martedì, novembre 27, 2012
L‘apertura di un Centro internazionale per il dialogo “può aiutare il mondo ad allontanarsi dalla violenza e volgersi alla fiducia reciproca.” È quanto ha detto il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I.

di Carlo Mafera

“Tutti voi siete veri ambasciatori di buona volontà, e il vostro lavoro lascerà un‘eredità di speranza per le generazioni future”. Con queste parole il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I è intervenuto ieri sera a Vienna all’inaugurazione del nuovo Centro internazionale per il dialogo interreligioso e interculturale “Kaiciid”, intitolato al re Adullah Ben Abdulaziz. Al patriarca Bartolomeo è stato affidato il discorso principale della cerimonia d’apertura. Erano presenti anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, i ministri degli Esteri degli Stati fondatori (Arabia Saudita, Spagna e Austria) e il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. “Oggi - ha detto il Patriarca ecumenico - stiamo inaugurando questo centro con grande speranza. Ci siamo uniti per sviluppare un organismo che possa favorire opportunità per sapere che ogni essere umano è un nostro prossimo. Questo messaggio è essenziale per la nostra epoca. In un momento storico in cui le varie fazioni religiose stanno lacerando popoli e nazioni, stiamo vivendo tutti insieme questa notte della religione. Forse, questo incontro è una testimonianza profetica al mondo che un’esperienza di cooperazione e dialogo può e deve espandersi”. È un messaggio che deve arrivare alle leadership di tutte le religioni, ai pulpiti locali e alle “strade di ogni città e villaggio.

L‘apertura di un Centro internazionale per il dialogo può aiutare il mondo ad allontanarsi dalla violenza e volgersi alla fiducia reciproca. “Possiamo passare - ha detto il patriarca Bartolomeo - dal pregiudizio alla buona volontà, dalla buona volontà alla conoscenza, dalla conoscenza alla comprensione, alla comprensione della presenza del soffio di Dio in ogni vita umana. Crediamo che tutta l‘umanità è chiamata a vivere in armonia”. Forti le parole usate dal Patriarca per dire no ad ogni forma di oppressione e distruzione degli altri, perché “in nessun caso la violenza ci spinge più vicini al nostro Dio, ma ci allontana dal divino”. Ed ha aggiunto: “Siamo molto preoccupati: l‘umanità non ha ancora pienamente sviluppato la capacità di dialogo con gli altri. La via della pace passa anche dal rispetto per la libertà di coscienza e di culto e di credere senza coercizione e controllo sugli altri. Preghiamo e speriamo che venga presto il giorno in cui in ogni chiesa, moschea, tempio e luogo santo possa fruire della libertà di coscienza data dal Creatore e di scegliere chi adorare”. “Non dimentichiamo mai - ha quindi concluso Bartolomeo I - che la guerra in nome della religione è una guerra contro la religione. Vivremo in armonia quando ci renderemo conto che uccidere il nostro prossimo è uccidere anche una parte di noi stessi”.

Da parte della Chiesa Cattolica, interessante l’intervento del suo più eminente rappresentante. “Tre – ha detto il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso - sono gli atteggiamenti richiesti ai credenti che vogliono lavorare nel dialogo e sostenere tutto ciò che favorisce la persona umana nelle sue aspirazioni materiali, morali e religiose: rispetto dell‘altro nella sua specificità; conoscenza oggettiva reciproca della tradizioni religiosa di ognuno, specialmente attraverso l‘educazione e collaborazione affinché il nostro pellegrinaggio verso la Verità sia realizzato nella libertà e nella serenità”. Il cardinale ha portato ai partecipanti alla cerimonia inaugurale i saluti di Sua Santità Papa Benedetto XVI, come i suoi più fervidi auguri per il successo dell‘attività di questo Centro per il Dialogo. Ed ha concluso: “Vorrei assicurarvi la cooperazione della Chiesa cattolica”.

In merito al dialogo interreligioso è bene fare un piccolo approfondimento per comprendere la posizione della Chiesa. A tal proposito faccio riferimento ad una lezione-conferenza a cui ho avuto il piacere di assistere qualche tempo fa della professoressa Ilaria Morale all’Università della Santa Croce: un paio dei suoi interventi sono stati illuminanti. Una condizione che costituisce un presupposto delle forme di dialogo – affermò la prof.ssa Morali - è quella indicata da Paolo VI: la coscienza della propria identità. Se come cattolici dimenticassimo la coscienza della nostra identità incorreremmo nello stesso errore di quel fedele che volendo dialogare con un musulmano è disposto a relativizzare il proprio credo. Si dialoga perché nessuno può avere la pretesa di conoscere la verità. In ambito cristiano, il rischio concreto e tangibile in molte pubblicazioni e discorsi è di relativizzare il valore unico della verità della salvezza in Gesù Cristo. Non è questo l’insegnamento del Magistero. Infatti la professoressa Morali dichiarò che “in molti ambienti cattolici in occidente l’imporsi storico e sociologico del cristianesimo ha portato qualche teologo a dichiarare la rinuncia all’assioma dell’unicità del Cristo unico mediatore. Il dialogo talvolta serve per scoprire che cosa ha rivelato Cristo alle altre religioni”. E infine c’è anche una teologia pluralista che presume una pluralità di rivelazioni, tra le quali anche quella di Cristo, ma anche questa teologia non è certo condivisibile.

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