Vescovo di Islamabad: un “magnifico sviluppo”, ma ora serve una legge che “metta la parola fine” agli abusi sulla blasfemia. Sacerdote a Lahore: pietra miliare per la giurisprudenza. Ma gli islamisti attaccano: pressioni del governo sui giudici per l’archiviazione del caso.
Asianews - Il decadimento delle accuse a carico di Rimsha Masih, deciso oggi da un tribunale della capitale, è accolto con gioia e soddisfazione da gran parte della comunità pakistana. Leader cristiani e musulmani plaudono alla decisione dei giudici, che rappresenta un "magnifico sviluppo" della vicenda come afferma il vescovo di Islamabadmons. Rufin Anthony; tuttavia, una frangia islamista non nasconde il proprio risentimento e accusa il governo di aver esercitato "pressioni" sui giudici e di aver "manipolato" la sentenza.
Oggi l'Alta corte di Islamabad - dopo vari aggiornamenti e sospensioni delle sedute - ha prosciolto la 14enne cattolica Rimsha Masih dall'accusa di aver violato la "legge nera", archiviando la vicenda perché il fatto non sussiste. Continua, al contrario, il procedimento a carico dell'imam Khalid Jadoon Chishti, che ha calunniato la minorenne con lo scopo di ottenere la cacciata della comunità cristiana e di impossessarsi di beni, case e proprietà. La vicenda aveva mosso l'opinione pubblica internazionale per la giovane età della ragazza e per l'evidente manipolazione delle accuse di blasfemia, frutto di testimonianze artefatte.
Interpellato da AsiaNews mons. Rufin Anthony parla di "magnifico sviluppo" della vicenda, nella quale "alla fin fine abbiamo visto la magistratura assumere una posizione netta e ferma", a dispetto "delle enormi pressioni ricevute" da gruppi fondamentalisti. Il vescovo di Islamabad aggiunge che "è necessaria una legislazione" chiara che "metta la parola fine" agli abusi compiuti in nome delle leggi sulla blasfemia in Pakistan. "Le minoranze - conclude il prelato - sono già state colpite per troppo tempo".
Di "trionfo della giustizia" parla anche p. John Mall, della diocesi di Lahore (Punjab), in un caso che rappresenta una pietra miliare per la giurisprudenza nei casi di blasfemia. Egli auspica "un analogo impegno delle autorità" anche per le altre vicende tuttora in corso, soprattutto "nella zona centrale del Punjab", teatro di feroci discriminazioni "contro le minoranze". Gli fa eco p. James John, della diocesi di Multan, che auspica di intravedere "un inizio di cambiamento" atteso a lungo. "C'è una lunga lista di innocenti - afferma il prete - in galera per blasfemia, che vanno anch'essi salvaguardati. Rimsha è un simbolo di cambiamento per le minoranze in Pakistan".
Tuttavia, una frangia della società pakistana - quella più vicina all'ala estremista - contesta il proscioglimento e, ribaltando una pratica più volte registrata in passato, parla di "pressioni" sui giudici sul verdetto finale. Fra questi vi è Maulana Mehfooz Khan, del Consiglio dell'ideologia islamica, secondo cui "la magistratura ha subito forti pressioni" da parte della "macchina governativa" e i testimoni "sarebbero stati minacciati" e le loro confessioni manipolate. "Abbiamo le nostre riserve - aggiunge il leader islamico - sulla decisione". Pur essendo contrari in linea di principio agli abusi derivanti dalle leggi sulla blasfemia, conclude l'uomo, "non possiamo tollerare minacce" sui giudici (sic!), nel momento in cui "sono chiamati a decidere".
La frase del leader religioso islamico appare paradossale, visto che fino a oggi sono state proprio le proteste di piazza dei fondamentalisti islamici a determinare arresti arbitrari, condanne sommarie e omicidi extragiudiziali commessi in nome della famigerata "legge nera". Fra i molti casi ricordiamo Asia Bibi, 46enne madre di cinque figli, sul cui capo pende la pena capitale in primo grado, e che a distanza di tre anni i giudici non hanno potuto sinora valutare in appello per la pressione degli estremisti che la vogliono morta. A questo di aggiunge l'impunità verso quanti, singoli individui o folle, uccidono, commettono devastazioni (come avvenuto a Koriyan e Gojra, nel 2009), sequestrano beni e proprietà con il pretesto della blasfemia, nel silenzio o con la connivenza di forze dell'ordine e magistratura.
Asianews - Il decadimento delle accuse a carico di Rimsha Masih, deciso oggi da un tribunale della capitale, è accolto con gioia e soddisfazione da gran parte della comunità pakistana. Leader cristiani e musulmani plaudono alla decisione dei giudici, che rappresenta un "magnifico sviluppo" della vicenda come afferma il vescovo di Islamabadmons. Rufin Anthony; tuttavia, una frangia islamista non nasconde il proprio risentimento e accusa il governo di aver esercitato "pressioni" sui giudici e di aver "manipolato" la sentenza.
Oggi l'Alta corte di Islamabad - dopo vari aggiornamenti e sospensioni delle sedute - ha prosciolto la 14enne cattolica Rimsha Masih dall'accusa di aver violato la "legge nera", archiviando la vicenda perché il fatto non sussiste. Continua, al contrario, il procedimento a carico dell'imam Khalid Jadoon Chishti, che ha calunniato la minorenne con lo scopo di ottenere la cacciata della comunità cristiana e di impossessarsi di beni, case e proprietà. La vicenda aveva mosso l'opinione pubblica internazionale per la giovane età della ragazza e per l'evidente manipolazione delle accuse di blasfemia, frutto di testimonianze artefatte.
Interpellato da AsiaNews mons. Rufin Anthony parla di "magnifico sviluppo" della vicenda, nella quale "alla fin fine abbiamo visto la magistratura assumere una posizione netta e ferma", a dispetto "delle enormi pressioni ricevute" da gruppi fondamentalisti. Il vescovo di Islamabad aggiunge che "è necessaria una legislazione" chiara che "metta la parola fine" agli abusi compiuti in nome delle leggi sulla blasfemia in Pakistan. "Le minoranze - conclude il prelato - sono già state colpite per troppo tempo".
Di "trionfo della giustizia" parla anche p. John Mall, della diocesi di Lahore (Punjab), in un caso che rappresenta una pietra miliare per la giurisprudenza nei casi di blasfemia. Egli auspica "un analogo impegno delle autorità" anche per le altre vicende tuttora in corso, soprattutto "nella zona centrale del Punjab", teatro di feroci discriminazioni "contro le minoranze". Gli fa eco p. James John, della diocesi di Multan, che auspica di intravedere "un inizio di cambiamento" atteso a lungo. "C'è una lunga lista di innocenti - afferma il prete - in galera per blasfemia, che vanno anch'essi salvaguardati. Rimsha è un simbolo di cambiamento per le minoranze in Pakistan".
Tuttavia, una frangia della società pakistana - quella più vicina all'ala estremista - contesta il proscioglimento e, ribaltando una pratica più volte registrata in passato, parla di "pressioni" sui giudici sul verdetto finale. Fra questi vi è Maulana Mehfooz Khan, del Consiglio dell'ideologia islamica, secondo cui "la magistratura ha subito forti pressioni" da parte della "macchina governativa" e i testimoni "sarebbero stati minacciati" e le loro confessioni manipolate. "Abbiamo le nostre riserve - aggiunge il leader islamico - sulla decisione". Pur essendo contrari in linea di principio agli abusi derivanti dalle leggi sulla blasfemia, conclude l'uomo, "non possiamo tollerare minacce" sui giudici (sic!), nel momento in cui "sono chiamati a decidere".
La frase del leader religioso islamico appare paradossale, visto che fino a oggi sono state proprio le proteste di piazza dei fondamentalisti islamici a determinare arresti arbitrari, condanne sommarie e omicidi extragiudiziali commessi in nome della famigerata "legge nera". Fra i molti casi ricordiamo Asia Bibi, 46enne madre di cinque figli, sul cui capo pende la pena capitale in primo grado, e che a distanza di tre anni i giudici non hanno potuto sinora valutare in appello per la pressione degli estremisti che la vogliono morta. A questo di aggiunge l'impunità verso quanti, singoli individui o folle, uccidono, commettono devastazioni (come avvenuto a Koriyan e Gojra, nel 2009), sequestrano beni e proprietà con il pretesto della blasfemia, nel silenzio o con la connivenza di forze dell'ordine e magistratura.
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