Vivere insieme, vivere meglio: da una ricerca Censis-Coldiretti il modo con cui gli italiani combattono la crisi economica
Presentata il 19 settembre a Roma la manifestazione per riflettere sul futuro dell'Italia
di Carlo Mafera
Dal giorno della presentazione della ricerca progettata dal Censis e dalla Coldiretti dal titolo “Vivere bene, vivere meglio” e sottotitolata “Utili, affettive e conviviali: gli italiani e le relazioni nelle comunità”, molti media hanno posto l’accento, nei titoli e nei servizi, sulle difficoltà/opportunità che hanno le giovani generazioni nel lasciare la casa dei genitori e andare a vivere lontano. La crisi quindi si fa sentire e i giovani cercano rifugio e protezione nella famiglia, che rimane, nonostante tutto, l’unico baluardo per affrontare le tempeste economiche e sociali. Eppure nessun governo che si è succeduto a Palazzo Chigi, sia di sinistra che di destra, ha fatto più di tanto per sostenere il nucleo sociale fondamentale per la consistenza di ogni società che si rispetti.
La ricerca del Censis ha rilevato che le crisi si susseguono quando viene privilegiato il primato dell’individuo rispetto a quello della società. Infatti dalla relazione si legge: “In Italia lo sviluppo, da sempre, è stato di popolo, dei tanti soggetti, profondamente radicato nei comportamenti di milioni di persone semplici che, nei vari settori della vita sociale, con le loro pratiche hanno consentito all’economia e alla società italiana in poche generazioni di mutare radicalmente il proprio destino”. E quindi per ragionamento simmetrico si legge anche nella relazione: “Come rilevato, la crisi è anche il portato di un’onda molto lunga tutta centrata sul primato dell’individuo, della soggettività che si è imposto dall’economia ai tanti ambiti della vita quotidiana e sociale; allora, un cambio di paradigma richiede un diverso nesso tra le persone, una diversa collocazione della relazione con gli altri, cosa che rende significativa la necessità di mettere al centro il valore di quelle pratiche, imprenditoriali, economiche, sociali capaci di promuovere le relazioni, di valorizzarle, di farne un caposaldo della nostra vita”.
Passiamo, allora, alla presentazione di alcuni dati: alla domanda “Attività svolte dagli intervistati in un raggio di 15-20 minuti a piedi dalla propria abitazione?” le percentuali più basse le hanno presentate il lavoro (34,1%), le attività culturali, ricreative e di volontariato (dal 37 al 44%) e, dato importante, al penultimo posto, il pediatra (con il 36,9%) evidenziando come per la cura dei figli minori, per il lavoro e per la cultura le distanze non hanno più un valore preponderante. Così la recessione ha accentuato una delle peculiarità italiche, quella di porre la famiglia di origine al centro delle relazioni affettive e sociali. Secondo lo studio, un italiano maggiorenne su tre abita con almeno un genitore e il 42% - quando esce di casa - sceglie di non allontanarsi e vive a meno di mezz’ora a piedi dall’abitazione d’origine.
Un’esigenza di vicinanza e di sicurezza che non si affievolisce con l’età, anzi. Riguarda anche i 30-45enni (un quarto dei quali coabita con papà e mamma mentre il 43% vive nei dintorni), i 45-64enni (uno su dieci è rimasto in famiglia e il 57% abita in prossimità), addirittura gli over 65 (un terzo coabita, un altro terzo vive nei paraggi). Nella fascia di mezzo tutto ciò significa non solo contare sull’aiuto dei genitori, ma anche più facilità nell’assistenza quando essi invecchiano.
Più della metà, infine, ha scelto di vivere nei dintorni dei parenti stretti e il 64% degli amici. Una fotografia di territori segnati da reti a maglie strette che da un lato risponde ai crescenti bisogni di tutela e dall’altro spiega la tenuta sociale degli ultimi quattro anni.
Voglia di compagnia che influenza anche la spesa alimentare: l’85% dei cittadini continua ad esempio a fare acquisti quotidiani sotto casa nei piccoli e meno economici negozi di quartiere, preferendoli ai non luoghi del consumo, gli spersonalizzanti ipermercati.
La crisi ha cambiato le abitudini di acquisto del cibo. Quasi un italiano su quattro, 15 milioni di persone, dichiara di far ricerche sul web per confrontare prezzi e qualità. E sul luogo di lavoro si è consolidata la tendenza a portarsi il pranzo preparato a casa magari con gli avanzi della sera prima. Sono quasi otto milioni i lavoratori che in pausa non vanno al bar e ricorrono a gavette per risparmiare ed essere sicuri della qualità e del pranzo.
Il tempo della crisi economica, di questa nefanda recessione, sta ridisegnando la mappa geografica. Oltre un italiano su due, secondo il rapporto, preferirebbe vivere in luoghi dove le persone si conoscono e si aiutano e pensa che vivere in comunità significhi una migliore qualità della vita; il 28% vive già in un luogo simile e la percentuale sale al 47 nei piccoli comuni. “Nelle campagne - conclude Coldiretti - si registra una migliore qualità della vita grazie a una maggiore sicurezza sociale, alla buona alimentazione, a un ambiente più sano e alla semplicità nel costruire rapporti personali più duraturi. Chissà che questa voglia di comunità e di stabilità non inverta la tendenza allo spopolamento delle aree rurali, che rischia di privare il Belpaese di un tesoro nascosto”.
Da tale ricerca si evince che la voglia di famiglia è forte. Non si riesce a formarsene una, per i noti problemi economici e forse psicologici delle nuove generazioni piuttosto fragili, ma si cerca di difendere e consolidare quella di provenienza. Eppure la famiglia riveste un ruolo importantissimo anche dal punto di vista religioso e della crescita della persona in genere. Abitare il presente, sembra emergere dalla ricerca del Censis, significa cercare, pur sotto le pressioni di una quotidianità difficile e piena di difficoltà economiche, di essere ancora come genitori testimoni autorevoli di valori e di tradizioni, come figli sani portatori di innovazione. E io credo che la solidarietà e il sostegno reciproco possano dare la forza per formare un nucleo familiare del tutto nuovo, con una professione di fiducia nel significato della famiglia. Fiducia che essa possa rappresentare una speranza di futuro, una singola, autentica cellula della civiltà dell’amore, quello basato sullo scambio e sulla donazione di sé.
E poi dovremmo tenere sempre acceso il desiderio di dialogare. Dovremo sempre accogliere e confrontarci con ogni famiglia (anche nelle sue forme meno tradizionali, anche quelli che scelgono di fare a meno di consacrazione o di carte bollate ) perché ogni gruppo di persone composto da genitori e da figli è un progetto familiare potenzialmente virtuoso e fecondo.
E poi dovremmo agire, con “azioni” che abbiano come obiettivo quello di aiutare a proteggere il “bene” famiglia. Occorrono politiche rispettose del ruolo centrale della famiglia nella società ed è necessario sostenerle nei luoghi deputati.
di Carlo Mafera
Dal giorno della presentazione della ricerca progettata dal Censis e dalla Coldiretti dal titolo “Vivere bene, vivere meglio” e sottotitolata “Utili, affettive e conviviali: gli italiani e le relazioni nelle comunità”, molti media hanno posto l’accento, nei titoli e nei servizi, sulle difficoltà/opportunità che hanno le giovani generazioni nel lasciare la casa dei genitori e andare a vivere lontano. La crisi quindi si fa sentire e i giovani cercano rifugio e protezione nella famiglia, che rimane, nonostante tutto, l’unico baluardo per affrontare le tempeste economiche e sociali. Eppure nessun governo che si è succeduto a Palazzo Chigi, sia di sinistra che di destra, ha fatto più di tanto per sostenere il nucleo sociale fondamentale per la consistenza di ogni società che si rispetti.
La ricerca del Censis ha rilevato che le crisi si susseguono quando viene privilegiato il primato dell’individuo rispetto a quello della società. Infatti dalla relazione si legge: “In Italia lo sviluppo, da sempre, è stato di popolo, dei tanti soggetti, profondamente radicato nei comportamenti di milioni di persone semplici che, nei vari settori della vita sociale, con le loro pratiche hanno consentito all’economia e alla società italiana in poche generazioni di mutare radicalmente il proprio destino”. E quindi per ragionamento simmetrico si legge anche nella relazione: “Come rilevato, la crisi è anche il portato di un’onda molto lunga tutta centrata sul primato dell’individuo, della soggettività che si è imposto dall’economia ai tanti ambiti della vita quotidiana e sociale; allora, un cambio di paradigma richiede un diverso nesso tra le persone, una diversa collocazione della relazione con gli altri, cosa che rende significativa la necessità di mettere al centro il valore di quelle pratiche, imprenditoriali, economiche, sociali capaci di promuovere le relazioni, di valorizzarle, di farne un caposaldo della nostra vita”.
Passiamo, allora, alla presentazione di alcuni dati: alla domanda “Attività svolte dagli intervistati in un raggio di 15-20 minuti a piedi dalla propria abitazione?” le percentuali più basse le hanno presentate il lavoro (34,1%), le attività culturali, ricreative e di volontariato (dal 37 al 44%) e, dato importante, al penultimo posto, il pediatra (con il 36,9%) evidenziando come per la cura dei figli minori, per il lavoro e per la cultura le distanze non hanno più un valore preponderante. Così la recessione ha accentuato una delle peculiarità italiche, quella di porre la famiglia di origine al centro delle relazioni affettive e sociali. Secondo lo studio, un italiano maggiorenne su tre abita con almeno un genitore e il 42% - quando esce di casa - sceglie di non allontanarsi e vive a meno di mezz’ora a piedi dall’abitazione d’origine.
Un’esigenza di vicinanza e di sicurezza che non si affievolisce con l’età, anzi. Riguarda anche i 30-45enni (un quarto dei quali coabita con papà e mamma mentre il 43% vive nei dintorni), i 45-64enni (uno su dieci è rimasto in famiglia e il 57% abita in prossimità), addirittura gli over 65 (un terzo coabita, un altro terzo vive nei paraggi). Nella fascia di mezzo tutto ciò significa non solo contare sull’aiuto dei genitori, ma anche più facilità nell’assistenza quando essi invecchiano.
Più della metà, infine, ha scelto di vivere nei dintorni dei parenti stretti e il 64% degli amici. Una fotografia di territori segnati da reti a maglie strette che da un lato risponde ai crescenti bisogni di tutela e dall’altro spiega la tenuta sociale degli ultimi quattro anni.
Voglia di compagnia che influenza anche la spesa alimentare: l’85% dei cittadini continua ad esempio a fare acquisti quotidiani sotto casa nei piccoli e meno economici negozi di quartiere, preferendoli ai non luoghi del consumo, gli spersonalizzanti ipermercati.
La crisi ha cambiato le abitudini di acquisto del cibo. Quasi un italiano su quattro, 15 milioni di persone, dichiara di far ricerche sul web per confrontare prezzi e qualità. E sul luogo di lavoro si è consolidata la tendenza a portarsi il pranzo preparato a casa magari con gli avanzi della sera prima. Sono quasi otto milioni i lavoratori che in pausa non vanno al bar e ricorrono a gavette per risparmiare ed essere sicuri della qualità e del pranzo.
Il tempo della crisi economica, di questa nefanda recessione, sta ridisegnando la mappa geografica. Oltre un italiano su due, secondo il rapporto, preferirebbe vivere in luoghi dove le persone si conoscono e si aiutano e pensa che vivere in comunità significhi una migliore qualità della vita; il 28% vive già in un luogo simile e la percentuale sale al 47 nei piccoli comuni. “Nelle campagne - conclude Coldiretti - si registra una migliore qualità della vita grazie a una maggiore sicurezza sociale, alla buona alimentazione, a un ambiente più sano e alla semplicità nel costruire rapporti personali più duraturi. Chissà che questa voglia di comunità e di stabilità non inverta la tendenza allo spopolamento delle aree rurali, che rischia di privare il Belpaese di un tesoro nascosto”.
Da tale ricerca si evince che la voglia di famiglia è forte. Non si riesce a formarsene una, per i noti problemi economici e forse psicologici delle nuove generazioni piuttosto fragili, ma si cerca di difendere e consolidare quella di provenienza. Eppure la famiglia riveste un ruolo importantissimo anche dal punto di vista religioso e della crescita della persona in genere. Abitare il presente, sembra emergere dalla ricerca del Censis, significa cercare, pur sotto le pressioni di una quotidianità difficile e piena di difficoltà economiche, di essere ancora come genitori testimoni autorevoli di valori e di tradizioni, come figli sani portatori di innovazione. E io credo che la solidarietà e il sostegno reciproco possano dare la forza per formare un nucleo familiare del tutto nuovo, con una professione di fiducia nel significato della famiglia. Fiducia che essa possa rappresentare una speranza di futuro, una singola, autentica cellula della civiltà dell’amore, quello basato sullo scambio e sulla donazione di sé.
E poi dovremmo tenere sempre acceso il desiderio di dialogare. Dovremo sempre accogliere e confrontarci con ogni famiglia (anche nelle sue forme meno tradizionali, anche quelli che scelgono di fare a meno di consacrazione o di carte bollate ) perché ogni gruppo di persone composto da genitori e da figli è un progetto familiare potenzialmente virtuoso e fecondo.
E poi dovremmo agire, con “azioni” che abbiano come obiettivo quello di aiutare a proteggere il “bene” famiglia. Occorrono politiche rispettose del ruolo centrale della famiglia nella società ed è necessario sostenerle nei luoghi deputati.
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