Mercoledì 24 ottobre mons. Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha presentato la sua nuova Lettera Pastorale dedicata a rom e sinti. “Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio. Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio (Ef. 2,20)”. Abbiamo chiesto a Daniela Sironi, responsabile della Comunità di Sant'Egidio in Piemonte, che collabora con l'arcivescovo nell'attenzione ai rom e sinti, di parlarci di questo importante documento.
Comunità di Sant'Egidio - Come è nata l'idea di dedicare una lettera pastorale dedicata a rom e sinti?
Visitando i rom nei campi che sorgono numerosi alla periferia di Torino: l’incontro con le famiglie, con la miseria, le condizioni di vita disumane dei campi e in ultimo, l’attacco incendiario alla Continassa, che ha evidenziato come una cultura razzista fosse presente in alcune frange della nostra città. La Comunità cristiana non poteva ignorarla. Per questo c'era bisogno di una parola nuova, antica come il Vangelo, e proprio per questo fortemente innovativa, per aiutare tutti a guardare ai rom e ai sinti sotto una nuova luce.
Gli oltre 4000 rom che vivono a Torino costituiscono una minoranza tanto disprezzata quanto esclusa dalla vita della città. Con questa lettera l’arcivescovo vuole rimettere i rom al cuore della Chiesa e della città di Torino e ripartire proprio da loro per rifondare una nuova convivenza urbana che sia capace di includere, di avvicinare, di stringere nuovi legami di fraternità e di solidarietà. La lettera vuole proporre un’edizione moderna della santità sociale, così luminosamente espressa dai santi torinesi del passato: affrontare oggi i “problemi” che sembrano irrisolvibili con uno slancio di carità che attraversa la vita quotidiana dei cristiani, ma che è anche una proposta a tutti come nuova frontiera della solidarietà.
A chi è rivolta questa Lettera pastorale?
La lettera si articola in tra parti, rivolte a destinatari diversi: Ai Rom e ai sinti che vivono con noi; ai rappresentanti delle Istituzioni politiche e civili; alle Comunità cristiane della Diocesi. Scrivere ai rom e ai sinti è un gesto di grande stima, di venerazione di un’umanità troppo a lungo umiliata e disprezzata. Una lettera che si rivolge “Ai rom e ai sinti che vivono con noi” con la paternità della Chiesa e la familiarità di chi sente la pena dei loro cuori: esprime amicizia, simpatia, rispetto, fiducia. E’ prima di tutto una parola che incoraggia i rom e i sinti ad avere fiducia, esprimendo la fiducia sua e della Chiesa, ma soprattutto l’amore di Gesù e la presenza si Gesù tra loro. Rom e sinti, cristiani e musulmani, come fratelli e non come estranei. “Il nostro futuro è vivere insieme, come una grande famiglia. In una famiglia si vive insieme, ma nessuno è uguale ad un altro. ... Vorrei farvi sentire l’affetto dell’abbraccio della Chiesa che io rappresento e di tanti torinesi che vi amano; vorrei farvi sentire l’affetto dell’abbraccio di Gesù, Salvatore del mondo, Re dei Re, amico dei poveri, fratello dei Rom e dei Sinti… " Ai rappresentanti delle Istituzioni, che hanno il compito di promuovere il bene comune, anche quello di Rom e Sinti e la responsabilità di garantire il benessere dei cittadini, la lettera, mentre esprime la comprensione per le difficoltà dei tempi e la scarsità dei mezzi, invita però ad un soprassalto di impegno civico per garantire il futuro di tutti a partire dagli ultimi. “Non dite che son tempi difficili per tutti e non ci sono risorse, perché se oggi tanti sono più poveri per la crisi, in un certo senso, i Rom e i Sinti sono in crisi da sempre, anzi, da prima ... Sapremo tutti insieme, garantire il diritto e la dignità alla più numerosa minoranza europea che vive con noi? Sapremo offrire la parità di diritto e di doveri ad un piccolo popolo con molti bambini?”
Infine, una lettera alle comunità cristiane in tutte le sue componenti: parrocchie e associazioni, movimenti e ordini religiosi, un accorato appello alla fraternità cristiana che ha i poveri al centro, perchè ha il Signore Gesù al centro. La proposta di un'adozione speciale, nell'amicizia e nella fraternità, verso le famiglie rom e sinte. "Forse nessuno come i Rom e i Sinti può assommare in sè tutte le povertà di cui parla il Vangelo nel Vangelo di Matteo al cap. 25. Oggi il futuro della Chiesa tra i Rom e i Sinti è la fraternità: vivere con noi la fraternità del Vangelo. Forse potremmo scoprire di avere anche più risorse di quelle che immaginiamo: forse qualcuno potrebbe mettere a disposizione un piccolo alloggio, qualcun altro potrebbe offire un lavoro part time, un altro potrebbe sostenere l'impegno scolastico dei più giovani. Potremmo condividere le feste e le sofferenze, come si fa tra famiglie amiche, potremmo farci compagnia con i nostri anziani e i Rom e i Sinti...forse sogno, ma forse no. Anzi, sì: è il sogno di Gesù, quello di vedere i suoi figli tutti riuniti in una sola famiglia, la Sua famiglia."
C'è anche un documento, presentato insieme alla lettera pastorale, frutto del lavoro congiunto di alcune realtà ecclesiali. Tra queste, la Comunità di Sant'Egidio. Di cosa si tratta?
Si, si intitola "Vogliamo vivere insieme". E' un'innovazione molto importante, perchè contiene l'idea che la lettera pastorale si traduca in azioni concrete, una nuova pratica anche sul piano delle istituzioni e delle politiche. La Comunità di Sant'Egidio è impegnata intensamente accanto ai rom, e non da ieri. E' stato importante scrivere queste pagine insieme ad altre realtà eccelsiali e del volontariato di Torino, per aprire una via per l'integrazione dei rom e dei sinti ed uscire dall'emergenza. Vorremmo aprire un programma decennale di inclusione che metta insieme gli sforzi di tutti gli attori pubblici, ecclesiali, del volontariato, economici e culturali per realizzare il sogno dell'integrazione dei rom e dei sinti e poter offrire un nuovo "modello Torino" che accolga le sfide dell'inclusione del XXI secolo.
Una sfida entusiasmante, che ci ricorda una coincidenza forse non casuale, il 50° anniversario del Concilio Vaticano II. Certo. E' tempo di realizzare la "Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri" che fu il sogno di papa Giovanni, che è - vorrei dire - l'impegno quotidiano di tanti uomini e donne della Comunità di Sant'Egidio - ma non solo. Ed io ho grande fiducia nel fatto che l'accoglienza ai rom sarà il segno di una vera "primavera" della carità, per la Chiesa, ma per tutta la nostra città.
Comunità di Sant'Egidio - Come è nata l'idea di dedicare una lettera pastorale dedicata a rom e sinti?
Visitando i rom nei campi che sorgono numerosi alla periferia di Torino: l’incontro con le famiglie, con la miseria, le condizioni di vita disumane dei campi e in ultimo, l’attacco incendiario alla Continassa, che ha evidenziato come una cultura razzista fosse presente in alcune frange della nostra città. La Comunità cristiana non poteva ignorarla. Per questo c'era bisogno di una parola nuova, antica come il Vangelo, e proprio per questo fortemente innovativa, per aiutare tutti a guardare ai rom e ai sinti sotto una nuova luce.
Gli oltre 4000 rom che vivono a Torino costituiscono una minoranza tanto disprezzata quanto esclusa dalla vita della città. Con questa lettera l’arcivescovo vuole rimettere i rom al cuore della Chiesa e della città di Torino e ripartire proprio da loro per rifondare una nuova convivenza urbana che sia capace di includere, di avvicinare, di stringere nuovi legami di fraternità e di solidarietà. La lettera vuole proporre un’edizione moderna della santità sociale, così luminosamente espressa dai santi torinesi del passato: affrontare oggi i “problemi” che sembrano irrisolvibili con uno slancio di carità che attraversa la vita quotidiana dei cristiani, ma che è anche una proposta a tutti come nuova frontiera della solidarietà.
A chi è rivolta questa Lettera pastorale?
La lettera si articola in tra parti, rivolte a destinatari diversi: Ai Rom e ai sinti che vivono con noi; ai rappresentanti delle Istituzioni politiche e civili; alle Comunità cristiane della Diocesi. Scrivere ai rom e ai sinti è un gesto di grande stima, di venerazione di un’umanità troppo a lungo umiliata e disprezzata. Una lettera che si rivolge “Ai rom e ai sinti che vivono con noi” con la paternità della Chiesa e la familiarità di chi sente la pena dei loro cuori: esprime amicizia, simpatia, rispetto, fiducia. E’ prima di tutto una parola che incoraggia i rom e i sinti ad avere fiducia, esprimendo la fiducia sua e della Chiesa, ma soprattutto l’amore di Gesù e la presenza si Gesù tra loro. Rom e sinti, cristiani e musulmani, come fratelli e non come estranei. “Il nostro futuro è vivere insieme, come una grande famiglia. In una famiglia si vive insieme, ma nessuno è uguale ad un altro. ... Vorrei farvi sentire l’affetto dell’abbraccio della Chiesa che io rappresento e di tanti torinesi che vi amano; vorrei farvi sentire l’affetto dell’abbraccio di Gesù, Salvatore del mondo, Re dei Re, amico dei poveri, fratello dei Rom e dei Sinti… " Ai rappresentanti delle Istituzioni, che hanno il compito di promuovere il bene comune, anche quello di Rom e Sinti e la responsabilità di garantire il benessere dei cittadini, la lettera, mentre esprime la comprensione per le difficoltà dei tempi e la scarsità dei mezzi, invita però ad un soprassalto di impegno civico per garantire il futuro di tutti a partire dagli ultimi. “Non dite che son tempi difficili per tutti e non ci sono risorse, perché se oggi tanti sono più poveri per la crisi, in un certo senso, i Rom e i Sinti sono in crisi da sempre, anzi, da prima ... Sapremo tutti insieme, garantire il diritto e la dignità alla più numerosa minoranza europea che vive con noi? Sapremo offrire la parità di diritto e di doveri ad un piccolo popolo con molti bambini?”
Infine, una lettera alle comunità cristiane in tutte le sue componenti: parrocchie e associazioni, movimenti e ordini religiosi, un accorato appello alla fraternità cristiana che ha i poveri al centro, perchè ha il Signore Gesù al centro. La proposta di un'adozione speciale, nell'amicizia e nella fraternità, verso le famiglie rom e sinte. "Forse nessuno come i Rom e i Sinti può assommare in sè tutte le povertà di cui parla il Vangelo nel Vangelo di Matteo al cap. 25. Oggi il futuro della Chiesa tra i Rom e i Sinti è la fraternità: vivere con noi la fraternità del Vangelo. Forse potremmo scoprire di avere anche più risorse di quelle che immaginiamo: forse qualcuno potrebbe mettere a disposizione un piccolo alloggio, qualcun altro potrebbe offire un lavoro part time, un altro potrebbe sostenere l'impegno scolastico dei più giovani. Potremmo condividere le feste e le sofferenze, come si fa tra famiglie amiche, potremmo farci compagnia con i nostri anziani e i Rom e i Sinti...forse sogno, ma forse no. Anzi, sì: è il sogno di Gesù, quello di vedere i suoi figli tutti riuniti in una sola famiglia, la Sua famiglia."
C'è anche un documento, presentato insieme alla lettera pastorale, frutto del lavoro congiunto di alcune realtà ecclesiali. Tra queste, la Comunità di Sant'Egidio. Di cosa si tratta?
Si, si intitola "Vogliamo vivere insieme". E' un'innovazione molto importante, perchè contiene l'idea che la lettera pastorale si traduca in azioni concrete, una nuova pratica anche sul piano delle istituzioni e delle politiche. La Comunità di Sant'Egidio è impegnata intensamente accanto ai rom, e non da ieri. E' stato importante scrivere queste pagine insieme ad altre realtà eccelsiali e del volontariato di Torino, per aprire una via per l'integrazione dei rom e dei sinti ed uscire dall'emergenza. Vorremmo aprire un programma decennale di inclusione che metta insieme gli sforzi di tutti gli attori pubblici, ecclesiali, del volontariato, economici e culturali per realizzare il sogno dell'integrazione dei rom e dei sinti e poter offrire un nuovo "modello Torino" che accolga le sfide dell'inclusione del XXI secolo.
Una sfida entusiasmante, che ci ricorda una coincidenza forse non casuale, il 50° anniversario del Concilio Vaticano II. Certo. E' tempo di realizzare la "Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri" che fu il sogno di papa Giovanni, che è - vorrei dire - l'impegno quotidiano di tanti uomini e donne della Comunità di Sant'Egidio - ma non solo. Ed io ho grande fiducia nel fatto che l'accoglienza ai rom sarà il segno di una vera "primavera" della carità, per la Chiesa, ma per tutta la nostra città.
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