mercoledì, novembre 28, 2012
Abu Mazen è a New York e domani mattina chiederà ufficialmente all’Assemblea generale dell’Onu di votare "sì" alla richiesta di adesione della Palestina come Stato non membro.

Radio Vaticana - Sarebbero 15, secondo fonti diplomatiche, i Paesi che daranno il loro appoggio. Divisa l’Europa: via libera della Francia, che si è attirata le critiche degli Stati Uniti, come pure da Spagna, Malta, Cipro e Portogallo. Germania propensa per il "no", mentre la Gran Bretagna ha annunciato che si asterrà dal voto. Il dibattito già si annuncia, dunque, molto acceso anche per il forte disaccordo espresso da Stati Uniti e, ovviamente, da Israele, per i quali si tratta di un errore che impedirà di lavorare per la futura nazione palestinese. La richiesta rallenterà davvero il percorso verso la nascita di uno Stato palestinese? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al collega Ugo Tramballi, inviato del quotidiano Il Sole 24 Ore: ascolta

R. – Rallentare qualcosa che non esiste è difficile. Non c’è un percorso, non c’è un dialogo, non c’è un dibattito. C’è appena stata una "piccola" guerra a Gaza, dove Hamas – che è il partito che propone la lotta permanente – è uscito vincitore, mentre Fatah e l’autorità palestinese di Abu Mazen sono usciti sconfitti. E’ difficile capire di quale processo stiano parlando gli americani e gli israeliani.

D. – L'Europa si presenta a questo appuntamento molto divisa al suo interno: questo è un segnale negativo....

R. – E’ un segnale estremamente negativo. Il fatto che ogni Paese andrà in ordine sparso e in maniera molto divisa, è molto grave: questo contribuisce a mantenere l’opinione che c’è dell’Europa in Medio Oriente, cioè un’Europa che non conta nulla. Del resto non conta nulla nemmeno per Israele, che non ha mai considerato il Vecchio continente un interlocutore: per Israele ci sono solamente gli americani.

D. - Si starebbe lavorando perché Abu Mazen prometta di non adire alla Corte penale internazionale contro Israele per gli insediamenti in Cisgiordania, considerati dall’Anp un ostacolo alla pace. Sarebbe, questo, un primo compromesso?

R. – Volendo, sarebbe il compromesso necessario. Quello che sta chiedendo la Palestina è nulla, perché sta semplicemente chiedendo di passare da entità osservatrice a Paese "osservatore", ma “Paese” per modo di dire. Lo sanno tutti e lo sanno meglio di tutti i palestinesi. L’unico elemento è la capacità che diventando Paese osservatore possa poi partecipare ai lavori del Tribunale internazionale dell’Aia e quindi chiedere che Israele venga incriminato. Se questo ostacolo viene superato, non ci sono altre ragioni per non accettare la richiesta palestinese. Anche se sono convinto che, pur superando questo ostacolo, l’attuale governo israeliano, di estrema destra, si inventerà qualche altra cosa per impedire anche questo piccolo passo avanti verso la lontana indipendenza palestinese. Gli Stati Uniti dovranno stargli dietro.

D. - Su una cosa non ci sono dubbi: anche per le Nazioni Unite si tratta di un ulteriore banco di prova per la sua tenuta…

R. – Le Nazioni Unite sono sempre state così. Quando gli attori coinvolti sono importanti, come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, anche Israele, le Nazioni Unite non servono assolutamente a nulla: sono assemblearismo, utile per fare buone discussioni, ma fine a se stesso.

D. – Si può fare una previsione su come andrà a finire?

R. – L’unica previsione certa è il dato di fatto geopolitico: Gaza ha dimostrato che Israele è sempre più sola, che l’Egitto adesso esiste, certo, con tutti i suoi problemi istituzionali ancora non risolti però ormai l’Egitto c’è. Quindi, attraverso le Nazioni Unite, in maniera pacifica – non dimentichiamo che Israele ha sempre ignorato la parte pacifica della Palestina, perché la richiesta delle Nazioni Unite è una richiesta pacifica - non sono Qassam, non sono razzi, non è terrorismo – Israele non potrà più ignorare la necessità di riprendere un processo di pace.


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