Tante le nuove uscite nelle sale: dall'ultima opera di Bertolucci a "Viva l'Italia" con Michele Placido, dall'"Amour" di Michael Haneke a "Le belve" di Oliver Stone.
Città Nuova - Il mondo dell’adolescenza è esplorato da due film diversi, ma ricchi entrambi di significato. Il primo è "Io e te", l’atteso ritorno di Bernardo Bertolucci, dopo anni difficili a causa della malattia. Il regista torna ad occuparsi di storie intime, questa volta è il rapporto tra fratello e sorella, che si svolge al chiuso di una cantina, dove Lorenzo (il giovane e già ottimo Jacopo Olmo Antinori) vi si è rifugiato, fingendo di andare in settimana bianca. Chiuso e timido si incontra-scontra con la disinibita e infelice sorellastra Olivia (la bravissima siciliana Tea Falco). È un gioco, una lotta fra due mondi: l’adolescenza incerta fra scoperte e paure, una giovinezza intristita e protesa verso la morte. La bellezza del film sta pure nel fatto che non sembra mai di essere al chiuso, tanto i dialoghi, la fotografia che privilegia lunghi e intensi primissimi piani, l’aria sospesa tra tensione e dolore, prendono lo spettatore. È l’amore che alla fine si rivela timidamente fra i due. Memorabile la sequenza conclusiva, con la sorella che va per la sua via – forse di morte (così almeno è nel testo di Ammaniti da cui il film è tratto) – mentre lui sorride verso la scoperta di qualcosa di nuovo. Dolorosa e rarefatta la presenza-assenza del mondo genitoriale.
Ancora degli adolescenti, tre ragazzi, Zak, Seth e Dany, sono protagonisti in "Un’estate da giganti" di Bouli Lanners. Piccolo film da non perdere, perché giocato tutto sulla psicologia dei tre giovani, nella loro difficile vita di persone abbandonate a loro stesse nelle campagne della Vallonia. Genitori scomparsi, una madre che telefona ogni tanto. Bisogno di affetto, ricerca di compagnia, scoperte della vita e del mondo intorno, come dei vicini grossolani e talora degradati. È un viaggio dentro un piccolo mondo disumanizzato in cui i tre imparano a loro spese a vivere. Girato con inquadrature poetiche del bellissimo paesaggio, il film è un racconto di formazione delicato e gentile e si chiude con un taglio doloroso. La telefonata della madre a cui non si risponde: anzi, si getta in acqua il cellulare e si inizia un nuovo viaggio in barca. Verso dove? Difficile saperlo, ma fa certo parte della vita. Parabola e realtà vanno insieme in questo piccolo gioiello.
Fortemente drammatico e nello steso tempo delicato e trepidante è "Amour", Palma d’oro a Cannes 2012, di Michael Haneke con Isabelle Huppert e due grandi vecchi: Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva. La storia narra di due anziani musicisti, Georges e Annes, ormai in pensione. Vivono tranquillamente fra incontri, concerti e qualche visita della figlia Eva, che vive all’estero. La serenità della coppia è turbata dall’ictus che colpisce Anne. Georges inizia una nuova vita. La tenerezza, l’amore squisito con cui la accudisce, vengono dipinti in scene commosse. Il film palpita di sfumature d’amore veramente sottili e la recitazione dei due attori è di quelle memorabili. L’amore fra i due anziani coniugi si conclude con la richiesta di Anne di poter passare all’altra vita, aiutata dal marito, disperato della propria inanità. Questa conclusione di “compassione”, in verità, non nasconde una sottile ambiguità e pare un messaggio in sordina sulla necessità della “dolce morte” compassionevole (ormai consueto al cinema) da parte del regista.
Altra cosa è la commedia romanocentrica "Viva l’Italia" di Massimiliano Bruno, dal titolo fra l’ironico, il sarcastico e il quasi-disperato. La commediola nostrana infatti, al di la dei consueti cliché riciclati e un po’ manierati, è un atto di denuncia gridata contro un Paese di bamboccioni, politicanti ipocriti, media infarciti di stupidaggini… alla faccia di poca gente perbene. Michele Placido è il politico meridionale Michele Spagnolo, difensore della famiglia e perciò molto votato, che tuttavia, colpito da un ictus è costretto a dire sempre e comunque la verità. A cominciare da sé stesso. Ammette i tradimenti alla moglie, le mazzette date e prese, le raccomandazioni per i figli – sia al generoso medico (Raoul Bova) come al figlio bamboccione (Alessandro Gassman) e alla figlia attrice “del nulla” (Ambra Angiolini). Poi passa a denunciare il suo stesso partito e la classe politica. Amarognolo, il film ride, ma anche presenta gente perbene – rara – accanto ai soliti imbroglioni di una Italia caduta davvero in basso. Si può sperare di risorgere? Forse sì. Oltre la tirata finale di Placido, il film scherza sui nostri vizi, ma non troppo, e propone anche un messaggio: quello di dir sempre la verità. Nell’Italia dei furbetti non è poco.
Non si capisce bene perché un regista come Oliver Stone sia incappato in un film come "Le Belve". Tratto dal romanzo omonimo di Don Winslow è una storia sgangherata – ma alla grande, perché Stone è pur sempre Stone – di due ragazzotti che hanno fatto i soldi con la marijuana e vivono la bella vita con una amichetta di cui condividono le grazie. Ma ci si mette di mezzo la superdonna Elena – una stupenda Sayma Hayek, stile anni Trenta – e le cose si complicano. Si mettono in mezzo anche un poliziotto corrotto e uno scagnozzo di Elena, rispettivamente John Travolta e Benicio Del Toro che caricaturizzano loro stessi e sono la miglior performance di un film che è una versione alla Tarantino, ma riciclata, di erotismo, violenze, crudeltà, sparatorie e personaggi ininfluenti, come la bionda Blake Lively. Per di più la voce fuori campo ci regala ben due finali, uno onirico di un suicidio a tre e l’altro rassicurante della serie “ve l’abbiamo fatta”. Ogni tanto anche i grandi registi sonnecchiano e questo è proprio il caso. Anche se, ripetiamolo, Stone è sempre Stone, uno che sa fare cinema.
Città Nuova - Il mondo dell’adolescenza è esplorato da due film diversi, ma ricchi entrambi di significato. Il primo è "Io e te", l’atteso ritorno di Bernardo Bertolucci, dopo anni difficili a causa della malattia. Il regista torna ad occuparsi di storie intime, questa volta è il rapporto tra fratello e sorella, che si svolge al chiuso di una cantina, dove Lorenzo (il giovane e già ottimo Jacopo Olmo Antinori) vi si è rifugiato, fingendo di andare in settimana bianca. Chiuso e timido si incontra-scontra con la disinibita e infelice sorellastra Olivia (la bravissima siciliana Tea Falco). È un gioco, una lotta fra due mondi: l’adolescenza incerta fra scoperte e paure, una giovinezza intristita e protesa verso la morte. La bellezza del film sta pure nel fatto che non sembra mai di essere al chiuso, tanto i dialoghi, la fotografia che privilegia lunghi e intensi primissimi piani, l’aria sospesa tra tensione e dolore, prendono lo spettatore. È l’amore che alla fine si rivela timidamente fra i due. Memorabile la sequenza conclusiva, con la sorella che va per la sua via – forse di morte (così almeno è nel testo di Ammaniti da cui il film è tratto) – mentre lui sorride verso la scoperta di qualcosa di nuovo. Dolorosa e rarefatta la presenza-assenza del mondo genitoriale.
Ancora degli adolescenti, tre ragazzi, Zak, Seth e Dany, sono protagonisti in "Un’estate da giganti" di Bouli Lanners. Piccolo film da non perdere, perché giocato tutto sulla psicologia dei tre giovani, nella loro difficile vita di persone abbandonate a loro stesse nelle campagne della Vallonia. Genitori scomparsi, una madre che telefona ogni tanto. Bisogno di affetto, ricerca di compagnia, scoperte della vita e del mondo intorno, come dei vicini grossolani e talora degradati. È un viaggio dentro un piccolo mondo disumanizzato in cui i tre imparano a loro spese a vivere. Girato con inquadrature poetiche del bellissimo paesaggio, il film è un racconto di formazione delicato e gentile e si chiude con un taglio doloroso. La telefonata della madre a cui non si risponde: anzi, si getta in acqua il cellulare e si inizia un nuovo viaggio in barca. Verso dove? Difficile saperlo, ma fa certo parte della vita. Parabola e realtà vanno insieme in questo piccolo gioiello.
Fortemente drammatico e nello steso tempo delicato e trepidante è "Amour", Palma d’oro a Cannes 2012, di Michael Haneke con Isabelle Huppert e due grandi vecchi: Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva. La storia narra di due anziani musicisti, Georges e Annes, ormai in pensione. Vivono tranquillamente fra incontri, concerti e qualche visita della figlia Eva, che vive all’estero. La serenità della coppia è turbata dall’ictus che colpisce Anne. Georges inizia una nuova vita. La tenerezza, l’amore squisito con cui la accudisce, vengono dipinti in scene commosse. Il film palpita di sfumature d’amore veramente sottili e la recitazione dei due attori è di quelle memorabili. L’amore fra i due anziani coniugi si conclude con la richiesta di Anne di poter passare all’altra vita, aiutata dal marito, disperato della propria inanità. Questa conclusione di “compassione”, in verità, non nasconde una sottile ambiguità e pare un messaggio in sordina sulla necessità della “dolce morte” compassionevole (ormai consueto al cinema) da parte del regista.
Altra cosa è la commedia romanocentrica "Viva l’Italia" di Massimiliano Bruno, dal titolo fra l’ironico, il sarcastico e il quasi-disperato. La commediola nostrana infatti, al di la dei consueti cliché riciclati e un po’ manierati, è un atto di denuncia gridata contro un Paese di bamboccioni, politicanti ipocriti, media infarciti di stupidaggini… alla faccia di poca gente perbene. Michele Placido è il politico meridionale Michele Spagnolo, difensore della famiglia e perciò molto votato, che tuttavia, colpito da un ictus è costretto a dire sempre e comunque la verità. A cominciare da sé stesso. Ammette i tradimenti alla moglie, le mazzette date e prese, le raccomandazioni per i figli – sia al generoso medico (Raoul Bova) come al figlio bamboccione (Alessandro Gassman) e alla figlia attrice “del nulla” (Ambra Angiolini). Poi passa a denunciare il suo stesso partito e la classe politica. Amarognolo, il film ride, ma anche presenta gente perbene – rara – accanto ai soliti imbroglioni di una Italia caduta davvero in basso. Si può sperare di risorgere? Forse sì. Oltre la tirata finale di Placido, il film scherza sui nostri vizi, ma non troppo, e propone anche un messaggio: quello di dir sempre la verità. Nell’Italia dei furbetti non è poco.
Non si capisce bene perché un regista come Oliver Stone sia incappato in un film come "Le Belve". Tratto dal romanzo omonimo di Don Winslow è una storia sgangherata – ma alla grande, perché Stone è pur sempre Stone – di due ragazzotti che hanno fatto i soldi con la marijuana e vivono la bella vita con una amichetta di cui condividono le grazie. Ma ci si mette di mezzo la superdonna Elena – una stupenda Sayma Hayek, stile anni Trenta – e le cose si complicano. Si mettono in mezzo anche un poliziotto corrotto e uno scagnozzo di Elena, rispettivamente John Travolta e Benicio Del Toro che caricaturizzano loro stessi e sono la miglior performance di un film che è una versione alla Tarantino, ma riciclata, di erotismo, violenze, crudeltà, sparatorie e personaggi ininfluenti, come la bionda Blake Lively. Per di più la voce fuori campo ci regala ben due finali, uno onirico di un suicidio a tre e l’altro rassicurante della serie “ve l’abbiamo fatta”. Ogni tanto anche i grandi registi sonnecchiano e questo è proprio il caso. Anche se, ripetiamolo, Stone è sempre Stone, uno che sa fare cinema.
di Mario Dal Bello
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