La violenza in Siria non risparmia neanche i bambini, in 8 sono morti ieri nella provincia di Idlib.
Radio Vaticana - Sempre ieri sono state un centinaio, secondo l’opposizione, le vittime mentre la battaglia per ore ha riguardato il suk di Aleppo, patrimonio dell’umanità, i danni sono ormai irreparabili. Intanto un nuovo appello è stato lanciato dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Marina Calculli: ascolta
I combattimenti ad Aleppo sono arrivati fin dentro il suk, il mercato storico della città, già in buona parte bruciato da un incendio due giorni fa. A Idlib, nel nord del paese i bombardamenti hanno colpito diversi civili inermi, tra cui anche bambini. E al termine di una giornata in cui si sono contati per l’ennesima volta ben oltre cento morti, Ban Ki Moon ha chiesto al regime di Damasco di avere “pietà” per il proprio popolo. Ma mai come in queste settimane l’Assemblea generale dell’ONU si è trasformata in una tribuna. A intervenire ieri è stato il ministro degli esteri siriano Walid Muallem che ha stigmatizzato il clamore dell’Occidente sulle armi chimiche in mano al regime. “E’ un pretesto analogo a quello delle armi di distruzione di massa usato per invadere l’Iraq nel 2003” ha detto il capo della diplomazia siriana. Muallem ha assicurato che mai le armi chimiche saranno usate contro il popolo ma si è scagliato contro Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Stati Uniti che – per il ministro - “invece di promuovere il dialogo stanno finanziando e armando il terrorismo in Siria per far cadere Bashar al Assad”.
Sulla drammatica situazione in Siria e sull’empasse della comunità internazionale, Benedetta Capelli ha raccolto il commento del prof. Massimo Campanini, docente di Storia contemporanea dei Paesi arabi all’Università di Trento: ascolta
R. – Personalmente, a breve termine, non mi pare di vedere una via d’uscita. Assad è ancora sufficientemente forte, oltretutto non ha perso l’appoggio dell’esercito, delle minoranze etniche su cui ha sempre fondato il suo potere. Dall’altra parte i ribelli sono divisi al loro interno: certamente hanno l’appoggio della Turchia, dell’Arabia Saudita, del Qatar, degli Stati Uniti però se non ci fosse una vera e propria svolta militare, trovo abbastanza difficile che i ribelli possano tenere sotto controllo la situazione, per lo meno in tempi brevi.
D. - Tra l’altro stiamo assistendo proprio ad una sconfitta della diplomazia internazionale, perché né i mediatori Annan né Brahimi stanno riuscendo a trovare un canale per far sì che in Siria si dialoghi e si arrivi ad una soluzione…
R. – Da una parte Assad non vuole mollare la presa e quindi, evidentemente, non è disposto a fare concessioni, che vadano oltre un ridimensionamento puramente formale del suo potere. Dall’altra parte, è vero che la rivolta contro Assad è stata una rivolta del popolo ed è stata una rivolta per la libertà. Però, è anche vero che i ribelli si sono macchiati di stragi –non volevo dirlo perché sembra eccessivo, però bisogna usare le parole quando è necessario – e da questo punto di vista è chiaro che i mediatori internazionali non trovino orecchie disposte ad ascoltarli. Oltretutto, si tratta di mediatori internazionali deboli a loro volta perché non hanno un mandato chiaro alle spalle che giustifichi anche, per esempio, un ultimatum ad Assad, metterlo di fronte ad un fatto compiuto, dicendo: “Tu accetti questa cosa oppure ci saranno delle conseguenze molto gravi per il Paese e per te stesso”.
D. – La componente religiosa può essere di aiuto, di supporto per una pacificazione, secondo lei?
R. – Secondo me no, anzi secondo me la componente religiosa potenzialmente porterebbe ad una deflagrazione dello stato siriano, con l’emergere delle rivalità fra i vari gruppi etnici e religiosi. La Siria è un mosaico non così complesso e così articolato come quello libanese però è sempre e comunque frammentato.
D. – Qual è una via d’uscita?
R. – Io vedrei bene due tipi di soluzione: o una soluzione post-assadiana senza Assad. Non è detto che dopo di lui ci debba essere il diluvio, ci potrebbe essere anche una transizione guidata che potrebbe salvaguardare il sistema politico siriano. Un’altra soluzione, naturalmente sarebbe quella di un rivolgimento completo, basato su una ricomposizione del quadro etnico religioso, che dia veramente spazio ad un governo alternativo a quello di Assad. Allora si potrebbe veramente costruire una nuova Siria, secondo categorie democratiche che, fino ad ora in Siria, non sono state praticate. Tra l’altro, ci si può anche chiedere come faranno i siriani a ricostruire il Paese: avrà bisogno di interventi stranieri, avrà bisogno di un impegno economico da parte degli arabi, soprattutto da parte delle potenze del Golfo. Quest’ultime però darebbero un aiuto ad un eventuale governo siriano solo se questo eventuale governo avesse una prevalenza di sunnismo e quindi garantisse una rottura degli equilibri, soprattutto dell’equilibrio di forze che dalla Siria arriva all’Iran e che preoccupa in maniera estremamente profonda l’Arabia Saudita e le altre monarchie conservatrici.
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Radio Vaticana - Sempre ieri sono state un centinaio, secondo l’opposizione, le vittime mentre la battaglia per ore ha riguardato il suk di Aleppo, patrimonio dell’umanità, i danni sono ormai irreparabili. Intanto un nuovo appello è stato lanciato dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Marina Calculli: ascolta
I combattimenti ad Aleppo sono arrivati fin dentro il suk, il mercato storico della città, già in buona parte bruciato da un incendio due giorni fa. A Idlib, nel nord del paese i bombardamenti hanno colpito diversi civili inermi, tra cui anche bambini. E al termine di una giornata in cui si sono contati per l’ennesima volta ben oltre cento morti, Ban Ki Moon ha chiesto al regime di Damasco di avere “pietà” per il proprio popolo. Ma mai come in queste settimane l’Assemblea generale dell’ONU si è trasformata in una tribuna. A intervenire ieri è stato il ministro degli esteri siriano Walid Muallem che ha stigmatizzato il clamore dell’Occidente sulle armi chimiche in mano al regime. “E’ un pretesto analogo a quello delle armi di distruzione di massa usato per invadere l’Iraq nel 2003” ha detto il capo della diplomazia siriana. Muallem ha assicurato che mai le armi chimiche saranno usate contro il popolo ma si è scagliato contro Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Stati Uniti che – per il ministro - “invece di promuovere il dialogo stanno finanziando e armando il terrorismo in Siria per far cadere Bashar al Assad”.
Sulla drammatica situazione in Siria e sull’empasse della comunità internazionale, Benedetta Capelli ha raccolto il commento del prof. Massimo Campanini, docente di Storia contemporanea dei Paesi arabi all’Università di Trento: ascolta
R. – Personalmente, a breve termine, non mi pare di vedere una via d’uscita. Assad è ancora sufficientemente forte, oltretutto non ha perso l’appoggio dell’esercito, delle minoranze etniche su cui ha sempre fondato il suo potere. Dall’altra parte i ribelli sono divisi al loro interno: certamente hanno l’appoggio della Turchia, dell’Arabia Saudita, del Qatar, degli Stati Uniti però se non ci fosse una vera e propria svolta militare, trovo abbastanza difficile che i ribelli possano tenere sotto controllo la situazione, per lo meno in tempi brevi.
D. - Tra l’altro stiamo assistendo proprio ad una sconfitta della diplomazia internazionale, perché né i mediatori Annan né Brahimi stanno riuscendo a trovare un canale per far sì che in Siria si dialoghi e si arrivi ad una soluzione…
R. – Da una parte Assad non vuole mollare la presa e quindi, evidentemente, non è disposto a fare concessioni, che vadano oltre un ridimensionamento puramente formale del suo potere. Dall’altra parte, è vero che la rivolta contro Assad è stata una rivolta del popolo ed è stata una rivolta per la libertà. Però, è anche vero che i ribelli si sono macchiati di stragi –non volevo dirlo perché sembra eccessivo, però bisogna usare le parole quando è necessario – e da questo punto di vista è chiaro che i mediatori internazionali non trovino orecchie disposte ad ascoltarli. Oltretutto, si tratta di mediatori internazionali deboli a loro volta perché non hanno un mandato chiaro alle spalle che giustifichi anche, per esempio, un ultimatum ad Assad, metterlo di fronte ad un fatto compiuto, dicendo: “Tu accetti questa cosa oppure ci saranno delle conseguenze molto gravi per il Paese e per te stesso”.
D. – La componente religiosa può essere di aiuto, di supporto per una pacificazione, secondo lei?
R. – Secondo me no, anzi secondo me la componente religiosa potenzialmente porterebbe ad una deflagrazione dello stato siriano, con l’emergere delle rivalità fra i vari gruppi etnici e religiosi. La Siria è un mosaico non così complesso e così articolato come quello libanese però è sempre e comunque frammentato.
D. – Qual è una via d’uscita?
R. – Io vedrei bene due tipi di soluzione: o una soluzione post-assadiana senza Assad. Non è detto che dopo di lui ci debba essere il diluvio, ci potrebbe essere anche una transizione guidata che potrebbe salvaguardare il sistema politico siriano. Un’altra soluzione, naturalmente sarebbe quella di un rivolgimento completo, basato su una ricomposizione del quadro etnico religioso, che dia veramente spazio ad un governo alternativo a quello di Assad. Allora si potrebbe veramente costruire una nuova Siria, secondo categorie democratiche che, fino ad ora in Siria, non sono state praticate. Tra l’altro, ci si può anche chiedere come faranno i siriani a ricostruire il Paese: avrà bisogno di interventi stranieri, avrà bisogno di un impegno economico da parte degli arabi, soprattutto da parte delle potenze del Golfo. Quest’ultime però darebbero un aiuto ad un eventuale governo siriano solo se questo eventuale governo avesse una prevalenza di sunnismo e quindi garantisse una rottura degli equilibri, soprattutto dell’equilibrio di forze che dalla Siria arriva all’Iran e che preoccupa in maniera estremamente profonda l’Arabia Saudita e le altre monarchie conservatrici.
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