Luci e ombre del governo di Chávez. Ancora molto resta da fare: in particolare urge aumentare la sicurezza, migliorare la qualità della democrazia e lavorare per una maggiore coesione sociale
Città Nuova - Inizialmente si parlava di un testa a testa, ma alla fine Hugo Chávez ha prevalso sul candidato dell'opposizione Henrique Capriles con quasi dieci punti di distanza. Dunque, la rivoluzione bolivariana continuerà in Venezuela almeno per i prossimi sei anni, tanto dura il mandato presidenziale. Il processo elettorale, con voto elettronico, è stato definito esemplare dai numerosi osservatori provenienti dall'estero. Lo stesso Capriles ha spiegato loro l'impossibilità di brogli elettorali quando i partiti dispongono di rappresentanti nei seggi, e infatti i due candidati ne avevano schierati 200 mila in tutti il Paese.
I risultati sono stati diffusi dopo le 22 di domenica 7 ottobre, rallentanti solo dal considerevole afflusso di votanti, che hanno continuato a emettere i loro voti tre ore dopo la chiusura delle votazioni, prevista per le 18, e dai centomila voti emessi dai venezuelani all'estero, in modo manuale. Le elezioni si sono svolte in un climatranquillo, dopo che nelle scorse settimane si sono verificati episodi di violenza, con scontri tra gruppi delle due parti che hanno causato almeno due morti. Il candidato dell'opposizione ha riconosciuto la sconfitta ed ha fatto i propri complimenti a Chávez, il quale ha affermato che governerà per tutti i venezuelani.
Chávez governerà dunque fino al 2019, restando al potere per vent'anni, se si considera la sua prima vittoria nel 1998. Senz'altro si devono considerare i progressi ottenuti finora. Il presidente ha ereditato un Paese con la metà degli abitanti oppressi dalla povertà, dove si importava assolutamente di tutto ed era problematico instillare una cultura del lavoro. La classe politica dominante, caratterizzata da elevati livelli di corruzione, aveva favorito gli interessi di un ristretto settore della società.
Ma l'autoelogio che fa Chávez della rivoluzione bolivariana ha in realtà risvolti problematici. Lo stesso presidente ha ammesso gli errori, in una delle rare autocritiche, e principalmente quello di non aver creato strumenti di controllo sull'uso dei fondi pubblici. La corruzione infatti non è stata sconfitta: il Venezuela occupa il 172esimo posto nel ranking della corruzione su 182 Paesi. Le entrate generate dal petrolio negli ultimi dieci hanno hanno totalizzato più di 700 miliardi di dollari e il Pil si è quadruplicato. Ovviamente, il tutto grazie all'aumento del prezzo del greggio. Si tratta di una vera marea di denaro, gestito con molta discrezionalità, che però non è riuscita a combattere efficacemente la povertà nella quale è sommerso ancora il 27,8 per cento della popolazione, né è riuscito a stimolare l'attività economica: nel 1999 esistevano 617 mila aziende, nel 2011 queste si erano ridotte a 447 mila. Migliaia di medici e docenti provenienti da Cuba prestano servizio nel Paese per garantire accesso alla sanità e all'istruzione di vasti settori popolari. Quattordici anni non sono bastati a Chávez per promuovere una efficace riorganizzazione dello Stato. Ma uno dei grandi deficit resta la sicurezza pubblica. Caracas è una delle città meno sicure dell'America latina. Quest'anno ci sono stati 11 mila omicidi in tutto il Paese, l'anno scorso 17 mila. Sono cifre elevatissime considerando i 29 milioni di abitanti.
Questi argomenti spiegano la crescita del malcontento in un Paese fortemente polarizzato. Nelle elezioni precedenti, Chávez aveva ottenuto il 62 per cento dei voti. È vero che anche questa volta ha superato la metà dei voti, ma per poco, mentre il 45 per cento dell'elettorato ha votato contro la sua gestione. Ma va pure detto che l'opposizione raccoglie frutti, più che per meriti propri, per i demeriti di una rivoluzione dai tratti confusi, che risente del personalismo della figura del presidente, il quale non ha generato una nuova leadership, e che confonde sempre più i contorni tra lo Stato e l'apparato partitico, avanzando nel pericoloso terreno delle libertà democratiche e suscitando i fantasmi di un autoritarismo superato nel XXI secolo. Chávez ha promesso di fare meglio e di più. Ma sta di fatto che in Venezuela si colgono con chiarezza due grandi problemi comuni a vari Paesi della regione: migliorare la qualità della democrazia e suscitare una maggiore coesione sociale, che continua ad essere il maggiore deficit dell'America latina.
Alberto Barlocci
Città Nuova - Inizialmente si parlava di un testa a testa, ma alla fine Hugo Chávez ha prevalso sul candidato dell'opposizione Henrique Capriles con quasi dieci punti di distanza. Dunque, la rivoluzione bolivariana continuerà in Venezuela almeno per i prossimi sei anni, tanto dura il mandato presidenziale. Il processo elettorale, con voto elettronico, è stato definito esemplare dai numerosi osservatori provenienti dall'estero. Lo stesso Capriles ha spiegato loro l'impossibilità di brogli elettorali quando i partiti dispongono di rappresentanti nei seggi, e infatti i due candidati ne avevano schierati 200 mila in tutti il Paese.
I risultati sono stati diffusi dopo le 22 di domenica 7 ottobre, rallentanti solo dal considerevole afflusso di votanti, che hanno continuato a emettere i loro voti tre ore dopo la chiusura delle votazioni, prevista per le 18, e dai centomila voti emessi dai venezuelani all'estero, in modo manuale. Le elezioni si sono svolte in un climatranquillo, dopo che nelle scorse settimane si sono verificati episodi di violenza, con scontri tra gruppi delle due parti che hanno causato almeno due morti. Il candidato dell'opposizione ha riconosciuto la sconfitta ed ha fatto i propri complimenti a Chávez, il quale ha affermato che governerà per tutti i venezuelani.
Chávez governerà dunque fino al 2019, restando al potere per vent'anni, se si considera la sua prima vittoria nel 1998. Senz'altro si devono considerare i progressi ottenuti finora. Il presidente ha ereditato un Paese con la metà degli abitanti oppressi dalla povertà, dove si importava assolutamente di tutto ed era problematico instillare una cultura del lavoro. La classe politica dominante, caratterizzata da elevati livelli di corruzione, aveva favorito gli interessi di un ristretto settore della società.
Ma l'autoelogio che fa Chávez della rivoluzione bolivariana ha in realtà risvolti problematici. Lo stesso presidente ha ammesso gli errori, in una delle rare autocritiche, e principalmente quello di non aver creato strumenti di controllo sull'uso dei fondi pubblici. La corruzione infatti non è stata sconfitta: il Venezuela occupa il 172esimo posto nel ranking della corruzione su 182 Paesi. Le entrate generate dal petrolio negli ultimi dieci hanno hanno totalizzato più di 700 miliardi di dollari e il Pil si è quadruplicato. Ovviamente, il tutto grazie all'aumento del prezzo del greggio. Si tratta di una vera marea di denaro, gestito con molta discrezionalità, che però non è riuscita a combattere efficacemente la povertà nella quale è sommerso ancora il 27,8 per cento della popolazione, né è riuscito a stimolare l'attività economica: nel 1999 esistevano 617 mila aziende, nel 2011 queste si erano ridotte a 447 mila. Migliaia di medici e docenti provenienti da Cuba prestano servizio nel Paese per garantire accesso alla sanità e all'istruzione di vasti settori popolari. Quattordici anni non sono bastati a Chávez per promuovere una efficace riorganizzazione dello Stato. Ma uno dei grandi deficit resta la sicurezza pubblica. Caracas è una delle città meno sicure dell'America latina. Quest'anno ci sono stati 11 mila omicidi in tutto il Paese, l'anno scorso 17 mila. Sono cifre elevatissime considerando i 29 milioni di abitanti.
Questi argomenti spiegano la crescita del malcontento in un Paese fortemente polarizzato. Nelle elezioni precedenti, Chávez aveva ottenuto il 62 per cento dei voti. È vero che anche questa volta ha superato la metà dei voti, ma per poco, mentre il 45 per cento dell'elettorato ha votato contro la sua gestione. Ma va pure detto che l'opposizione raccoglie frutti, più che per meriti propri, per i demeriti di una rivoluzione dai tratti confusi, che risente del personalismo della figura del presidente, il quale non ha generato una nuova leadership, e che confonde sempre più i contorni tra lo Stato e l'apparato partitico, avanzando nel pericoloso terreno delle libertà democratiche e suscitando i fantasmi di un autoritarismo superato nel XXI secolo. Chávez ha promesso di fare meglio e di più. Ma sta di fatto che in Venezuela si colgono con chiarezza due grandi problemi comuni a vari Paesi della regione: migliorare la qualità della democrazia e suscitare una maggiore coesione sociale, che continua ad essere il maggiore deficit dell'America latina.
Alberto Barlocci
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