lunedì, settembre 03, 2012
Alla Facoltà teologica di Budapest un caleidoscopio di esperienze: 160 partecipanti di diverse confessioni condividono l'impegno per la pace e la fratellanza universale.

Città Nuova - «Se ciascuno di noi s’impegnasse a comunicare almeno a cinque giovani quanto abbiamo vissuto in questi giorni qui a Budapest, allora forse potremmo davvero cambiare il mondo». Lo dice con coraggio e con determinazione un giovane palestinese di Gerusalemme, che conclude: «Non dimenticate di pregare per la situazione in Palestina». Gli fa eco un algerino, anche lui musulmano: «Se è stato possibile vivere in questi giorni con giovani di etnie, culture, lingue e religioni diverse allora lo può essere anche negli ambienti da cui veniamo». Una ragazza francese che si definisce atea, invece, ringrazia i presenti perché, dice, non conosceva molto dello spirito che anima il Genfest, ma «in questi giorni ho fatto più incontri che nella mia città, dove mi sento sempre più isolata».

I tre hanno parlato alla conclusione di un incontro che si è svolto nella sala della Facoltà teologica di Budapest, aperto a tutti i partecipanti di varie religioni e moderato da un musulmano algerino, da un buddhista giapponese e da una giordana cristiana.

La sala offriva un vero caleidoscopio: centosessanta partecipanti, provenienti da Usa, Algeria, Thailandia, Uruguay, India, Macedonia, Giappone, Bulgaria, Bosnia, Italia e molti altri Paesi ancora. Fra loro ebrei, musulmani, buddhisti mahayana e theravada, indù, una giainista e alcuni rappresentanti della Tenrikyo, una delle religioni del Giappone. Anche alcuni giovani cattolici hanno voluto condividere questo momento con i loro amici di altre fedi, mentre sulla grande piazza Santo Stefano si celebrava la messa.

Nella mattinata trascorsa insieme i rappresentanti delle diverse tradizioni religiose hanno approfittato per comunicarsi quanto già fanno per costruire la pace e la fratellanza universale. Dal lavoro per i diritti umani di organizzazioni giovanili ebraiche nel laico Uruguay si è passati all’impegno di giovani musulmani algerini e macedoni nel vivere quotidianamente la fratellanza, sui posti di lavoro e nelle università. Giovani indiani, indù e gianisti, hanno sottolineato l’impegno concreto nel sociale con organizzazioni gandhiane nel Sud India. I buddhisti della Rissho Kosei kai e della Myochikai hanno, invece, proposto il loro lavoro per strategie e processi educativi alla pace. Si sono presentati anche i giovani della Tenrikyo, che hanno spiegato ai presenti le caratteristiche della loro religione.

Quasi due ore concluse nel silenzio, un minuto in cui ciascuno ha pregato in fondo al cuore con le parole e la sensibilità della sua fede per la pace nel mondo e l’impegno alla fratellanza, per essere davvero costruttori di ponti.

Uscendo, due giovani ebrei dell’Uruguay mi hanno detto: «Un’esperienza incredibile, dobbiamo lavorare insieme per portare questo spirito dove ci troviamo». Due giovani indù: «Non ci sono parole per dire cosa abbiamo vissuto in questi giorni». Una afroamericana incontrata quasi per caso nella folla della grande Arena ed invitata all’incontro mi ha ringraziato per aver potuto partecipare a questo momento, ed è scappata per una foto ricordo multicolore e multi-religiosa: lei, americana con il velo, una musulmana della Bosnia, una indù del Sud dell'India. Come dire: le religioni non sono un ostacolo alla pace, la spiritualità che portano può aprire vie insperate. Questi giovani lo hanno sperimentato.

di Roberto Catalano 


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