Hadia Tajik è stata scelta per guidare il dicastero della Cultura. Una scelta di merito nel Paese con il più alto indice di civiltà del mondo. E in Italia?
Città Nuova - La donna della settimana si chiama Hadia Tajik. Nonostante i 29 anni, a guardarla sembra una ragazzina, con i grandi occhi scuri, un volto sereno, un’immagine semplice, sobria, e un sorriso timido. Nominata ministro della Cultura dal premier norvegese Jens Stoltenberg, Hadia Tajik, musulmana originaria del Pakistan, ha conquistato in un colpo solo un doppio record: è la più giovane a guidare un dicastero in Norvegia, nonché la prima musulmana a far parte del governo. Nessuno si è invece stupito che sia una donna: nel Paese dei fiordi la partecipazione femminile è ormai assodata .
È invece la sua religione ad aver fatto notizia: dopo la strage di Utoya, compiuta da un anti-islamista, promotore di ideologie dell’estrema destra razzista, come Anders Behring Breivik, qualcuno ha letto nella nomina un ulteriore segnale di distensione che il premier ha voluto dare al Paese. Qualche piccola polemica non è mancata, ma è stata subito messa a tacere dall’approvazione data alla nomina dal re Harald V, che ha espresso il suo consenso con un soddisfatto «Era ora!»: a conferma dei motivi per cui la Norvegia è ritenuta il Paese con più elevato indice di sviluppo umano del mondo (mentre l’Italia è al 24simo posto).
Alla base della nomina, tuttavia, potrebbe esserci anche dell’altro. Pur non avendo bisogno di particolari stratagemmi per ottenere il consenso – visto che il premier Stoltenberg è al governo per la seconda volta – la scelta di Tajik, non criticata dall’opposizione per riconosciuti meriti della donna, potrebbe anche andare nel senso di una ulteriore apertura della coalizione al potere alla comunità musulmana in vista delle prossime elezioni: in uno Stato che conta 4 milioni e 700 mila abitanti, avere l’approvazione della sempre più corposa rappresentanza islamica potrebbe rivelarsi un elemento di successo.
Appena eletta, il neoministro Tajik non si è sottratta alle domande dei giornalisti, affermando che tra le sue priorità c’è una maggiore integrazione delle «diversità culturali che vivono nel Paese,» affinché «tutti abbiano la possibilità di partecipare alle attività culturali. A prescindere dalla classe sociale cui appartengono, l’etnia o il sesso». La notizia, naturalmente, ha fatto il giro del mondo, rimbalzando di tv in tv, dal Pakistan al mondo arabo agli Usa e suscitando non poco clamore.
Come in Italia, dove a confrontare quanto avviene in Norvegia con quanto si vede al momento sul panorama politico nazionale verrebbe da scoraggiarsi. Già le donne in politica sono poche, figuriamoci sotto i trent’anni, quando si riducono – a livello parlamentare – davvero a mosche bianche. Serve uno svecchiamento della politica e un’apertura vera alle donne, che non riduca l’introduzione di nuovi volti a mere operazioni di facciata o a manovre “acchiappa voti”.
Ecco allora che diventano più che mai d’attualità le parole pronunciate dalla presidente del Movimento dei focolari, Maria Voce Emmaus che, intervistata a Loppianolab, ha affermato che tocca alla donna proporsi di più e meglio, per conquistare il posto che le spetta, nella Chiesa come nella società.
Città Nuova - La donna della settimana si chiama Hadia Tajik. Nonostante i 29 anni, a guardarla sembra una ragazzina, con i grandi occhi scuri, un volto sereno, un’immagine semplice, sobria, e un sorriso timido. Nominata ministro della Cultura dal premier norvegese Jens Stoltenberg, Hadia Tajik, musulmana originaria del Pakistan, ha conquistato in un colpo solo un doppio record: è la più giovane a guidare un dicastero in Norvegia, nonché la prima musulmana a far parte del governo. Nessuno si è invece stupito che sia una donna: nel Paese dei fiordi la partecipazione femminile è ormai assodata .
È invece la sua religione ad aver fatto notizia: dopo la strage di Utoya, compiuta da un anti-islamista, promotore di ideologie dell’estrema destra razzista, come Anders Behring Breivik, qualcuno ha letto nella nomina un ulteriore segnale di distensione che il premier ha voluto dare al Paese. Qualche piccola polemica non è mancata, ma è stata subito messa a tacere dall’approvazione data alla nomina dal re Harald V, che ha espresso il suo consenso con un soddisfatto «Era ora!»: a conferma dei motivi per cui la Norvegia è ritenuta il Paese con più elevato indice di sviluppo umano del mondo (mentre l’Italia è al 24simo posto).
Alla base della nomina, tuttavia, potrebbe esserci anche dell’altro. Pur non avendo bisogno di particolari stratagemmi per ottenere il consenso – visto che il premier Stoltenberg è al governo per la seconda volta – la scelta di Tajik, non criticata dall’opposizione per riconosciuti meriti della donna, potrebbe anche andare nel senso di una ulteriore apertura della coalizione al potere alla comunità musulmana in vista delle prossime elezioni: in uno Stato che conta 4 milioni e 700 mila abitanti, avere l’approvazione della sempre più corposa rappresentanza islamica potrebbe rivelarsi un elemento di successo.
Appena eletta, il neoministro Tajik non si è sottratta alle domande dei giornalisti, affermando che tra le sue priorità c’è una maggiore integrazione delle «diversità culturali che vivono nel Paese,» affinché «tutti abbiano la possibilità di partecipare alle attività culturali. A prescindere dalla classe sociale cui appartengono, l’etnia o il sesso». La notizia, naturalmente, ha fatto il giro del mondo, rimbalzando di tv in tv, dal Pakistan al mondo arabo agli Usa e suscitando non poco clamore.
Come in Italia, dove a confrontare quanto avviene in Norvegia con quanto si vede al momento sul panorama politico nazionale verrebbe da scoraggiarsi. Già le donne in politica sono poche, figuriamoci sotto i trent’anni, quando si riducono – a livello parlamentare – davvero a mosche bianche. Serve uno svecchiamento della politica e un’apertura vera alle donne, che non riduca l’introduzione di nuovi volti a mere operazioni di facciata o a manovre “acchiappa voti”.
Ecco allora che diventano più che mai d’attualità le parole pronunciate dalla presidente del Movimento dei focolari, Maria Voce Emmaus che, intervistata a Loppianolab, ha affermato che tocca alla donna proporsi di più e meglio, per conquistare il posto che le spetta, nella Chiesa come nella società.
di Sara Fornaro
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