Aumenta il numero dei cronisti minacciati in Campania
Liberainformazione - Guardando la sua auto avvolta dalle fiamme, Tina Palomba ha avuto paura. Da dieci anni scrive di nera e giudiziaria per il quotidiano “Cronache di Caserta”. Ha subito di tutto. Aggressioni in redazione, insulti nelle aule giudiziarie, persino l’ironia dei boss: «Nelle intercettazioni lo slogan è ‘La palomba deve volare’». Ma mai un raid così eclatante: due taniche di benzina incendiate sotto casa con l’obiettivo di farle saltare in aria la macchina. Troppo anche per una coraggiosa cronista di strada. «È un incubo terribile che mi tormenta ogni notte», confessa. Dal 22 giugno scorso la sua attività si è drasticamente ridotta. Prima scriveva quattro articoli al giorno. Ora al massimo due. «A me dispiace molto, ma per tutelarmi l’azienda ha chiesto di rallentare il ritmo. C’è chi sostiene che i giornalisti possano dire ciò che vogliono. Niente di più falso. La libertà d’espressione è un’utopia».
Tina non è la sola a pensarla così. È l’alba dell’11 ottobre 2011, i parenti del boss Salvatore Belviso invadono le stanze di Metropolis, quotidiano d’assalto della provincia di Napoli. La richiesta: «Non stampate quel giornale». «Siamo nelle loro mani», spiega il direttore della radio/tv Giovanni Taranto. «Sanno dove abitiamo, dove lavorano i nostri coniugi e vanno a scuola i nostri figli», dice. La sua filosofia? Prudenza sì, passi indietro no. «Se c’è una notizia si segue, senza fare sconti né al colletto bianco né al camorrista. La nostra non è una scelta di eroismo. Non indossiamo la calzamaglia. Cerchiamo solo di fare il nostro mestiere al meglio. E ciò non dovrebbe comportare gravi rischi in un paese civile».
In Italia sono 925 i giornalisti minacciati dal 2006 a oggi. I nomi spesso sconosciuti. I volti anonimi. A rivelarlo è il rapporto 2011/2012 di Ossigeno per l’informazione, osservatorio sui cronisti vittime di violenze e gravi abusi. «Sono gocce che scavano il marmo», ripete da anni il fondatore, Alberto Spampinato, che denuncia una piaga sotto gli occhi di tutti. Ma di cui nessuno parla: «L’Italia è l’unico paese europeo in cui l’informazione è parzialmente libera. Lo dicono le maggiori istituzioni internazionali e lo dimostrano i nostri dati». Non solo. «Ciò che conosciamo è solo la punta dell’iceberg. Gran parte dei giornalisti minacciati non ha la forza di denunciare. Come le vittime d’usura e stupri, si vergognano della violenza subita». Secondo le stime di Ossigeno sono oltre diecimila le vittime dirette o indirette di intimidazioni su un totale di 110.000 iscritti all’Ordine, per lo più precari. Cifre da capogiro che crescono vertiginosamente: da 78 a 95 casi in un anno con la Campania che scalza dal primato la Calabria raggiungendo quota 22. «Nella nostra regione - commenta il presidente dell’Ordine dei giornalisti campani Ottavio Lucarelli - ci sono pesanti condizionamenti da parte della malavita organizzata. Alcuni colleghi sono sottoposti a forme di tutela. Ma le minacce non hanno impedito ai cronisti di raccontare i fatti in un territorio ad alta densità criminale». A Radio Siani, presidio di legalità nel cuore di Ercolano, Amalia de Simone ha un modo particolare di affrontare le intimidazioni. Ostinazione, ironia e documentazione: sono le parole chiave. «Se vuoi che ti dica che ho paura tanto da non poter dormire la notte, lo faccio», scherza. «Ma in realtà credo che in Italia il problema non siano le minacce. È il precariato la vera pistola puntata alle spalle del cronista».
Pubblicato in "Casablanca" - Le Siciliane
Amalia De Simone |
Tina non è la sola a pensarla così. È l’alba dell’11 ottobre 2011, i parenti del boss Salvatore Belviso invadono le stanze di Metropolis, quotidiano d’assalto della provincia di Napoli. La richiesta: «Non stampate quel giornale». «Siamo nelle loro mani», spiega il direttore della radio/tv Giovanni Taranto. «Sanno dove abitiamo, dove lavorano i nostri coniugi e vanno a scuola i nostri figli», dice. La sua filosofia? Prudenza sì, passi indietro no. «Se c’è una notizia si segue, senza fare sconti né al colletto bianco né al camorrista. La nostra non è una scelta di eroismo. Non indossiamo la calzamaglia. Cerchiamo solo di fare il nostro mestiere al meglio. E ciò non dovrebbe comportare gravi rischi in un paese civile».
In Italia sono 925 i giornalisti minacciati dal 2006 a oggi. I nomi spesso sconosciuti. I volti anonimi. A rivelarlo è il rapporto 2011/2012 di Ossigeno per l’informazione, osservatorio sui cronisti vittime di violenze e gravi abusi. «Sono gocce che scavano il marmo», ripete da anni il fondatore, Alberto Spampinato, che denuncia una piaga sotto gli occhi di tutti. Ma di cui nessuno parla: «L’Italia è l’unico paese europeo in cui l’informazione è parzialmente libera. Lo dicono le maggiori istituzioni internazionali e lo dimostrano i nostri dati». Non solo. «Ciò che conosciamo è solo la punta dell’iceberg. Gran parte dei giornalisti minacciati non ha la forza di denunciare. Come le vittime d’usura e stupri, si vergognano della violenza subita». Secondo le stime di Ossigeno sono oltre diecimila le vittime dirette o indirette di intimidazioni su un totale di 110.000 iscritti all’Ordine, per lo più precari. Cifre da capogiro che crescono vertiginosamente: da 78 a 95 casi in un anno con la Campania che scalza dal primato la Calabria raggiungendo quota 22. «Nella nostra regione - commenta il presidente dell’Ordine dei giornalisti campani Ottavio Lucarelli - ci sono pesanti condizionamenti da parte della malavita organizzata. Alcuni colleghi sono sottoposti a forme di tutela. Ma le minacce non hanno impedito ai cronisti di raccontare i fatti in un territorio ad alta densità criminale». A Radio Siani, presidio di legalità nel cuore di Ercolano, Amalia de Simone ha un modo particolare di affrontare le intimidazioni. Ostinazione, ironia e documentazione: sono le parole chiave. «Se vuoi che ti dica che ho paura tanto da non poter dormire la notte, lo faccio», scherza. «Ma in realtà credo che in Italia il problema non siano le minacce. È il precariato la vera pistola puntata alle spalle del cronista».
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