«La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».
GreenReport - Ce lo ricorda quella cara, vecchia bandiera che si chiama Costituzione della Repubblica italiana. L'Assemblea costituente sembra però non essere riuscita ad essere tanto lungimirante, questa volta: non ha infatti previsto che nell'anno 2012 sarebbe stata non più «aperta a tutti», ma quantomeno a «tutti» quegli studenti ben vestiti per passare indenni mattinate invernali tra i banchi di una scuola senza riscaldamenti accesi. È questo l'allarme/boutade in cui si è lanciato Antonio Saitta, presidente dell'Upi (Unione delle province italiane) per gettare un macigno in quello stagno che sono i tagli governativi agli enti locali. Pur precisando che questa protesta «non è contro la scuola, ma per difenderla», le sue affermazioni non suonano comunque affatto felici, e si stanno concretizzando in un ulteriore boomerang per le province stesse. L'allarme però rimane, e accende la luce una volta di più sulle condizioni disastrate dell'istruzione pubblica italiana e dei luoghi dove poterla esercitare.
Intanto, si sono chiuse ieri le iscrizioni al concorsone per agguantare nuove cattedre per la prima volta dopo 13 anni. A fronte di 11.542 posti disponibili, le domande pervenute al Miur (il ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca) sono 321.210: un a cifra enorme, il doppio di quella preventivata. Sintomatica anch'essa di una cancrena che frena da troppo tempo il mondo dell'istruzione del Bel Paese. Anche Salvatore Settis (ex-direttore della Scuola Normale di Pisa e personaggio di spicco del mondo culturale italiano), oggi sulle pagine dell'Espresso, sottolinea tristemente come negli anni la musica non è poi molto cambiata, dato che anche «questo esecutivo non ha fatto niente per correggere le storture dei governi di centro destra per quanto riguarda la cultura, la ricerca, l'istruzione. Ho stima di Monti ma sono deluso: mentre in Francia e Germania si investe in cultura, qui si taglia. Da questo punto di vista il linguaggio non è cambiato: rimane il dogma del mercato».
Rasenta quasi il grottesco, in questo contesto, l'intervista (a firma di Corrado Zunino) rilasciata a La Repubblica dal ministro dell'Istruzione Francesco Profumo (Nella foto), quando afferma di aver «appena ascoltato il discorso presidenziale di Barack Obama, lo ha detto sette volte: una scuola migliore. La strada è segnata. Le priorità vanno individuate ora, in questo momento di difficoltà». Dovrebbe apparire lapalissiano che un ministro dell'Istruzione affermi che «dobbiamo individuare le priorità del paese, e la scuola è la priorità. È il miglior investimento sul futuro per costruire un paese più moderno». Il problema è che alle buone intenzioni assai raramente seguono dei fatti. Profumo ribadisce che «la scuola è una priorità per il governo Monti», ma alla domanda «i tagli sono finiti? Sono sette anni che i governi italiani tagliano» nicchia rispondendo «ne parliamo con la legge di stabilità approvata». Vedremo.
Qualcosa di buono, però, stavolta emerge. Il ministro Profumo afferma la volontà di portare avanti «un piano programmatico sul tema scuola», così da valutarne «lo stato generale e far sì che il sistema scolastico trovi un nuovo equilibrio di qualità». Crediamo che sia esattamente questo il pedale dell'acceleratore sul quale premere, precisando che un «nuovo equilibrio di qualità» presuppone ulteriori risorse - oltre ad una loro migliore gestione - se non vogliamo diventi semplicemente un eufemismo per ribattezzare un ulteriore compromesso al ribasso.
Guardando in alto - alla dimensione europea - la recente strategia per la promozione della cultura e delle professioni creative, promossa dalla Commissione Ue, ricorda che «in base al rapporto 2010 sulla competitività europea e ad altre fonti i settori della cultura e delle professioni creative incidono sul Pil per una quota compresa fra il 3,3% e il 4,5% e occupano tra 7 e 8,5 milioni di persone. I riscontri a livello europeo, nazionale, regionale e locale confermano l'importanza economica di tali settori, che hanno dimostrato di saper resistere abbastanza bene all'attuale crisi economica».
Non è dunque una battaglia di meri principi da portare avanti, è una sfida lanciata alla qualità del nostro futuro, quella che ci pone lo stato dell'istruzione. Senza un'adeguata capacità formativa, semplicemente sfumerebbero le opportunità offerte dalla nuova manifattura della green economy, consistenti in 15-60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent'anni, ed assieme a questi andrebbero perse tutte quelle professionalità ad alto valore aggiunto sulle quali è necessario focalizzarsi per risalire la china della crisi economica. Siamo dunque disposti a svendere pezzi del nostro futuro pur di tenere spento qualche termosifone?
GreenReport - Ce lo ricorda quella cara, vecchia bandiera che si chiama Costituzione della Repubblica italiana. L'Assemblea costituente sembra però non essere riuscita ad essere tanto lungimirante, questa volta: non ha infatti previsto che nell'anno 2012 sarebbe stata non più «aperta a tutti», ma quantomeno a «tutti» quegli studenti ben vestiti per passare indenni mattinate invernali tra i banchi di una scuola senza riscaldamenti accesi. È questo l'allarme/boutade in cui si è lanciato Antonio Saitta, presidente dell'Upi (Unione delle province italiane) per gettare un macigno in quello stagno che sono i tagli governativi agli enti locali. Pur precisando che questa protesta «non è contro la scuola, ma per difenderla», le sue affermazioni non suonano comunque affatto felici, e si stanno concretizzando in un ulteriore boomerang per le province stesse. L'allarme però rimane, e accende la luce una volta di più sulle condizioni disastrate dell'istruzione pubblica italiana e dei luoghi dove poterla esercitare.
Intanto, si sono chiuse ieri le iscrizioni al concorsone per agguantare nuove cattedre per la prima volta dopo 13 anni. A fronte di 11.542 posti disponibili, le domande pervenute al Miur (il ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca) sono 321.210: un a cifra enorme, il doppio di quella preventivata. Sintomatica anch'essa di una cancrena che frena da troppo tempo il mondo dell'istruzione del Bel Paese. Anche Salvatore Settis (ex-direttore della Scuola Normale di Pisa e personaggio di spicco del mondo culturale italiano), oggi sulle pagine dell'Espresso, sottolinea tristemente come negli anni la musica non è poi molto cambiata, dato che anche «questo esecutivo non ha fatto niente per correggere le storture dei governi di centro destra per quanto riguarda la cultura, la ricerca, l'istruzione. Ho stima di Monti ma sono deluso: mentre in Francia e Germania si investe in cultura, qui si taglia. Da questo punto di vista il linguaggio non è cambiato: rimane il dogma del mercato».
Rasenta quasi il grottesco, in questo contesto, l'intervista (a firma di Corrado Zunino) rilasciata a La Repubblica dal ministro dell'Istruzione Francesco Profumo (Nella foto), quando afferma di aver «appena ascoltato il discorso presidenziale di Barack Obama, lo ha detto sette volte: una scuola migliore. La strada è segnata. Le priorità vanno individuate ora, in questo momento di difficoltà». Dovrebbe apparire lapalissiano che un ministro dell'Istruzione affermi che «dobbiamo individuare le priorità del paese, e la scuola è la priorità. È il miglior investimento sul futuro per costruire un paese più moderno». Il problema è che alle buone intenzioni assai raramente seguono dei fatti. Profumo ribadisce che «la scuola è una priorità per il governo Monti», ma alla domanda «i tagli sono finiti? Sono sette anni che i governi italiani tagliano» nicchia rispondendo «ne parliamo con la legge di stabilità approvata». Vedremo.
Qualcosa di buono, però, stavolta emerge. Il ministro Profumo afferma la volontà di portare avanti «un piano programmatico sul tema scuola», così da valutarne «lo stato generale e far sì che il sistema scolastico trovi un nuovo equilibrio di qualità». Crediamo che sia esattamente questo il pedale dell'acceleratore sul quale premere, precisando che un «nuovo equilibrio di qualità» presuppone ulteriori risorse - oltre ad una loro migliore gestione - se non vogliamo diventi semplicemente un eufemismo per ribattezzare un ulteriore compromesso al ribasso.
Guardando in alto - alla dimensione europea - la recente strategia per la promozione della cultura e delle professioni creative, promossa dalla Commissione Ue, ricorda che «in base al rapporto 2010 sulla competitività europea e ad altre fonti i settori della cultura e delle professioni creative incidono sul Pil per una quota compresa fra il 3,3% e il 4,5% e occupano tra 7 e 8,5 milioni di persone. I riscontri a livello europeo, nazionale, regionale e locale confermano l'importanza economica di tali settori, che hanno dimostrato di saper resistere abbastanza bene all'attuale crisi economica».
Non è dunque una battaglia di meri principi da portare avanti, è una sfida lanciata alla qualità del nostro futuro, quella che ci pone lo stato dell'istruzione. Senza un'adeguata capacità formativa, semplicemente sfumerebbero le opportunità offerte dalla nuova manifattura della green economy, consistenti in 15-60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent'anni, ed assieme a questi andrebbero perse tutte quelle professionalità ad alto valore aggiunto sulle quali è necessario focalizzarsi per risalire la china della crisi economica. Siamo dunque disposti a svendere pezzi del nostro futuro pur di tenere spento qualche termosifone?
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