Diminuisce l'attività produttiva, mentre cresce il ricorso alla cassa integrazione. Riuscirà il governo a rilanciare l'economia? Per Confindustria siamo solo all'inizio. Ecco chi può contribuire a rilanciare la spesa.
Città Nuova - Il consumo di energia elettrica del mese di settembre 2012 è risultato inferiore a quello del corrispondente mese del 2011 di ben il 9,6 per cento. Se la causa prima fosse una riduzione degli sprechi delle famiglie, delle imprese e della pubblica amministrazione, di questa notizia ci sarebbe da rallegrarsi. L’interpretazione più realistica, purtroppo, è che dietro la riduzione del consumo c’è un calo dell’attività produttiva. Un’altra cattiva notizia è un ulteriore aumento dalla cassa integrazione: in base ai dati, da gennaio ad agosto sono state erogate 700 milioni di ore, tanto che nell’insieme del 2012 si teme di arrivare al miliardo . Tutte le notizie che riceviamo parlano concordemente di una recessione economica profonda e prolungata.
È in questo contesto che va collocato l’ultimo tentativo governativo di rilanciare produzione e occupazione: il cosiddetto “decreto sviluppo Monti 2.0” approvato nel Consiglio dei ministri del 4 ottobre, che fa seguito a un decreto con finalità analoghe dello scorso giugno (poi modificato dal parlamento e approvato agli inizi di agosto), nonché al decreto sviluppo del 2011 del governo Berlusconi.
Sarà questo l’insieme di provvedimenti che ci darà il necessario decisivo scrollone? Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, non ne sembra molto convinto, tanto che lo ha definito “un aperitivo”. Non gli si può dar torto. Accelerare la “digitalizzazione” della pubblica amministrazione e dei suoi rapporti con i cittadini, come fa il decreto, è cosa ottima! E benissimo va anche un maggiore sostegno alle nascenti imprese innovative, in inglese start-up, al di là di qualche aspetto discutibile. Il problema è che interventi di questo tipo sono come un automobilista che si fermi sotto la pioggia a sostituire il vecchio motorino del tergicristallo con uno migliore che ha nel bagagliaio, ma non ha i soldi per fare benzina e non sa se quella che ha in serbatoio basterà per arrivare a destinazione. Certamente una migliore visibilità riduce il rischio di incidenti, ma non toglie l’incognita principale sul completamento del viaggio.
Da questo punto di vista anche i provvedimenti presi nello stesso Consiglio dei ministri contro gli abusi della casta non sono che un coadiuvante. Potremmo paragonarli a una pulizia della pompa della benzina: una cosa molto opportuna, che scongiura il pericolo di un’ostruzione e che può anche evitare sgocciolamenti, ma neanch’essa può far molto di fronte alla mancanza dei soldi necessari per riempire il serbatoio.
Anche nel caso della nostra economia perché ci sia una ripresa del livello dell’attività economica nei prossimi trimestri servono soldi; soldi che qualcuno spenda, in aggiunta ai troppo pochi che vengono spesi oggi: i consumatori hanno redditi in calo e imposte in crescita, e anche quando potrebbero ci vanno cauti perché il futuro non appare molto brillante; le imprese, che faticano a vendere quello che producono, non sono certo molto propense ad acquistare nuovi macchinari o a fare grandi ordini di materie prime e semilavorati; la pubblica amministrazione è in piena “spending review” (letteralmente significa “revisione della spesa”, ma di fatto più che rivedere si tratta di tagliare); unica nota positiva, qualcosa più che in passato lo comprano dall’estero (verso il quale le imprese italiane, non riuscendo a vendere in patria, si sono buttate a capofitto a proporre i loro prodotti).
Da chi possiamo allora sperare che possa venire una spinta alla spesa? Potrebbe venire dal settore pubblico, ma solo se si trovasse il modo di ridurre la montagna del debito (proprio qui potrebbero agire proposte come la sottoscrizione obbligatoria di quote di un fondo immobiliare che acquisti e valorizzi caserme dismesse e altre proprietà pubbliche, richiesta ai proprietari di grandi patrimoni, di cui già si è parlato su queste colonne). Potrebbe venire dall’Europa, se anche i paesi “virtuosi” si convincessero che da una crisi come questa non si esce mettendo ancora di più alle strette Grecia, Spagna o Italia, ma piuttosto impegnando i troppi disoccupati in grandi progetti di risanamento ambientale o in materia di fonti alternative di energia, finanziati da Bruxelles. Ancora, la spinta potrebbe venire dai capitali privati. Lì sì c’è capacità di spesa dormiente, e anche tanta. Un tentativo di stimolarli è il credito di imposta per la realizzazione di grandi infrastrutture, previsto dall’articolo 33 del Decreto 2.0, a cui poca attenzione è stata dedicata finora negli articoli di commento. Un’altra speranza che qualcuno torni a spendere è che i proprietari di abitazioni colgano l’opportunità del già esistente credito di imposta (55%) sugli interventi per il risparmio energetico.
Non che non ci sia molto altro di utile da fare. Cito un solo benemerito esempio, le iniziative per avvicinare e formare giovani all’artigianato di manutenzione, un settore in cui la domanda c’è, ma resta in parte insoddisfatta per una strozzatura dell’offerta. Tuttavia, la battaglia per una rapida ripresa dell’occupazione si gioca principalmente sul terreno della spesa.
Città Nuova - Il consumo di energia elettrica del mese di settembre 2012 è risultato inferiore a quello del corrispondente mese del 2011 di ben il 9,6 per cento. Se la causa prima fosse una riduzione degli sprechi delle famiglie, delle imprese e della pubblica amministrazione, di questa notizia ci sarebbe da rallegrarsi. L’interpretazione più realistica, purtroppo, è che dietro la riduzione del consumo c’è un calo dell’attività produttiva. Un’altra cattiva notizia è un ulteriore aumento dalla cassa integrazione: in base ai dati, da gennaio ad agosto sono state erogate 700 milioni di ore, tanto che nell’insieme del 2012 si teme di arrivare al miliardo . Tutte le notizie che riceviamo parlano concordemente di una recessione economica profonda e prolungata.
È in questo contesto che va collocato l’ultimo tentativo governativo di rilanciare produzione e occupazione: il cosiddetto “decreto sviluppo Monti 2.0” approvato nel Consiglio dei ministri del 4 ottobre, che fa seguito a un decreto con finalità analoghe dello scorso giugno (poi modificato dal parlamento e approvato agli inizi di agosto), nonché al decreto sviluppo del 2011 del governo Berlusconi.
Sarà questo l’insieme di provvedimenti che ci darà il necessario decisivo scrollone? Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, non ne sembra molto convinto, tanto che lo ha definito “un aperitivo”. Non gli si può dar torto. Accelerare la “digitalizzazione” della pubblica amministrazione e dei suoi rapporti con i cittadini, come fa il decreto, è cosa ottima! E benissimo va anche un maggiore sostegno alle nascenti imprese innovative, in inglese start-up, al di là di qualche aspetto discutibile. Il problema è che interventi di questo tipo sono come un automobilista che si fermi sotto la pioggia a sostituire il vecchio motorino del tergicristallo con uno migliore che ha nel bagagliaio, ma non ha i soldi per fare benzina e non sa se quella che ha in serbatoio basterà per arrivare a destinazione. Certamente una migliore visibilità riduce il rischio di incidenti, ma non toglie l’incognita principale sul completamento del viaggio.
Da questo punto di vista anche i provvedimenti presi nello stesso Consiglio dei ministri contro gli abusi della casta non sono che un coadiuvante. Potremmo paragonarli a una pulizia della pompa della benzina: una cosa molto opportuna, che scongiura il pericolo di un’ostruzione e che può anche evitare sgocciolamenti, ma neanch’essa può far molto di fronte alla mancanza dei soldi necessari per riempire il serbatoio.
Anche nel caso della nostra economia perché ci sia una ripresa del livello dell’attività economica nei prossimi trimestri servono soldi; soldi che qualcuno spenda, in aggiunta ai troppo pochi che vengono spesi oggi: i consumatori hanno redditi in calo e imposte in crescita, e anche quando potrebbero ci vanno cauti perché il futuro non appare molto brillante; le imprese, che faticano a vendere quello che producono, non sono certo molto propense ad acquistare nuovi macchinari o a fare grandi ordini di materie prime e semilavorati; la pubblica amministrazione è in piena “spending review” (letteralmente significa “revisione della spesa”, ma di fatto più che rivedere si tratta di tagliare); unica nota positiva, qualcosa più che in passato lo comprano dall’estero (verso il quale le imprese italiane, non riuscendo a vendere in patria, si sono buttate a capofitto a proporre i loro prodotti).
Da chi possiamo allora sperare che possa venire una spinta alla spesa? Potrebbe venire dal settore pubblico, ma solo se si trovasse il modo di ridurre la montagna del debito (proprio qui potrebbero agire proposte come la sottoscrizione obbligatoria di quote di un fondo immobiliare che acquisti e valorizzi caserme dismesse e altre proprietà pubbliche, richiesta ai proprietari di grandi patrimoni, di cui già si è parlato su queste colonne). Potrebbe venire dall’Europa, se anche i paesi “virtuosi” si convincessero che da una crisi come questa non si esce mettendo ancora di più alle strette Grecia, Spagna o Italia, ma piuttosto impegnando i troppi disoccupati in grandi progetti di risanamento ambientale o in materia di fonti alternative di energia, finanziati da Bruxelles. Ancora, la spinta potrebbe venire dai capitali privati. Lì sì c’è capacità di spesa dormiente, e anche tanta. Un tentativo di stimolarli è il credito di imposta per la realizzazione di grandi infrastrutture, previsto dall’articolo 33 del Decreto 2.0, a cui poca attenzione è stata dedicata finora negli articoli di commento. Un’altra speranza che qualcuno torni a spendere è che i proprietari di abitazioni colgano l’opportunità del già esistente credito di imposta (55%) sugli interventi per il risparmio energetico.
Non che non ci sia molto altro di utile da fare. Cito un solo benemerito esempio, le iniziative per avvicinare e formare giovani all’artigianato di manutenzione, un settore in cui la domanda c’è, ma resta in parte insoddisfatta per una strozzatura dell’offerta. Tuttavia, la battaglia per una rapida ripresa dell’occupazione si gioca principalmente sul terreno della spesa.
di Benedetto Gui
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