Gennaro Spina, 26 anni, ucciso martedì scorso poco dopo le 15, in via Stelvio, nel rione Berlingieri a Secondigliano, era agli arresti domiciliari nella comunità “Liberiamo la vita”, ubicata in una villa costruita nella cintura esterna della città, al confine con San Cipriano di Aversa.
Liberainformazione - Gennaro Spina era uscito insieme ad una ragazza, operatrice volontaria della comunità, per fare delle commissioni. Gli inquirenti sospettano che Spina fosse il vero obiettivo dei killer la sera del 15 ottobre nel quartiere Marianella, quando fu ucciso Pasquale Romano. Tra i due, infatti, c’è una forte somiglianza. Inoltre Gennaro Spina, che dagli investigatori viene collocato vicino al clan dei “Girati”, in guerra con gli scissionisti per il controllo delle piazze dello spaccio di droga, viaggiava a bordo di una Renault Clio, stesso modello di auto posseduta da Lino Romano. “Gennaro Spina quando è arrivato da noi – spiega Luciano Borrelli, uno dei responsabili della Comunità “Liberiamo la vita” di Casal di Principe – non era in carcere. Scontava già gli arresti presso un’altra comunità, la “Nuovi amici” di Torre del Greco. E’ stata la mamma a chiederci la disponibilità di accettarlo qui, perché più vicino alla loro abitazione. La famiglia, infatti, abita al Vomero. Spina si trovava fuori dalla comunità perché era uscito insieme ad una operatrice volontaria. Aveva il permesso del giudice per poter uscire. Doveva fare delle compere. Piccole spese per lavori di riparazione occorrenti alla nostra struttura. Non so perché si trovasse a proprio Secondigliano – dice Borrelli - nessuna spiegazione abbiamo avuto nemmeno dalla ragazza che era con lui, perché non è più ritornata in Comunità. Era una volontaria. E per noi è irrintracciabile. Non riusciamo a metterci in contatto con lei. Tra i due, peraltro, s’era creato un rapporto affettivo particolare. Insomma, erano più che amici. Perciò potrebbe essere una testimone importante dell’omicidio e potrebbe fare chiarezza sul perché erano a secondigliano”.
Nella comunità di Casal di Principe sono attualmente ospitate altre 26 persone, detenuti che scontano la pena alternativa al carcere e che provengono da varie regioni italiane. Un fenomeno, quello delle comunità di accoglienza per detenuti che è sotto l’osservazione attenta degli investigatori. Sospettano che possa rappresentare per i camorristi il modo per scontare la pena fuori dal carcere attraverso perizie mediche compiacenti. “Il trasferimento del detenuto in comunità dice Luciano Borrelli - non avviene perché lo richiede la struttura, ma è disposto da un giudice che deve vagliare la documentazione presentata e ritenerla adeguata. La comunità, come avvenuto per Gennaro Spina, si limita a fare un colloquio in carcere con la persona che chiede di essere ospitato. Nel caso di Gennaro Spina, dopo che la mamma ha chiesto la disponibilità ad accoglierlo, sono stato io a fargli il colloquio. Da noi si paga una retta di 500 euro mensili. Perché è una struttura privata, non convenzionata con l’ASL. Ma anche quando la famiglia ha difficoltà a pagare la retta, noi non ci tiriamo indietro. Spina - dice Borrelli - non aveva problemi di droga. In quel caso non avremmo potuto accettarlo perché nella comunità non si fanno terapie sanitarie, ma solo psicologiche. Non risultava affiliato ad alcun clan, non aveva il 416 bis e non apparteneva a famiglie con legami di camorra”.
Due anni fa, però, Gennaro Spina era stato arrestato in un'operazione antidroga con l'accusa di raccogliere i soldi dai tossici per l'acquisto delle dosi. E se è vero che gli investigatori lo ritengono vicino al clan dei “Girati”, qualcosa non quadra. Vogliono vederci più chiaro i PM Sergio Amato ed Enrica Parascandolo che seguono il caso di Pasquale Romano. Perciò hanno chiesto di esaminare il fascicolo relativo alla morte di Gennaro Spina, perché dai suoi precedenti forse si potranno chiarire molte cose. Non ultima il perché dell’uccisione di un ragazzo come Pasquale Romano, che non c’entra nulla con la faida in corso a Scampìa.
Fonte: Fiorisci terra mia
Liberainformazione - Gennaro Spina era uscito insieme ad una ragazza, operatrice volontaria della comunità, per fare delle commissioni. Gli inquirenti sospettano che Spina fosse il vero obiettivo dei killer la sera del 15 ottobre nel quartiere Marianella, quando fu ucciso Pasquale Romano. Tra i due, infatti, c’è una forte somiglianza. Inoltre Gennaro Spina, che dagli investigatori viene collocato vicino al clan dei “Girati”, in guerra con gli scissionisti per il controllo delle piazze dello spaccio di droga, viaggiava a bordo di una Renault Clio, stesso modello di auto posseduta da Lino Romano. “Gennaro Spina quando è arrivato da noi – spiega Luciano Borrelli, uno dei responsabili della Comunità “Liberiamo la vita” di Casal di Principe – non era in carcere. Scontava già gli arresti presso un’altra comunità, la “Nuovi amici” di Torre del Greco. E’ stata la mamma a chiederci la disponibilità di accettarlo qui, perché più vicino alla loro abitazione. La famiglia, infatti, abita al Vomero. Spina si trovava fuori dalla comunità perché era uscito insieme ad una operatrice volontaria. Aveva il permesso del giudice per poter uscire. Doveva fare delle compere. Piccole spese per lavori di riparazione occorrenti alla nostra struttura. Non so perché si trovasse a proprio Secondigliano – dice Borrelli - nessuna spiegazione abbiamo avuto nemmeno dalla ragazza che era con lui, perché non è più ritornata in Comunità. Era una volontaria. E per noi è irrintracciabile. Non riusciamo a metterci in contatto con lei. Tra i due, peraltro, s’era creato un rapporto affettivo particolare. Insomma, erano più che amici. Perciò potrebbe essere una testimone importante dell’omicidio e potrebbe fare chiarezza sul perché erano a secondigliano”.
Nella comunità di Casal di Principe sono attualmente ospitate altre 26 persone, detenuti che scontano la pena alternativa al carcere e che provengono da varie regioni italiane. Un fenomeno, quello delle comunità di accoglienza per detenuti che è sotto l’osservazione attenta degli investigatori. Sospettano che possa rappresentare per i camorristi il modo per scontare la pena fuori dal carcere attraverso perizie mediche compiacenti. “Il trasferimento del detenuto in comunità dice Luciano Borrelli - non avviene perché lo richiede la struttura, ma è disposto da un giudice che deve vagliare la documentazione presentata e ritenerla adeguata. La comunità, come avvenuto per Gennaro Spina, si limita a fare un colloquio in carcere con la persona che chiede di essere ospitato. Nel caso di Gennaro Spina, dopo che la mamma ha chiesto la disponibilità ad accoglierlo, sono stato io a fargli il colloquio. Da noi si paga una retta di 500 euro mensili. Perché è una struttura privata, non convenzionata con l’ASL. Ma anche quando la famiglia ha difficoltà a pagare la retta, noi non ci tiriamo indietro. Spina - dice Borrelli - non aveva problemi di droga. In quel caso non avremmo potuto accettarlo perché nella comunità non si fanno terapie sanitarie, ma solo psicologiche. Non risultava affiliato ad alcun clan, non aveva il 416 bis e non apparteneva a famiglie con legami di camorra”.
Due anni fa, però, Gennaro Spina era stato arrestato in un'operazione antidroga con l'accusa di raccogliere i soldi dai tossici per l'acquisto delle dosi. E se è vero che gli investigatori lo ritengono vicino al clan dei “Girati”, qualcosa non quadra. Vogliono vederci più chiaro i PM Sergio Amato ed Enrica Parascandolo che seguono il caso di Pasquale Romano. Perciò hanno chiesto di esaminare il fascicolo relativo alla morte di Gennaro Spina, perché dai suoi precedenti forse si potranno chiarire molte cose. Non ultima il perché dell’uccisione di un ragazzo come Pasquale Romano, che non c’entra nulla con la faida in corso a Scampìa.
Fonte: Fiorisci terra mia
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