Voglio Vivere interviene sulla sentenza della Corte di Strasburgo che boccia la legge 40: «Opportuno introdurre diritto alla vita nella Costituzione»
«È l’ipocrisia della legge 194 e della legge 40 che ha portato alla paradossale sentenza della Corte di Strasburgo. La legge 40 è, in effetti, una cattiva legge, e la legge 194 sull’aborto è applicata nel nostro Paese in modo a dir poco creativo. Da un lato spaventa pensare che Strasburgo possa scavalcare la magistratura italiana, ma dall’altro la sentenza ha una sua logica, poiché la giurisprudenza italiana è effettivamente ambigua in tema di diritto alla vita». Con queste parole il responsabile della Campagna Voglio Vivere, Samuele Maniscalco, commenta la sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti di Strasburgo in data 28/07/12, che ha bocciato un articolo della legge italiana sulla fecondazione assistita, a seguito del ricorso, presentato contro il divieto di accedere alla diagnosi pre-impianto degli embrioni da una coppia italiana fertile, ma portatrice sana di fibrosi cistica.
«La legge 40 è evidentemente una cattiva legge – prosegue Maniscalco – perché a fronte dell’aumento del numero di embrioni formati artificialmente, 113 mila, e trasferiti, 92.470, i bambini nati sono solo 12 mila. Anche la legge 194 ha le sue contraddizioni. Essa permette infatti l’aborto dopo i 90 giorni “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. La definizione di salute alla quale si rifà la legge è quella dell’Organizzazione Mondiale della sanità: “Uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”. Tradotto significa che, per abortire un bimbo malato, alla donna basterà affermare che non riesce a sopportarlo. Inoltre, anche il conflitto tra le due leggi, da un lato il divieto di analisi pre-impianto e dall’altro la possibilità di abortire, è evidente. Paradossalmente, l’Italia non sarebbe stata condannata dalla Corte di Strasburgo se avesse vietato l’aborto, detto eufemisticamente, terapeutico».
«Introdurre il diritto alla vita nei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale – conclude il responsabile di Voglio Vivere - costringerebbe senz’altro il legislatore a cercare un riequilibrio tra le leggi italiane in tema di bioetica, come la 40 e la 194. Da 34 anni in Italia abbiamo abdicato alla nostra facoltà di difendere i più deboli, perché abbiamo pensato che certi compromessi, come la legge 194, avrebbero limitato i danni. Il numero di coloro che sono morti a causa dell’aborto, circa 5 milioni e mezzo di esseri umani, ci induce alla conclusione che dobbiamo lavorare per abolire entrambe le leggi».
«È l’ipocrisia della legge 194 e della legge 40 che ha portato alla paradossale sentenza della Corte di Strasburgo. La legge 40 è, in effetti, una cattiva legge, e la legge 194 sull’aborto è applicata nel nostro Paese in modo a dir poco creativo. Da un lato spaventa pensare che Strasburgo possa scavalcare la magistratura italiana, ma dall’altro la sentenza ha una sua logica, poiché la giurisprudenza italiana è effettivamente ambigua in tema di diritto alla vita». Con queste parole il responsabile della Campagna Voglio Vivere, Samuele Maniscalco, commenta la sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti di Strasburgo in data 28/07/12, che ha bocciato un articolo della legge italiana sulla fecondazione assistita, a seguito del ricorso, presentato contro il divieto di accedere alla diagnosi pre-impianto degli embrioni da una coppia italiana fertile, ma portatrice sana di fibrosi cistica.
«La legge 40 è evidentemente una cattiva legge – prosegue Maniscalco – perché a fronte dell’aumento del numero di embrioni formati artificialmente, 113 mila, e trasferiti, 92.470, i bambini nati sono solo 12 mila. Anche la legge 194 ha le sue contraddizioni. Essa permette infatti l’aborto dopo i 90 giorni “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. La definizione di salute alla quale si rifà la legge è quella dell’Organizzazione Mondiale della sanità: “Uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”. Tradotto significa che, per abortire un bimbo malato, alla donna basterà affermare che non riesce a sopportarlo. Inoltre, anche il conflitto tra le due leggi, da un lato il divieto di analisi pre-impianto e dall’altro la possibilità di abortire, è evidente. Paradossalmente, l’Italia non sarebbe stata condannata dalla Corte di Strasburgo se avesse vietato l’aborto, detto eufemisticamente, terapeutico».
«Introdurre il diritto alla vita nei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale – conclude il responsabile di Voglio Vivere - costringerebbe senz’altro il legislatore a cercare un riequilibrio tra le leggi italiane in tema di bioetica, come la 40 e la 194. Da 34 anni in Italia abbiamo abdicato alla nostra facoltà di difendere i più deboli, perché abbiamo pensato che certi compromessi, come la legge 194, avrebbero limitato i danni. Il numero di coloro che sono morti a causa dell’aborto, circa 5 milioni e mezzo di esseri umani, ci induce alla conclusione che dobbiamo lavorare per abolire entrambe le leggi».
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