010, è in amministrazione straordinaria con 200 dipendenti e un buco, all’epoca, di 80 milioni di debiti. Oggi l’amministratore straordinario Stefano Ambrosini ha portato l’azienda in pareggio, ha salvato quasi tutti i posti di lavoro e aveva preparato un bando unico in Italia, che in un solo colpo permetteva di acquisire l’azienda a circa 8 milioni, e allo stesso tempo, di acquisire il diritto di gestire il servizio rifiuti per 15 anni, senza nessun’altra gara. Il primo bando è andato deserto e quello di martedì scorso ha avuto due offerte che la commissione nominata dal Consorzio Canavesano Ambiente, incaricata di valutare le offerte di acquisizione, ha ritenuto non valide, in quanto prive di impegni finanziari.

Ora la parola passa al Tribunale fallimentare di Ivrea, a cui toccherà decidere se nominare un liquidatore o rinviare l'udienza tenendo conto delle manifestazioni di interesse pervenute. Con la nomina del liquidatore, aumenterebbero i rischi di perdita dei posti di lavoro dell'azienda. Naturalmente, ilavoratori non ci stanno, per questo continuano a mantenere il presidio a Castellamonte, mentre i sindacati chiedono una proroga al fallimento di almeno due mesi per dare tempo al Consorzio di portare avanti una trattativa privata con i soggetti che hanno manifestato interesse.

E intanto le notti sul tetto del capannone continuano: adesso ci sono altri cinque lavoratori insieme a Roberto, Pierino e Francesco. Con le taniche di benzina a fianco e i colleghi che salgono con una lunga scala per rifornire gli amici di cibo, acqua e coperte. Non hanno voglia di raccontare le loro storie personali, ma solo di parlare della difesa dell’azienda e del posto di lavoro. «Nessuno ci ascolta – dice a terra un compagno di Roberto – dobbiamo arrivare a tanto perché di un’azienda che lavora bene nessuno si è occupato. Ma non possiamo rischiare il posto di lavoro a 50 anni con mogli e figli a carico. Ci occupiamo di rifiuti ma non siamo dei rifiuti, anche se ci trattano come tali». Ora tutti sono in attesa della decisione del Tribunale.

Tobia Di Giacomo

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