I vescovi della Chiesa siciliana scagliano parole dure su chi usa l’antimafia per costruirsi carriere e vive di proclami senza rispetto per le istituzioni e per il loro funzionamento
Città Nuova - Il mestiere di giornalista deve saper cogliere – ben prima di tanti altri – il vagito della novità, che è poi la notizia. Il giornalista, in buona sostanza, non fotografa solo la realtà, deve riuscire a intravvedere anche l’alba. Fatta questa premessa, ecco cosa sente il mio orecchio poggiato sul cuore della mia terra. In altri articoli sulla beatificazione di don Puglisi, invitavo i lettori ad essere ancora più attenti a quel che poteva accadere nelle Chiese siciliane. Il seme che è morto, il sangue versato, non è stato vano. I frutti devono vedersi. E qualche segnale inizia ad arrivare. Forte e chiaro è quello che arriva dal cardinale di Palermo, Paolo Romeo, che a margine dei lavori della sessione autunnale della Conferenza episcopale siciliana si è pronunciato sulle imminenti elezioni regionali: il 28 ottobre si vota infatti per eleggere il presidente della regione e il Parlamento siciliano.
«In Sicilia il fenomeno della corruzione è più grave che altrove, per via dei legami con la politica, eppure in questa campagna elettorale – ha detto – non si indicano prospettive concrete ma ci si limita a discorsi generici». Romeo è andato giù duro. «Tutti – ha ribadito il cardinale – lottiamo contro la mafia quando viviamo nella legalità. Chi dice di combattere la mafia non deve fare proclami, ma deve solo impegnarsi a far funzionare l’istituzione cui è preposto. Così è anche per noi responsabili delle comunità ecclesiali!». Parole come pietre che richiamano alla mente la testimonianza di don Puglisi nel suo quartiere Brancaccio: zero proclami ed impegno a far funzionare «l’istituzione cui era preposto»: la comunità e la parrocchia.
Come non cogliere in questi segnali il mutamento dell’idea stessa di contrasto alle mafie e di promozione della legalità? I segni dei tempi non mancano di stupire. E non mancano di esprimersi in diversi modi e luoghi. Sabato 29 settembre: festa di san Michele arcangelo, patrono della città di Caltanissetta, al centro della Sicilia. Non sempre compresa e ritenuta spesso ultima “provincia dell’Impero”, viene considerato un territorio che non produce notizie. Eppure, proprio Città Nuova ha colto l’interessante segno di discontinuità con la mafia dei "Tavoli per la legalità" promossi dalla locale Confindustria, Camera di commercio e varie realtà del territorio. Nella omelia per il Santo patrono, il vescovo della città, Mario Russotto, parla di antimafia come «pura retorica» e in alcuni casi come «ascensore per le carriere». «Basta con la mafiosità camuffata di legalità!».
«Basta dunque – ha detto Russotto – con gli inganni dei manovratori e di coloro che per fare carriera sbandierano i princìpi di legalità». Ce n’è abbastanza per provocare una seria riflessione anche nel mondo cattolico impegnato per la legalità. E in chi è impegnato da magistrato in una della Ppocure più calde d’Italia. «Il vescovo Russotto – ha dichiarato Giovanbattista Tona, magistrato del Tribunale di Caltanissetta e presidente dell'Associazione magistrati – ha voluto sferzare la deriva dell’antimafia senza contenuti autentici, senza un’anima civile e senza fedeltà al messaggio evangelico; ci ha ricordato che il rifiuto della mafia è la conseguenza più autentica della profonda fedeltà ai valori dell’uomo, non un gesto di maniera, un adempimento formale o peggio uno strumento di carriera».
E prosegue: «Ha dato da meditare a chi, dietro le bandiere dell’antimafia, pretende rendite di posizione, ma anche a chi critica l’antimafia altrui solo per giustificare la propria ignavia e i propri compromessi o per tornare ad avere il potere che ora non ha più». Giovanbattista Tona fa notare un altro aspetto interessante: la scelta del vescovo di pronunziare queste parole in occasione della festa della città, momento in cui in modo visibile la comunità cittadina diventa tutt’uno con la comunità ecclesiale. E il messaggio è stato chiaro per entrambe.
Roberto Mazzarella
Città Nuova - Il mestiere di giornalista deve saper cogliere – ben prima di tanti altri – il vagito della novità, che è poi la notizia. Il giornalista, in buona sostanza, non fotografa solo la realtà, deve riuscire a intravvedere anche l’alba. Fatta questa premessa, ecco cosa sente il mio orecchio poggiato sul cuore della mia terra. In altri articoli sulla beatificazione di don Puglisi, invitavo i lettori ad essere ancora più attenti a quel che poteva accadere nelle Chiese siciliane. Il seme che è morto, il sangue versato, non è stato vano. I frutti devono vedersi. E qualche segnale inizia ad arrivare. Forte e chiaro è quello che arriva dal cardinale di Palermo, Paolo Romeo, che a margine dei lavori della sessione autunnale della Conferenza episcopale siciliana si è pronunciato sulle imminenti elezioni regionali: il 28 ottobre si vota infatti per eleggere il presidente della regione e il Parlamento siciliano.
«In Sicilia il fenomeno della corruzione è più grave che altrove, per via dei legami con la politica, eppure in questa campagna elettorale – ha detto – non si indicano prospettive concrete ma ci si limita a discorsi generici». Romeo è andato giù duro. «Tutti – ha ribadito il cardinale – lottiamo contro la mafia quando viviamo nella legalità. Chi dice di combattere la mafia non deve fare proclami, ma deve solo impegnarsi a far funzionare l’istituzione cui è preposto. Così è anche per noi responsabili delle comunità ecclesiali!». Parole come pietre che richiamano alla mente la testimonianza di don Puglisi nel suo quartiere Brancaccio: zero proclami ed impegno a far funzionare «l’istituzione cui era preposto»: la comunità e la parrocchia.
Come non cogliere in questi segnali il mutamento dell’idea stessa di contrasto alle mafie e di promozione della legalità? I segni dei tempi non mancano di stupire. E non mancano di esprimersi in diversi modi e luoghi. Sabato 29 settembre: festa di san Michele arcangelo, patrono della città di Caltanissetta, al centro della Sicilia. Non sempre compresa e ritenuta spesso ultima “provincia dell’Impero”, viene considerato un territorio che non produce notizie. Eppure, proprio Città Nuova ha colto l’interessante segno di discontinuità con la mafia dei "Tavoli per la legalità" promossi dalla locale Confindustria, Camera di commercio e varie realtà del territorio. Nella omelia per il Santo patrono, il vescovo della città, Mario Russotto, parla di antimafia come «pura retorica» e in alcuni casi come «ascensore per le carriere». «Basta con la mafiosità camuffata di legalità!».
«Basta dunque – ha detto Russotto – con gli inganni dei manovratori e di coloro che per fare carriera sbandierano i princìpi di legalità». Ce n’è abbastanza per provocare una seria riflessione anche nel mondo cattolico impegnato per la legalità. E in chi è impegnato da magistrato in una della Ppocure più calde d’Italia. «Il vescovo Russotto – ha dichiarato Giovanbattista Tona, magistrato del Tribunale di Caltanissetta e presidente dell'Associazione magistrati – ha voluto sferzare la deriva dell’antimafia senza contenuti autentici, senza un’anima civile e senza fedeltà al messaggio evangelico; ci ha ricordato che il rifiuto della mafia è la conseguenza più autentica della profonda fedeltà ai valori dell’uomo, non un gesto di maniera, un adempimento formale o peggio uno strumento di carriera».
E prosegue: «Ha dato da meditare a chi, dietro le bandiere dell’antimafia, pretende rendite di posizione, ma anche a chi critica l’antimafia altrui solo per giustificare la propria ignavia e i propri compromessi o per tornare ad avere il potere che ora non ha più». Giovanbattista Tona fa notare un altro aspetto interessante: la scelta del vescovo di pronunziare queste parole in occasione della festa della città, momento in cui in modo visibile la comunità cittadina diventa tutt’uno con la comunità ecclesiale. E il messaggio è stato chiaro per entrambe.
Roberto Mazzarella
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