martedì, settembre 25, 2012
Il tribunale di Islamabad ha trasferito il fascicolo relativo alla minorenne cristiana affetta da ritardi mentale. Prossima udienza prevista per il primo di ottobre. Mons. Rufin Anthony: va prosciolta e la vicenda divenire una “pietra miliare” per fermare gli abusi. Dopo la vicenda del film anti-islamico, nessun commento sull'imam che ha manipolato le prove.

Asianews - Il tribunale distrettuale di Islamabad ha inviato al giudice minorile il fascicolo relativo a Rimsha Masih, la giovane cristiana finita in prigione con false accuse di blasfemia e liberata su cauzione il 7 settembre scorso, grazie al lavoro congiunto di legali, inquirenti, società civile e governo pakistano. Il processo a carico della minorenne - secondo un rapporto medico ha circa 14 anni e soffre di un ritardo mentale - è aggiornato al primo ottobre prossimo, anche se in molti premono per il proscioglimento immediato. Fra questi il vescovo della capitale, mons. Rufin Anthony, secondo cui "tutte le accuse a suo carico vanno fatte cadere". Intanto è calato il silenzio sulla vicenda parallela dell'imam che, manomettendo le prove, ha fatto incriminare la ragazza e determinato la cacciata di oltre 600 famiglie cristiane dalla zona di origine. Con le violenze divampate in seguito al film anti-islamico, musulmani e cristiani non intendono commentare il processo a Khalid Jadoon Chishti, nel timore di esacerbare gli animi e provocare ritorsioni della frangia estremista islamica.

Nei giorni scorsi la polizia ha depositato il fascicolo di inchiesta relativo a Rimsha Masih, dal quale emerge che non vi sono né indizi, tantomeno prove o testimonianze di colpevolezza a suo carico. Il fermo risale al 16 agosto scorso, quando la giovane cristiana è stata imprigionata in base alla "legge nera", perché avrebbe bruciato pagine del Noorani Qaida, un libro di testo usato per apprendere le basi dell'arabo e del Corano, con impressi dei versetti tratti dal libro sacro dei musulmani. In realtà, sarebbe stato l'imam a gettare pagine bruciate nell'immondizia appena scaricata dalla ragazza, per fomentare una campagna contro la minoranza religiosa e sequestrarne beni e proprietà. Dall'8 settembre, giorno del rilascio, Rimsha e la famiglia vivono in un luogo protetto nel timore di ritorsioni e vendette personali.

Gli agenti della scientifica di Lahore stanno esaminando i resti delle pagine bruciate, per trovare nuovi elementi di accusa contro i responsabili. I risultati saranno disponibili nelle prossime settimane e, forse, potrebbero risultare decisivi per chiarire la vicenda. Finora tre testimoni hanno accusato Khalid Jadoon Chishti, dichiarando che è stato l'imam a montare la vicenda. Tuttavia, ancora in questi giorni Rao Abdur Rahim, avvocato di Hamad Malik, il "grande accusatore" di Rimsha Masih, respinge il documento della polizia e afferma che il testimone ha dovuto "modificare" la versione originaria "dietro pressioni del governo" che voleva il rilascio della ragazza.

Interpellato da AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, afferma di "non capire" perché "se non vi sono prove contro Rimsha", il caso è stato trasferito "al giudice del tribunale minorile". E aggiunge senza mezzi termini: "va prosciolta immediatamente" e le accuse a suo carico fatte cadere. Il prelato conferma che "la situazione si fa sempre più critica per le minoranza religiose in Pakistan" e la vicenda della ragazza con problemi mentali, finita alla sbarra per una presunta profanazione del Corano, dovrebbe essere usata "come pietra miliare per fermare gli abusi commessi in nome delle leggi sulla blasfemia". "È tempo - conclude - di promuovere pace e tolleranza".

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