Crisi economica. Dopo le forti proteste di piazza, ieri la Spagna ha approvato la finanziaria 2013 con tagli per 40 miliardi di euro. Misure che hanno ottenuto il plauso dell’Unione Europea e che hanno dato fiato alle borse. Via libera dei partiti, invece, in Grecia ad nuovo pacchetto di austerità mentre gli Stati Uniti frenano nella ripresa.
Radio Vaticana - Una finanziaria sociale. E’ la definizione data dal vicepremier spagnolo Santamaria, presentando ieri le misure approvate per il 2013, appoggiate dall’Unione Europea che ha parlato di “passo importante”. Previsti tagli per quasi 40 miliardi di euro con una riduzione fino al 20% delle spese dei ministeri. Il 63% della spesa resta destinata alla previdenza, a pensioni e sussidi di disoccupazione. Previsto l'adeguamento delle pensioni con un aumento dell'1% nel 2013. Nuovo congelamento degli stipendi dei dipendenti pubblici che recupereranno però la tredicesima soppressa per quest’anno. Liberalizzazione per i servizi e istituzioni di un'Authority fiscale indipendente per la verifica dei bilanci delle regioni. Da qui i problemi per il governo centrale di Madrid, la Catalogna ha dato il via libera al referendum per l’autodeterminazione mentre la Castilla-La Mancha ha chiesto di ricorrere al Fondo di liquidità delle autonomie per 800 milioni di euro. In Grecia si attende la visita domenica della troika dopo il sì dei partiti al nuovo pacchetto di misure di 13,5 miliardi ma c’è da vedere quanto tempo in più sarà concesso ad Atene. In affanno l’economia americana, pil rivisto al ribasso e timori per la ripresa nonostante il calo dei sussidi di disoccupazione. Dunque l’economia americana si mostra in difficoltà in linea con quella europea. A preoccupare però non sono solo i Paesi come la Spagna e la Grecia ma anche la Francia. Lo sottolinea al microfono di Benedetta Capelli l’economista Carlo Altomonte.
R. - Sapevamo che avremmo avuto un settembre complicato proprio per queste scadenze in Grecia e in Spagna. Aspettavamo anche prima le decisioni della Banca centrale europea e della Corte costituzionale tedesca: queste decisioni sono state positive e quindi è ovvio che adesso c’è un po’ di tensione, ma non mi sembra niente di drammatico rispetto a uno scenario catastrofista che si poteva intravedere qualche mese fa.
D. - In Grecia, il premier Samaras e il suo governo sono a lavoro per ulteriori tagli. Di politiche di sviluppo, però nessuna traccia. Il Paese fino a che punto potrà sopportare l'austerity?
R. - Quella è, secondo me, la sfida che noi europei dobbiamo in qualche modo decidere insieme di portare avanti. È ovvio che i debiti debbano essere ripagati e penso che su questo non ci siano dubbi, e l’Italia lo sta vivendo sulla sua pelle. Però, è altrettanto vero che non possiamo pretendere - se esiste davvero la solidarietà europea - che questi debiti si debbano pagare tutti e subito. Quindi, in qualche modo, dobbiamo trovare un punto di incontro tra l’esigenza giusta di austerità - e diciamo di spesa compatibile con la competitività di un sistema economico - e anche la necessità sociale di non uccidere un’economia con troppa austerità. Questo penso sia il punto di incontro delicato che c’è sia nella manovra greca, che in quella spagnola.
D. - A proposito della Spagna: si procede verso altri tagli, che nella nuova finanziaria saranno pari a 39 miliardi di euro. Sul Paese incombe anche l’ombra del “salvataggio europeo”, che richiederebbe comunque ulteriori impegni…
R. - Ma in realtà quello che sembra di capire è che questa finanziaria in qualche misura contenga già le decisioni di austerità, che poi l’Europa richiederà nel momento in cui arriva il “salvataggio”. In qualche modo, si va autonomamente nella direzione che l’Europa vuole, per non farsela imporre da fuori. Quindi, penso che la scommessa di Rajoy sia di far approvare dal parlamento questa finanziaria, per poi chiedere gli aiuti. E a quel punto chi aiuta dirà: “Avete già fatto la vostra parte, quindi ve li diamo senza ulteriori condizioni”.
D. - Invece, per quanto riguarda l’Italia, questo ottimismo-pessimismo di Monti, espresso all'Assemblea generale dell'Onu come si può valutare?
R. - Se noi guardiamo i conti pubblici italiani e le proiezioni sul debito - anche immaginando un 2013 di crescita non positiva - in realtà abbiamo messo “fieno in cascina”, con l’aumento delle imposte che abbiamo fatto nel 2012 e adesso abbiamo il beneficio dei bassi tassi di interesse che il governo sta riuscendo a spuntare sul debito, grazie alle manovre della Banca centrale. Quindi, in realtà, non ci sono particolari elementi di preoccupazione da questo punto di vista. Evidentemente, non possiamo però mollare, nel senso che i conti pubblici tengono - anche in uno scenario macro-economico che si va un po’ deteriorando - perché abbiamo l’impegno e un avanzo primario molto forte.
D. - Oltre a Spagna e Grecia, quali sono i Paesi maggiormente a rischio in Europa in questo momento?
R. - In realtà, è un po’ tutta l’Europa a essere sotto pressione nel momento in cui vediamo una recessione che incombe. Ciò che preoccupa tanti è un po’ la situazione francese: la Francia non sembra avere accettato la necessità di ridurre in maniera strutturale la spesa pubblica, eppure ha una situazione di finanza pubblica in forte deterioramento, soprattutto se immaginiamo un rallentamento della crescita economica.
D. - Allargando ancora di più la prospettiva, gli Stati Uniti non stanno certo meglio. C’è chi dice che il caso americano scoppierà dopo le presidenziali di novembre. Lei è d’accordo con questa prospettiva?
R. - Sì, sono assolutamente d’accordo. In realtà, gli Stati Uniti sono messi peggio dell’Europa, nel senso che l’Europa è stata la prima ad affrontare seriamente il problema della sostenibilità della spesa pubblica nel contesto post-crisi. Gli Stati Uniti hanno una situazione di debito che nel giro di 4-5 anni, se continua così, li porterà a essere simili alla Greci. Ovviamente, gli Stati Uniti non sono la Grecia, la loro importanza sull’economia mondiale è ben diversa e questo gli Usa lo sanno benissimo. Quindi, hanno già deciso di iniziare un consolidamento molto forte della finanza pubblica - pari a 4 punti di pil nella partita 2013 - e, nel momento in cui inizieranno anche loro manovre di austerità, evidentemente questa avrà delle conseguenze sulla crescita americana. Come gestire il giusto mix di politica monetaria e fiscale per mantenere sotto controllo la politica fiscale, senza generare troppa recessione, diventerà il problema americano nei prossimi 2-3 anni. Questo a fronte di un’Europa che, se fa bene i compiti a casa, inizierà invece a venire fuori dalla sua crisi e quindi in qualche modo a presentarsi agli occhi del mondo con una situazione della finanza pubblica molto più consolidata.
Radio Vaticana - Una finanziaria sociale. E’ la definizione data dal vicepremier spagnolo Santamaria, presentando ieri le misure approvate per il 2013, appoggiate dall’Unione Europea che ha parlato di “passo importante”. Previsti tagli per quasi 40 miliardi di euro con una riduzione fino al 20% delle spese dei ministeri. Il 63% della spesa resta destinata alla previdenza, a pensioni e sussidi di disoccupazione. Previsto l'adeguamento delle pensioni con un aumento dell'1% nel 2013. Nuovo congelamento degli stipendi dei dipendenti pubblici che recupereranno però la tredicesima soppressa per quest’anno. Liberalizzazione per i servizi e istituzioni di un'Authority fiscale indipendente per la verifica dei bilanci delle regioni. Da qui i problemi per il governo centrale di Madrid, la Catalogna ha dato il via libera al referendum per l’autodeterminazione mentre la Castilla-La Mancha ha chiesto di ricorrere al Fondo di liquidità delle autonomie per 800 milioni di euro. In Grecia si attende la visita domenica della troika dopo il sì dei partiti al nuovo pacchetto di misure di 13,5 miliardi ma c’è da vedere quanto tempo in più sarà concesso ad Atene. In affanno l’economia americana, pil rivisto al ribasso e timori per la ripresa nonostante il calo dei sussidi di disoccupazione. Dunque l’economia americana si mostra in difficoltà in linea con quella europea. A preoccupare però non sono solo i Paesi come la Spagna e la Grecia ma anche la Francia. Lo sottolinea al microfono di Benedetta Capelli l’economista Carlo Altomonte.
R. - Sapevamo che avremmo avuto un settembre complicato proprio per queste scadenze in Grecia e in Spagna. Aspettavamo anche prima le decisioni della Banca centrale europea e della Corte costituzionale tedesca: queste decisioni sono state positive e quindi è ovvio che adesso c’è un po’ di tensione, ma non mi sembra niente di drammatico rispetto a uno scenario catastrofista che si poteva intravedere qualche mese fa.
D. - In Grecia, il premier Samaras e il suo governo sono a lavoro per ulteriori tagli. Di politiche di sviluppo, però nessuna traccia. Il Paese fino a che punto potrà sopportare l'austerity?
R. - Quella è, secondo me, la sfida che noi europei dobbiamo in qualche modo decidere insieme di portare avanti. È ovvio che i debiti debbano essere ripagati e penso che su questo non ci siano dubbi, e l’Italia lo sta vivendo sulla sua pelle. Però, è altrettanto vero che non possiamo pretendere - se esiste davvero la solidarietà europea - che questi debiti si debbano pagare tutti e subito. Quindi, in qualche modo, dobbiamo trovare un punto di incontro tra l’esigenza giusta di austerità - e diciamo di spesa compatibile con la competitività di un sistema economico - e anche la necessità sociale di non uccidere un’economia con troppa austerità. Questo penso sia il punto di incontro delicato che c’è sia nella manovra greca, che in quella spagnola.
D. - A proposito della Spagna: si procede verso altri tagli, che nella nuova finanziaria saranno pari a 39 miliardi di euro. Sul Paese incombe anche l’ombra del “salvataggio europeo”, che richiederebbe comunque ulteriori impegni…
R. - Ma in realtà quello che sembra di capire è che questa finanziaria in qualche misura contenga già le decisioni di austerità, che poi l’Europa richiederà nel momento in cui arriva il “salvataggio”. In qualche modo, si va autonomamente nella direzione che l’Europa vuole, per non farsela imporre da fuori. Quindi, penso che la scommessa di Rajoy sia di far approvare dal parlamento questa finanziaria, per poi chiedere gli aiuti. E a quel punto chi aiuta dirà: “Avete già fatto la vostra parte, quindi ve li diamo senza ulteriori condizioni”.
D. - Invece, per quanto riguarda l’Italia, questo ottimismo-pessimismo di Monti, espresso all'Assemblea generale dell'Onu come si può valutare?
R. - Se noi guardiamo i conti pubblici italiani e le proiezioni sul debito - anche immaginando un 2013 di crescita non positiva - in realtà abbiamo messo “fieno in cascina”, con l’aumento delle imposte che abbiamo fatto nel 2012 e adesso abbiamo il beneficio dei bassi tassi di interesse che il governo sta riuscendo a spuntare sul debito, grazie alle manovre della Banca centrale. Quindi, in realtà, non ci sono particolari elementi di preoccupazione da questo punto di vista. Evidentemente, non possiamo però mollare, nel senso che i conti pubblici tengono - anche in uno scenario macro-economico che si va un po’ deteriorando - perché abbiamo l’impegno e un avanzo primario molto forte.
D. - Oltre a Spagna e Grecia, quali sono i Paesi maggiormente a rischio in Europa in questo momento?
R. - In realtà, è un po’ tutta l’Europa a essere sotto pressione nel momento in cui vediamo una recessione che incombe. Ciò che preoccupa tanti è un po’ la situazione francese: la Francia non sembra avere accettato la necessità di ridurre in maniera strutturale la spesa pubblica, eppure ha una situazione di finanza pubblica in forte deterioramento, soprattutto se immaginiamo un rallentamento della crescita economica.
D. - Allargando ancora di più la prospettiva, gli Stati Uniti non stanno certo meglio. C’è chi dice che il caso americano scoppierà dopo le presidenziali di novembre. Lei è d’accordo con questa prospettiva?
R. - Sì, sono assolutamente d’accordo. In realtà, gli Stati Uniti sono messi peggio dell’Europa, nel senso che l’Europa è stata la prima ad affrontare seriamente il problema della sostenibilità della spesa pubblica nel contesto post-crisi. Gli Stati Uniti hanno una situazione di debito che nel giro di 4-5 anni, se continua così, li porterà a essere simili alla Greci. Ovviamente, gli Stati Uniti non sono la Grecia, la loro importanza sull’economia mondiale è ben diversa e questo gli Usa lo sanno benissimo. Quindi, hanno già deciso di iniziare un consolidamento molto forte della finanza pubblica - pari a 4 punti di pil nella partita 2013 - e, nel momento in cui inizieranno anche loro manovre di austerità, evidentemente questa avrà delle conseguenze sulla crescita americana. Come gestire il giusto mix di politica monetaria e fiscale per mantenere sotto controllo la politica fiscale, senza generare troppa recessione, diventerà il problema americano nei prossimi 2-3 anni. Questo a fronte di un’Europa che, se fa bene i compiti a casa, inizierà invece a venire fuori dalla sua crisi e quindi in qualche modo a presentarsi agli occhi del mondo con una situazione della finanza pubblica molto più consolidata.
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