martedì, settembre 11, 2012
In occasione del mese di ottobre, periodo dedicato al rosario, La Perfetta Letizia ricorda Padre Stefano De Fiores, morto il 14 aprile scorso, e la sua grande sapienza mariologica, soprattutto sulla preziosa pratica mariana

di Caro Mafera

Padre Stefano De Fiores aveva presentato il 20 febbraio 2010 la figura sacerdotale di Antonio Rosmini in relazione a Maria. Professore insigne di Mariologia alla Università Gregoriana di Roma e al “Marianum”, presidente dell’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana e consigliere della Pontificia Accademia Mariana Internazionale, nonché scrittore di numerose opere sulla Madre di Dio tra le quali spicca il “Nuovissimo dizionario di Mariologia” (edizioni Dehoniane 2006), De Fiores ha messo in risalto la profondità del pensiero rosminiano circa la Vergine Maria e ha dato alcuni spunti di riflessione sul pensiero del grande roveretano. Innanzitutto il suo personalismo liberale che consisteva nell’inalienabile valore della persona umana, detentrice di due fondamentali diritti, quello alla libertà e quello alla proprietà, che implicano il netto rifiuto di qualsiasi teoria politica che pone l’individuo in secondo piano rispetto allo Stato.

“Qual è il baricentro della spiritualità di Rosmini? E’ l’uomo, e questi raggiunge la sua pienezza quando raggiunge la Sapienza”, ha detto Padre De Fiores, che poi ha spiegato l’itinerario del percorso di fede del Rosmini. Al primo posto “la sua esperienza personale che gli fa scoprire Dio come Provvidenza. Poi Sant’Agostino gli fa scoprire la Carità e infine Sant’Ignazio di Loyola gli fa scoprire il senso della Chiesa”. E’ proprio l’abbandono alla divina provvidenza che rappresenta per Rosmini un’esperienza forte di Dio che viene sperimentata sin dalla sua giovinezza: “Rosmini riteneva che non ci fosse altra sapienza se non in Dio”. Si evince così un altro principio più volte messo in evidenza da padre De Fiores, e cioè il principio di passività: “Che cos’è la passività? Non è un puro quietismo e cioè il non far niente ma… il fatto di non intraprendere qualche opera di propria iniziativa ma sempre confrontarsi con Dio”. E così si spiega l’asserzione precedente in cui si diceva che “non vi è parte dell’attività del discepolo, non potenza, non atto, che non sia accompagnato dal Verbo e dal suo Spirito”.

Insomma, secondo padre Stefano De Fiores Antonio Rosmini diceva che bisognava “lasciarsi condurre dallo Spirito di Dio, o meglio la passività è di quelli che fanno agire lo Spirito di Dio; la passività non è quindi inerzia interiore ma puro amore della volontà di Dio e abbandono alla divina provvidenza. Però – ha continuato De Fiores - ci vogliono sempre esempi a cui ispirarsi e Rosmini diceva che il modello è Maria … il cristiano deve meditare di continuo la sapienza di Maria e infatti la più grande maestra, dopo Gesù Cristo, è Maria Vergine”.

A tal proposito padre De Fiores ha ricordato gli scritti mariani di Rosmini, tra cui uno sulla devozione del Rosario dove il beato scriveva «Al solo pensare a questa Genitrice di Dio e nostra, l’animo si tranquilla e la mente si rasserena, a parlarne si diffonde la letizia, e a invocarla si reintegra il coraggio... si mettono in fuga i nemici dell’anima nostra; e chi in lei confida non può perire». D’altra parte il Rosario era anche uno strumento di conoscenza dei misteri di Dio che il clero faceva di tutto per nascondere al popolo. Infatti nella sua opera “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa”, sottolineando i difetti dell'istruzione ecclesiastica e rimproverando alla chiesa di aver trascurato l'istruzione dei suoi fedeli, scrisse: «La scarsezza di una vitale e piena istruzione data alla plebe cristiana (alla quale nuoce il pregiudizio gentilesco messossi in molti, che giovi tenerla in una mezza ignoranza...) è la prima cagione di quel muro di divisione che s'innalza fra lei e i ministri della Chiesa».

Nell’altro scritto mariano sul “Commento al Magnificat”, indirizzato alle novizie delle Suore della Provvidenza di Domodossola, il beato Rosmini nota che Maria, quando all’Annunciazione seppe che la cugina Elisabetta stava per diventare madre “prima di tutto se ne andava recando quel fonte di ogni santità nella casa di Elisabetta e santificava così quella casa”: nella Madonna si vedono quindi amore premuroso e ricerca della santità, e queste due virtù si congiungono in lei mirabilmente. Un’altra caratteristica che il Rosmini osserva in Maria è la sua umiltà; infatti, egli prosegue, quando la Madonna sentì la lode di Elisabetta “Ella cominciò dal rifondere nel Signore tutta la sua gloria, e dall’attribuire a Lui solo tutto il suo esaltamento. Ella non disconobbe e non nascose quella grandezza che le era stata data, anzi se ne mostrò consapevole e la confessò”. Anche per fare ciò occorre una grande virtù, poiché l’umiltà non è falsità o grettezza d’animo, ma vivere nella verità, riconoscendo i doni avuti, sapendo che Egli è l’origine e ci sono dati per il bene altrui. Rosmini era grande devoto della Madonna anche perché vedeva in Lei la prima che confessa la fede nella divinità di Cristo, poiché “si situa in mezzo ai due Testamenti, l’ultima della serie degli antichi Patriarchi, la prima dei discepoli del Salvatore”. Nel Magnificat, spiega il grande Roveretano, neo-beato, “sono riassunti i vaticini degli antichi Profeti, è compendiata la storia della Chiesa, è raccolto il succo della sapienza evangelica, ne è narrato il meraviglioso e infallibile effetto, è spiegata la tela della divina Provvidenza e la bontà verso il genere umano peccatore, è magnificamente ringraziato e celebrato quel Dio, che, eleggendo la sua umile e fedele ancella d’infra tutte le donne, e formandole col suo Spirito il redentore nelle viscere immacolate, non avea soltanto fatto cose grandi a Maria, ma per Maria altresì a tutto il seme di Adamo”. L’evento della Visitazione illumina ai credenti la carità globale o integrale, come propugnava Rosmini, cioè la presenza perenne in essa di tre componenti coestensive tra loro. Partendo dal basso verso l’alto, si ha questa successione: 1) la carità materiale, praticata negli ospedali, orfanotrofi e mense Caritas; 2) la carità culturale, consistente nell’educazione ed istruzione cristiana alla luce della Parola di Dio); 3) la carità spirituale, praticata nelle parrocchie, istituti, missioni... che istruisce nella fede, insegna a pregare e a partecipare alla vita sacramentale.

Nel ricordo dell’illustre e compianto Padre Stefano De Fiores, in occasione del prossimo mese di ottobre dove viene esaltato il ruolo della pia pratica del rosario, mi piace aggiungere il suo pensiero per così dire rosario-logico. Egli infatti era un fine esperto della preghiera mariana più famosa. Una preghiera che il grande mariologo definisce una «pratica senza eguali fra gli esercizi di pietà e le espressioni di devozione che caratterizzano l’Occidente cristiano». Giovanni Paolo II, all’inizio del suo pontificato, nel 1978, l’aveva chiamata «la mia preghiera prediletta». E De Fiores ricorda che papa Wojtyla vedeva nel Rosario «una contemplazione dei misteri di Cristo con il cuore della Madre». «Grazie allo sguardo di Maria –sottolinea Padre De Fiores – troviamo come in uno vaso prezioso la vita di Cristo in tutte le sue valenze. Basti pensare alla quadriforme espressione dei misteri: gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi. Quindi si tratta di continuare nella Chiesa quella contemplazione di Gesù iniziata dalla Vergine».

Inoltre padre De Fiores esaltava il ruolo liturgico del Rosario citando Paolo VI che lo definiva un meraviglioso «supporto». «Per questo è bene che il Rosario sia collegato alla liturgia. Così i tempi liturgici possono influire sulla scelta dei misteri. E questa armonizzazione con la liturgia è stata ben mostrata dal magistero pontificio in cui il Rosario è ritenuto un efficace compendio del Vangelo». E ancora Padre De Fiores suggeriva degli accorgimenti per fruire meglio del Rosario. «Per essere toccati dalla sua bellezza servono pause di silenzio, un bel canto del Gloria a lode della Trinità e soprattutto la proclamazione della Parola. Infatti si tratta di una preghiera eminentemente biblica, come ha evidenziato Benedetto XVI. Va quindi favorito il legame fra la Scrittura e il Rosario che non fa altro che meditare il Verbo attraverso il mistero dell’incarnazione, autentico perno di questa preghiera».

Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa