venerdì, ottobre 05, 2012
Lo ha rilevato il rapporto del Global Footprint Network

GreenReport - A Venezia ha avuto luogo un interessante seminario internazionale organizzato dal Global Footprint Network (www.footprintnetwork.org), insieme all'UNESCO, alla Mava Foundation, al Plan Bleu ed all'Ufficio Mediterraneo del WWF International, per il lancio del nuovo rapporto "Mediterranean Ecological Footprint Trends" particolarmente legato alle riflessioni sul tema più che mai attuale "Why are resource limits now undermining economic performance?" . Il rapporto analizza i trend dell'indicatore dell' impronta ecologica in tutti i paesi della regione mediterranea riflettendo sugli effetti della progressiva perdita dei sistemi naturali e delle risorse disponibili rispetto agli andamenti economici ed alla competitività della regione.

Il Global Footoprint Network è l'organizzazione più autorevole sull'impronta ecologica a livello internazionale ed è presieduta da Mathis Wackernagel, lo studioso che insieme all'ecologo William Rees ha concepito e diffuso il concetto e il metodo di calcolo dell'impronta ecologica in tutto il mondo.

Da vari anni nello staff del Global Footprint Network svolge le funzioni di senior scientist e direttore del programma Mediterraneo uno studioso italiano, Alessandro Galli, formatosi alla scuola del compianto Enzo Tiezzi all'Università di Siena. Alessandro è anche uno degli autori principali di questo rapporto (che può essere scaricato dal sito http://www.footprintnetwork.org/en/index.php/GFN/page/mediterranean_initiative/) .

L'Impronta ecologica, della quale abbiamo scritto parecchio in questa rubrica, misura la domanda antropica nei confronti della biosfera, paragonando i consumi umani con la capacità rigenerativa dei sistemi naturali della Terra che viene definita biocapacità. Il dato dell'impronta ecologica si ottiene calcolando la superficie necessaria per produrre le risorse che le persone consumano, quella occupata da infrastrutture e quella di foresta necessaria per sequestrare la CO2 non assorbita dagli oceani.

I calcoli dell'Impronta nazionale (NFA) contabilizzano le risorse di ogni singolo paese, che insieme vanno a formare l'Impronta ecologica globale. Comprendono le colture e gli stock ittici per l'alimentazione umana e altri usi, il legname, i pascoli e le coltivazioni per i mangimi animali. Attualmente, le emissioni di CO2 rappresentano l'unico prodotto di scarto considerato nel calcolo.

La biocapacità misura la capacità della natura di produrre risorse rinnovabili, fornire territori per le aree edificabili e offrire servizi di assorbimento dei rifiuti, come l'assorbimento di CO2. La biocapacità agisce come punto di riferimento al quale paragonare l'Impronta ecologica.

L'Impronta ecologica non include direttamente l'utilizzo di risorse idriche; tuttavia, ciò è intrinseco nella biocapacità, in quanto la scarsità, o l'inquinamento, delle risorse idriche influiscono direttamente sulla disponibilità e sullo stato della biocapacità stessa.

Impronta ecologica e biocapacità sono espresse in una unità chiamata ettaro globale (gha) - 1 gha rappresenta la biocapacità produttiva di 1 ettaro di superficie con la produttività media mondiale. Secondo i dati dell'ultimo "Living Planet Report 2012" del WWF che è stato reso noto quest'anno, poco prima della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, Rio+20, la biocapacità totale della Terra nel 2008 (ultimo anno cui fare riferimento per la disponibilità completa dei dati che compongono l'impronta ecologica) ammontava a 12,0 miliardi di gha o 1,8 gha pro capite, mentre l'Impronta ecologica dell'umanità a 18,2 miliardi di gha o 2,7 gha pro capite. Tale differenza indica che la biosfera della nostra Terra impiega 1 anno e mezzo per rigenerare completamente le risorse rinnovabili che l'umanità utilizza in solo 1 anno.

L'impronta ecologica costituisce la somma di sei componenti:

(1) l'impronta del carbonio che costituisce la superficie di terreno forestale in grado di assorbire le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione dei combustibili fossili, esclusa la percentuale che viene assorbita dagli oceani,

(2) l'impronta dei pascoli che costituisce la superficie di pascoli utilizzata per l'allevamento di bestiame destinato alla produzione di carne, prodotti caseari, pellame e lana,

(3) l'impronta delle terre coltivate che costituisce la superficie di terre coltivate utilizzata per la coltivazione dei raccolti per cibo e fibre destinati al consumo umano, nonché per i mangimi animali, biocombustibili e gomma,

(4) l'impronta delle foreste che costituisce la superficie di foresta necessaria a fornire polpa, prodotti del legno e legna da ardere,

(5) l'impronta delle zone di pesca che costituisce la superficie marina e di acqua dolce che serve a soddisfare la domanda umana di pesce e frutti di mare basata sui dati sulla pesca delle singole specie,

(6) l' impronta dei terreni edificati che costituisce la superficie di territorio coperta da infrastrutture umane, fra cui quelle per i trasporti, abitazioni, strutture industriali e bacini di riserva per ricavarne energia idroelettrica.

Il rapporto del Global Footprint Network analizza il trend dell'impronta ecologica delle nazioni del Mediterraneo dal 1961 al 2008. In questo periodo l'impronta ecologica pro capite della regione mediterranea è cresciuta del 52% (da 2.1 a 3.1 ettari globali pro capite), mentre la biocapacità segnala un decremento del 16% (da 1.5 a 1.3 ettari globali pro capite).

In meno di 50 anni la regione mediterranea ha quasi triplicato la domanda di risorse naturali e servizi ecologici segnando un incremento del deficit ecologico complessivo di tutta la regione del 230%. Al 2008 l'impronta ecologica eccede la biocapacità locale del 150% e la situazione del deficit ecologico riguarda tutti i paesi del Mediterraneo (Montenegro potrebbe costituire un'eccezione ma i dati sono ancora incompleti per avere un quadro più sicuro della situazione). Più del 50% dell'impronta ecologica totale della regione appartiene a tre paesi che sono la Francia (con il 21%), l'Italia (con il 18%) e la Spagna (con il 14%), mentre tre paesi rappresentano più del 50% della biocapacità della regione e sono la Francia (con il 31%) la Turchia (con il 15%) e l'Italia (con l'11%).

L'Algeria ha sperimentato la modificazione più significativa nel periodo preso in esame, mentre la Siria, la Tunisia e la Turchia sono passate da uno stato di "creditori ecologici" quindi paesi senza un deficit ecologico, a quello di "debitori ecologici" quindi paesi con un deficit ecologico(impronta ecologica superiore alla biocapacità).

Il maggiore deficit ecologico lo registra l'Italia, seguita da Spagna, Francia, Turchia ed Egitto (il nostro paese presenta circa 200 miliardi di ettari globali di deficit ecologico e contribuisce così ad ¼ del deficit totale della regione mediterranea.

Questi dati sono stati analizzati e il seminario di Venezia ha confermato l'importanza di reimpostare un'economia che metta al centro il capitale naturale, la ricchezza della biodiversità e dei servizi eco sistemici che sono la base essenziale e non erodibile del benessere e dello sviluppo delle società umane.

Il futuro della regione mediterranea, qualora dovessero persistere questi trend, sarebbe veramente a forte rischio per tutte le nazioni dell'area.

L'attuale crisi economica e finanziaria deve diventare invece un'occasione per investire nel capitale naturale ed avviare un' autentica Green Economy che finalmente faccia imboccare una strada di sostenibilità ai nostri modelli di sviluppo ed il seminario di Venezia è stata un ulteriore dimostrazione di questa fondamentale necessità.

Gianfranco Bologna


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