Negli Usa, solo tre giorni al voto per la Casa Bianca. Un sondaggio pubblicato oggi dal Wall Street Journal vede Barack Obama in vantaggio di 6 punti sullo sfidante Mitt Romney, nello Stato decisivo dell’Ohio. Altri sondaggi danno, tuttavia, molto più ravvicinati i due contendenti.
Radio Vaticana - Su quanto potrà accadere nelle ultime battute prima del 6 novembre, Alessandro Gisotti ha chiesto un commento all’americanista del “Sole 24ore” Christian Rocca, raggiunto telefonicamente a New York:
R. – In questo momento, l’arma principale dei candidati è quella della presenza nei comizi, degli incontri nelle contee chiave, quelle che decideranno l’elezione. Ovviamente, accanto a questo, c’è la pioggia di spot televisivi che, in queste ore, inondano le televisioni degli americani che vivono in Ohio, in Florida, in Colorado… In questo momento è dunque importante vedere dove vanno i candidati, quali sono gli Stati, perché da qui si capisce se sono in difficoltà in alcuni Stati o se vogliono addirittura “invadere” il campo considerato dell’avversario.
D. – Quale il punto più forte di Obama e il punto più forte di Romney?
R. – Il punto più forte di Obama è quello sintetizzato dallo slogan che si è sentito più volte dai suoi, quello secondo cui Osama Bin Laden è stato ucciso e la General Motors, l’industria automobilistica americana, è viva. Tutto sommato, può essere criticato o meno, ma ha tenuto in piedi il sistema finanziario americano, il sistema economico americano, dopo la crisi del 2008 e, dal punto di vista della sicurezza nazionale, è il presidente che è riuscito ad individuare ed eliminare l’autore delle stragi dell’11 settembre del 2001. Per quanto riguarda Romney, la parte forte della sua campagna è quella che dice: “Sì, ci ha salvato, ma la situazione non è davvero migliorata”. Ci sono anche gli ultimi dati sulla disoccupazione, che è risalita al 7,9 per cento, e quindi Romney ha impostato la campagna elettorale su un referendum: la situazione era grave nel 2008, ma – dice Romney - in realtà Obama l’ha peggiorata, perché abbiamo aumentato il debito pubblico, la disoccupazione è a livelli storici e dalla crisi l’America non è proprio uscita.
D. – Quale invece il punto debole che potrebbe costare la rielezione ad Obama o l’elezione a Romney?
R. – Obama, se perde le elezioni, le perde per la situazione economica: la gente continua a cercare lavoro, il numero dei poveri è aumentato. La situazione è grave e questo solitamente viene pagato dal presidente in carica. Il problema di Romney è di non risultare perfettamente credibile e affidabile, perché è uno che nel corso della sua vita politica ha cambiato spesso posizione su temi importanti, come quelli della vita, dell’immigrazione.
D. – Il 6 novembre si elegge il presidente, ma c’è anche un’elezione non meno importante, quella di una parte cospicua di deputati e senatori. Che cosa si prevede per il prossimo Congresso?
R. – Le previsioni sono che non ci sarà un cambiamento di maggioranza. Oggi la maggioranza al Senato è dei democratici e la maggioranza alla Camera è dei repubblicani. Si prevede un miglioramento dei democratici alla Camera. Il margine di maggioranza dei repubblicani sarà minore, dopo le elezioni del 6 novembre, e un avanzamento dei repubblicani al Senato, ma non tale da sovvertire la maggioranza.
Radio Vaticana - Su quanto potrà accadere nelle ultime battute prima del 6 novembre, Alessandro Gisotti ha chiesto un commento all’americanista del “Sole 24ore” Christian Rocca, raggiunto telefonicamente a New York:
R. – In questo momento, l’arma principale dei candidati è quella della presenza nei comizi, degli incontri nelle contee chiave, quelle che decideranno l’elezione. Ovviamente, accanto a questo, c’è la pioggia di spot televisivi che, in queste ore, inondano le televisioni degli americani che vivono in Ohio, in Florida, in Colorado… In questo momento è dunque importante vedere dove vanno i candidati, quali sono gli Stati, perché da qui si capisce se sono in difficoltà in alcuni Stati o se vogliono addirittura “invadere” il campo considerato dell’avversario.
D. – Quale il punto più forte di Obama e il punto più forte di Romney?
R. – Il punto più forte di Obama è quello sintetizzato dallo slogan che si è sentito più volte dai suoi, quello secondo cui Osama Bin Laden è stato ucciso e la General Motors, l’industria automobilistica americana, è viva. Tutto sommato, può essere criticato o meno, ma ha tenuto in piedi il sistema finanziario americano, il sistema economico americano, dopo la crisi del 2008 e, dal punto di vista della sicurezza nazionale, è il presidente che è riuscito ad individuare ed eliminare l’autore delle stragi dell’11 settembre del 2001. Per quanto riguarda Romney, la parte forte della sua campagna è quella che dice: “Sì, ci ha salvato, ma la situazione non è davvero migliorata”. Ci sono anche gli ultimi dati sulla disoccupazione, che è risalita al 7,9 per cento, e quindi Romney ha impostato la campagna elettorale su un referendum: la situazione era grave nel 2008, ma – dice Romney - in realtà Obama l’ha peggiorata, perché abbiamo aumentato il debito pubblico, la disoccupazione è a livelli storici e dalla crisi l’America non è proprio uscita.
D. – Quale invece il punto debole che potrebbe costare la rielezione ad Obama o l’elezione a Romney?
R. – Obama, se perde le elezioni, le perde per la situazione economica: la gente continua a cercare lavoro, il numero dei poveri è aumentato. La situazione è grave e questo solitamente viene pagato dal presidente in carica. Il problema di Romney è di non risultare perfettamente credibile e affidabile, perché è uno che nel corso della sua vita politica ha cambiato spesso posizione su temi importanti, come quelli della vita, dell’immigrazione.
D. – Il 6 novembre si elegge il presidente, ma c’è anche un’elezione non meno importante, quella di una parte cospicua di deputati e senatori. Che cosa si prevede per il prossimo Congresso?
R. – Le previsioni sono che non ci sarà un cambiamento di maggioranza. Oggi la maggioranza al Senato è dei democratici e la maggioranza alla Camera è dei repubblicani. Si prevede un miglioramento dei democratici alla Camera. Il margine di maggioranza dei repubblicani sarà minore, dopo le elezioni del 6 novembre, e un avanzamento dei repubblicani al Senato, ma non tale da sovvertire la maggioranza.
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