martedì, settembre 11, 2012
Giornata di commemorazioni oggi negli Stati Uniti in occasione dell’undicesimo anniversario dell’attacco alle Torri gemelle a New York, al Pentagono a Washington e del dirottamanento dell'aereo schiantatosi in Pennsylvania.  

Radio Vaticana - A Ground Zero, come ogni anno, risuoneranno i nomi delle circa tre mila vittime, mentre il presidente Obama parteciperà ad una cerimonia al Pentagono. Ora l'America "è più forte” ha detto il Capo della Casa Bianca, ricordando che Al Qaeda è stata decimata. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento della storica, Elisabetta Vezzosi, autrice del libro “Oltre il secolo americano? Gli Stati Uniti prima e dopo l’11 settembre” edito da Carocci: ascolta

R. – Le conseguenze all’impatto sono state enormi. Pensiamo soltanto nel primo mandato di George W. Bush quanto ha pesato l’11 settembre non solo in termini di popolarità del presidente ma anche in termini di politica estera, ovvero la guerra senza fine al terrorismo e la fine di fatto, in quel periodo, dei rapporti transatlantici. La rottura con molti Paesi dell’Europa, a cominciare dalla Germania e dalla Francia, che non si sono iscritti nell’ambito della “guerra al terrore” così come gli Stati Uniti l’hanno voluta condurre.

D. – Per la prima volta gli Stati Uniti l’11 settembre 2001 si sono sentiti colpiti nel loro cuore?

R. – Hanno conosciuto la paura, hanno conosciuto il vuoto, perché come sappiamo gli Stati Uniti non erano mai stati attaccati sul loro territorio se non dal Giappone, nella seconda guerra mondiale, con l’attacco a Pearl Harbour che è nelle Hawaii, ma mai c’era stato un attacco al cuore economico, politico e strategico.

D. – Dopo il 2001 accadde una cosa mai vista prima negli Stati Uniti ovvero una forte compressione dei diritti civili nel territorio americano…

R. - Sì, assolutamente, perché a fronte di una legge, il “patriot act”, che è stata varata circa un mese dopo gli attacchi dell’11 settembre, tutti i cittadini americani hanno subito controlli di ogni genere, abolizione della privacy, possibilità di essere incarcerati senza diritto di difesa, controlli telefonici a tappeto; tutti hanno però hanno accettato questo in nome della sicurezza e questo stato di cose è durato a lungo.

D. – Iraq e Afghanistan sono due fronti ancora aperti, la politica di Obama è stata quella di cercare di uscire da questo scenario…

R. – Obama ha cercato di ritirarsi dai due scenari di guerra, l’ha fatto con l’Iraq, lo sta lentamente facendo con l’Afghanistan. Si è scontrato poi negli ultimi anni con la posizione che gli Stati Uniti hanno dovuto assumere rispetto alle “primavere arabe”. C’è stato un momento forte che è stata la cattura di Osama Bin Laden, che fra l’altro ha ridato al presidente un aumento della credibilità, del consenso. Oggi Obama si trova ad affrontare anche il problema della Siria, in generale una situazione mediorientale complessa, con un rapporto ambivalente con Israele. In questo senso Obama è in una situazione difficile, ma questa è anche l’Amministrazione che ha ritrovato l’armonia transatlantica ed un accordo sostanziale con tutti i Paesi europei.

D. - L’orrore dell’11 settembre, le guerre che sono seguite… Dopo 11 anni in che termini il mondo è cambiato?

R. – Certamente è più consapevole dei problemi sul tappeto. E’ stato decostruito questo concetto di “scontro di civiltà” che come tutti ricordiamo è stato coniato e molto usato nella prima fase post 11 settembre. I temi oggi sono quelli del rapporto con l’islam, con l’islam moderato, con la costruzione di società democratiche. Certamente oggi l’Amministrazione Obama ha recuperato quell’atteggiamento multilaterale in politica estera che l’Amministrazione Bush aveva completamente rigettato all’indomani dell’11 settembre, facendo prevalere in politica estera un atteggiamento assolutamente unilaterale.


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