giovedì, ottobre 04, 2012
Un ricordo di questo scrittore e storico scomparso nei giorni scorsi a 95 anni. Con i suoi libri e le sue tesi, ha influenzato la comunità scientifica e il mondo intellettuale

Città Nuova - La comunità scientifica ed il mondo intellettuale ricordano Eric Hobsbawm, insigne storico e scrittore dell’ultimo secolo, scomparso il primo ottobre all’età di 95 anni. Nato ad Alessandria d’Egitto il 9 giugno 1917 da famiglia ebrea d’origine austriaca e rimasto orfano fin dalla tenera età, cresce nella Germania che vede l’ascesa al potere di Hitler e dell’ideologia nazista, per poi riparare a Londra insieme agli zii che assumono la tutela sua e dei suoi fratelli. Si distingue per il brillante percorso universitario e dottorale presso il King’s College di Cambridge, divenendo docente di storia al Birkbeck College di Londra fin dal 1959; negli anni, a più riprese, tiene apprezzati corsi presso la Stanford University in California, divenendo in seguito professore emerito in scienze politiche alla New school for social research di Manhattan.

Poliglotta, capace di associare alla profondità della ricerca storica un naturale talento letterario e una fluidità di scrittura, lungo la sua carriera accademica ha dedicato una parte notevole delle proprie ricerche agli sviluppi della rivoluzione industriale, alla storia della classe operaia e del mondo borghese. Attento osservatore dei dati forniti dal contesto sociale, è ricordato per la trilogia edita in Italia da Einaudi negli anni ’60: “Le rivoluzioni borghesi”, “I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale” e “I banditi. Il banditismo sociale nell’età moderna”, opera che gli diede un’immediata notorietà. Studioso di formazione marxista e iscritto al partito comunista inglese anche in anni impegnativi per il proprio riferimento ideologico-culturale, rimarrà celebre per aver coniato alcune definizioni cronologiche che corrispondono anche ai titoli delle sue opere più celebri, come ad esempio “Il secolo breve” (1995), che racchiude la sua rivisitazione delle vicende che abbracciano il periodo che va dalla prima guerra mondiale alla caduta del muro di Berlino. Un pesante rilievo che viene fatto alle sue scelte metodologiche e narrative fa riferimento alla militanza che lo ha portato a sminuire la centralità di alcuni avvenimenti (Il patto Molotov-Ribentropp tra URSS e Germania del 1939, la repressione sovietica in Ungheria del 1956 e il “congelamento” della primavera di Praga del 1968) e a giustificarne la diversa considerazione.

Citato ancora in tempi recentissimi dai giovani di “Occupy Wall Street”, fino all’ultimo ha continuato la sua personale battaglia culturale sulla dicotomia capitalismo-comunismo, pubblicando nel 2011 il volume “Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo”, nel quale ripropone quella che ritiene essere la radicalità e l’attualità del pensiero e della prassi di Marx, considerato uno tra i pensatori più diffusi ed influenti nella storia del pensiero politico. Apparentemente acritico verso la rappresentazione del mondo analizzata e raccontata in una vita intellettuale ed accademica piuttosto lunga, piace pensare (o almeno sperare) che il benefico tarlo del dubbio e la necessità del confronto siano cresciuti anche in Hobsbawm, secondo quanto da egli riportato all’interno di uno dei suoi più noti aforismi: “La maggior parte degli esseri umani si comporta come lo storico: riconosce la natura della propria esperienza solo alla fine, retrospettivamente”.

Marco Luppi

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