Il disegno di legge verrà discusso in Senato mercoledì prossimo, salvo ulteriori rallentamenti. La svolta, però, deve arrivare da partiti e cittadini, che dovrebbero impegnarsi a proporre e votare persone di riconosciuta moralità
Città Nuova - Il Senato si dà tempi stretti. Dopo che il ministro Paola Severino ha presentato tre proposte di emendamento al Ddl in discussione, alcuni gruppi parlamentari (PD e IdV), hanno deciso di ritirare i propri emendamenti, ritenendo che quelli presentati dal governo rappresentino una buona mediazione, perché, da un lato, migliorano la qualità e l'efficacia del provvedimento su punti di fondamentale importanza, e, da un altro lato, recepiscono le osservazioni critiche della convenzione di Strasburgo riguardo ai nuovi reati di traffico di influenze illecite e di corruzione privata. Sembra che, al Senato, ci sia l'impegno di tutti a definire l'esame del ddl anti-corruzione, con una scaletta serrata. Entro le ore 12 di lunedì 8 ottobre dovranno essere presentati eventuali sub-emendamenti alle proposte di modifica della Severino. A partire dalle ore 14 di martedì 9 verranno dati i pareri su tutti gli emendamenti e verranno illustrati i sub-emendamenti. Poi, in seduta notturna, le due Commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato (che esaminano congiuntamente il provvedimento), concluderanno l'esame del testo, per farlo poi approdare in Aula mercoledì 10. Siamo dunque in dirittura di arrivo? Vogliamo sperarlo. Rimane aperto un punto ancora controverso: l’incandidabilità dei condannati. La norma sarà applicata sin dalle elezioni politiche della prossima primavera? C’è, ovviamente, da augurarselo. Ma il punto non sta qui.
È indispensabile una legge per fare pulizia? È questa la domanda che il cittadino comune si pone. I partiti politici, da soli, anche senza l’esistenza di norme cogenti, non potrebbero (e dovrebbero) usare "ramazza e secchio" per fare opera di bonifica al proprio interno? È questo il nodo cruciale: i criteri di rigorosa selezione del ceto politico. Non potrà compiutamente affermarsi una cultura della legalità se non facendo fronte comune (cittadini, mondo delle professioni, organizzazioni di categoria, politici e rappresentanti delle istituzioni) e costituendo una diga nei confronti del fenomeno anti-sociale della corruzione. Per questa ragione è indispensabile definire in modo univoco la cosidetta “area grigia”. L’ampiezza di quest’area è di difficile valutazione: essa appare comunque necessaria alle cosche mafiose per gestire le proprie attività economiche illegali e per assicurarsi la sopravvivenza. La società civile è chiamata a fare per intero la propria parte; il mondo della politica, per l’autorevolezza del ruolo e per le responsabilità che le competono, dovrà fare anche di più. Come? Tutti i partiti politici dovrebbero impegnarsi ad estromettere dalla vita politica – e, a tal fine, non solo a non inserire tra le liste dei propri candidati, ma anche a non designare per incarichi di gestione politica nelle compagini governative, negli esecutivi delle giunte amministrative, ai vertici e nei consigli di amministrazione di Enti di sottogoverno di ogni livello – persone che 1) abbiano riportato condanne penali per reati contro la pubblica amministrazione; 2) siano sottoposte a giudizio per gravi reati di collusione con organizzazioni mafiose; 3) abbiano acclarati conflitti di interesse con l’amministrazione pubblica, per la titolarità di attività imprenditoriali che possano ricavare vantaggi diretti e/o indiretti dall’esercizio personale di un ruolo pubblico.
Sono possibili deroghe? Può un partito, ad esempio, candidare un proprio esponente benché condannato per un reato contro la pubblica amministrazione? In mancanza di un espresso divieto normativo, certo, questo è possibile. Ma in tal caso il partito dovrà dirlo pubblicamente e motivare la scelta, con decisione collettiva, garantendo per la integrità di quel candidato, nonostante la condanna. E bisognerà spiegarlo agli elettori. Il principio generale da affermare è che i partiti si impegnino a valutare e scegliere candidati di cui sia nota la moralità pubblica, tenendo conto di tutte le conoscenze ed informazioni disponibili. È il partito che deve assumersi, di fronte ai cittadini elettori, la responsabilità di fornire garanzie di integrità per ciascuno dei propri candidati. I cittadini elettori decideranno, poi, se votarli oppure no.
di Marco Fatuzzo
Città Nuova - Il Senato si dà tempi stretti. Dopo che il ministro Paola Severino ha presentato tre proposte di emendamento al Ddl in discussione, alcuni gruppi parlamentari (PD e IdV), hanno deciso di ritirare i propri emendamenti, ritenendo che quelli presentati dal governo rappresentino una buona mediazione, perché, da un lato, migliorano la qualità e l'efficacia del provvedimento su punti di fondamentale importanza, e, da un altro lato, recepiscono le osservazioni critiche della convenzione di Strasburgo riguardo ai nuovi reati di traffico di influenze illecite e di corruzione privata. Sembra che, al Senato, ci sia l'impegno di tutti a definire l'esame del ddl anti-corruzione, con una scaletta serrata. Entro le ore 12 di lunedì 8 ottobre dovranno essere presentati eventuali sub-emendamenti alle proposte di modifica della Severino. A partire dalle ore 14 di martedì 9 verranno dati i pareri su tutti gli emendamenti e verranno illustrati i sub-emendamenti. Poi, in seduta notturna, le due Commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato (che esaminano congiuntamente il provvedimento), concluderanno l'esame del testo, per farlo poi approdare in Aula mercoledì 10. Siamo dunque in dirittura di arrivo? Vogliamo sperarlo. Rimane aperto un punto ancora controverso: l’incandidabilità dei condannati. La norma sarà applicata sin dalle elezioni politiche della prossima primavera? C’è, ovviamente, da augurarselo. Ma il punto non sta qui.
È indispensabile una legge per fare pulizia? È questa la domanda che il cittadino comune si pone. I partiti politici, da soli, anche senza l’esistenza di norme cogenti, non potrebbero (e dovrebbero) usare "ramazza e secchio" per fare opera di bonifica al proprio interno? È questo il nodo cruciale: i criteri di rigorosa selezione del ceto politico. Non potrà compiutamente affermarsi una cultura della legalità se non facendo fronte comune (cittadini, mondo delle professioni, organizzazioni di categoria, politici e rappresentanti delle istituzioni) e costituendo una diga nei confronti del fenomeno anti-sociale della corruzione. Per questa ragione è indispensabile definire in modo univoco la cosidetta “area grigia”. L’ampiezza di quest’area è di difficile valutazione: essa appare comunque necessaria alle cosche mafiose per gestire le proprie attività economiche illegali e per assicurarsi la sopravvivenza. La società civile è chiamata a fare per intero la propria parte; il mondo della politica, per l’autorevolezza del ruolo e per le responsabilità che le competono, dovrà fare anche di più. Come? Tutti i partiti politici dovrebbero impegnarsi ad estromettere dalla vita politica – e, a tal fine, non solo a non inserire tra le liste dei propri candidati, ma anche a non designare per incarichi di gestione politica nelle compagini governative, negli esecutivi delle giunte amministrative, ai vertici e nei consigli di amministrazione di Enti di sottogoverno di ogni livello – persone che 1) abbiano riportato condanne penali per reati contro la pubblica amministrazione; 2) siano sottoposte a giudizio per gravi reati di collusione con organizzazioni mafiose; 3) abbiano acclarati conflitti di interesse con l’amministrazione pubblica, per la titolarità di attività imprenditoriali che possano ricavare vantaggi diretti e/o indiretti dall’esercizio personale di un ruolo pubblico.
Sono possibili deroghe? Può un partito, ad esempio, candidare un proprio esponente benché condannato per un reato contro la pubblica amministrazione? In mancanza di un espresso divieto normativo, certo, questo è possibile. Ma in tal caso il partito dovrà dirlo pubblicamente e motivare la scelta, con decisione collettiva, garantendo per la integrità di quel candidato, nonostante la condanna. E bisognerà spiegarlo agli elettori. Il principio generale da affermare è che i partiti si impegnino a valutare e scegliere candidati di cui sia nota la moralità pubblica, tenendo conto di tutte le conoscenze ed informazioni disponibili. È il partito che deve assumersi, di fronte ai cittadini elettori, la responsabilità di fornire garanzie di integrità per ciascuno dei propri candidati. I cittadini elettori decideranno, poi, se votarli oppure no.
di Marco Fatuzzo
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