venerdì, novembre 09, 2012

Ad un mese dal Forum di Milano sulla cooperazione internazionale, una riflessione su quanto è stato fatto e su quanto (molto) resta ancora da realizzare.

Città Nuova - A poco più di un mese di distanza dalla celebrazione del Forum della Cooperazione internazionale che si è svolto a Milano (1 e 2 ottobre) mi pare che si possa fare una prima valutazione, anche se molti dei nodi che preesistevano all'evento sono rimasti non risolti. Certamente la scelta del ministro Andrea Riccardi di avviare una grande consultazione, che ha coinvolto tutta la società italiana sulla grande sfida della cooperazione, è un fatto nuovo e assolutamente positivo. Il messaggio del presidente Napoletino, gli interventi di quattro ministri, la presenza di più di mezzo governo, testimoniano un rinnovato interesse, che sembrava spento dalla mancanza di risorse e idee.

Il governo Prodi, con il viceministro alla cooperazione, con l'ipotesi dell'agenzia e con una assemblea analoga a questa, anche se assai meno numerosa, aveva provato con coraggio a rimettere in movimento la cooperazione, legandola alla guerra in Libano e alle responsabilità del nostro Paese nell'area. La caduta del governo e l'impegno in Libano non facilitarono le grandi discussioni e le grandi assemblee. C'erano le risorse, che consolavano molti.

Le quasi duemila persone che hanno partecipato, discusso, ascoltato, sono il segno di un radicamento forte nella società italiana delle grandi questioni che riguardano in primo luogo il Medio Oriente e l'Africa.

Ma proprio il dibattito ha mostrato ancora un approccio vecchio e sviluppista del tema della cooperazione. La crisi del Medio Oriente o la nuova spinta prodotta dalle primavere arabe possa essere intercettata solo con interventi e strategie economiciste, che hanno avuto origine negli anni '60? La vicenda libanese si può spiegare solamente con la parola sviluppo e con progetti di sviluppo? La questione palestinese con lo scandalo di Gaza, dove tutto è rimasto fermo alla guerra del 2009, può essere affrontata con una logica economicista? La Siria, la Libia, non domandano nuovi paradigmi?

Di fronte a situazioni nuove bisogna reinventare la cooperazione, con un nuovo linguaggio che vada oltre l'economicismo e la parola sviluppo. Penso alla parola riconciliazione, che non riguarda solo l'economia ma anche le società, le istituzioni, i rapporti all'interno dei popoli e tra i popoli. Riconciliare i territori e le comunità. Non uno ha usato questa parola.

Lo stesso tema della pace è rimasto periferico. Ci si è accontentati di qualche citazione retorica e niente più. Verrebbe da dire che la ristrettezza delle risorse ha spinto ancora di più sulla via dell'economicismo e dello sviluppismo. Si è parlato molto di sistema Italia, ma il contributo delle regioni e dei comuni, che non compare in nessun modo nel documento finale, è stato largamente ignorato. Non basta far parlare un sindaco o un presidente di regione... Capisco che siamo in tempi non favorevoli per le istituzioni locali, ma non si può cancellare la costituzione.

Il forum è nato da un patto ed esprime un patto tra organizzazioni non governative e ministro della coperazione. Io penso che questo patto debba coinvolgere tutti i soggetti del sistema Italia, dall'intero governo alla società civile. Il disegno di legge sulla cooperazione, in discussione in Parlamento, ne è il banco di prova. Il titolo del forum era: "Muovi l'Italia,cambia il mondo". Io lo rovescerei: "Cambia l'Italia e muovi il mondo". Anche l'Italia della cooperazione deve cambiare molto.

di Massimo Toschi

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