Deludono i film premiati, ma è l'intera manifestazione ad aver volato basso, quest'anno
Città Nuova - Siamo onesti. I film premiati alla settima edizione della rassegna di Roma sono in gran parte modesti. Abbiamo già detto che il film di Paolo Franchi, "E la chiamano estate", premiato con la miglior regia, è un lavoro che, per quanto possa esser sincero – cosa di cui nessuno dubita – pure ripete un cliché di storie di ossessioni morbose già viste. E il clamore intorno al nudo di Isabella Ferrari (Miglior attrice) ed altre sequenze del film fa capire che non basta essere autori solitari e intellettuali per fare qualcosa di riuscito, o perlomeno che entri nel cuore del pubblico. Il quale, qualunque cosa ne pensino i registi “creatori”, ha del fiuto e anche del buon senso. Viene da pensare: ma certi registi dove vivono? Non sono stanchi di far passare per valori dei dis-valori e di trovare almeno un punto di possibilità di vita nelle storie complicate che raccontano? Questo vale anche per Larry Clark, cui è stato dato il Marco Aurelio d’oro per il solito film adolescenziale a base di sesso e droga in salsa texana, questa volta.
Forse c’è davvero tanto buio nel nostro tempo. E il pubblico viaggia in cerca di altre risorse, se è vero che ha premiato un film come "The motel life", che non è un capolavoro, ma una apprezzabile opera prima sul rapporto fra due fratelli, pieno di fantasia e di tenerezza. Anche il film di Giovannesi, "Alì ha gli occhi azzurri", ripete la storia del “ragazzo di vita” pasoliniano, certo attualizzata, se è vero che Alì è un egiziano incompreso dai suoi e perciò ribelle. Interessante, ma non è una novità.
Diciamolo, che il festival quest’anno ha volato basso. E non si parla solo di calo di presenze, di biglietti, di star, tutte cose comunque vere. Ma di vita. Si è andati sul già visto, troppo spesso, e i premi lo dimostrano.
La gente ora ha voglia di cose diverse. Più autentiche. Ci permettiamo di suggerire ai registi un poco di umiltà nell’accettare cosa pensa il pubblico e anche i critici, lasciandoli liberi di esprimere – con educazione – il loro parere. «Nessuno nasce imparato», si dice a Napoli.
E tanti auguri al direttore Marco Müller per esser riuscito, nonostante tutto, ad andare in porto. Speriamo in meglio, il prossimo anno. Ma meno male che c’è la sezione "Alice in città", dove si vede davvero qualcosa di interessante come alcuni documentari, tipo quello prezioso su Giuliano Montaldo di Marco Spagnoli, e persone intelligenti come James Franco a dare un po’ di respiro.
di Mario Dal Bello
Città Nuova - Siamo onesti. I film premiati alla settima edizione della rassegna di Roma sono in gran parte modesti. Abbiamo già detto che il film di Paolo Franchi, "E la chiamano estate", premiato con la miglior regia, è un lavoro che, per quanto possa esser sincero – cosa di cui nessuno dubita – pure ripete un cliché di storie di ossessioni morbose già viste. E il clamore intorno al nudo di Isabella Ferrari (Miglior attrice) ed altre sequenze del film fa capire che non basta essere autori solitari e intellettuali per fare qualcosa di riuscito, o perlomeno che entri nel cuore del pubblico. Il quale, qualunque cosa ne pensino i registi “creatori”, ha del fiuto e anche del buon senso. Viene da pensare: ma certi registi dove vivono? Non sono stanchi di far passare per valori dei dis-valori e di trovare almeno un punto di possibilità di vita nelle storie complicate che raccontano? Questo vale anche per Larry Clark, cui è stato dato il Marco Aurelio d’oro per il solito film adolescenziale a base di sesso e droga in salsa texana, questa volta.
Forse c’è davvero tanto buio nel nostro tempo. E il pubblico viaggia in cerca di altre risorse, se è vero che ha premiato un film come "The motel life", che non è un capolavoro, ma una apprezzabile opera prima sul rapporto fra due fratelli, pieno di fantasia e di tenerezza. Anche il film di Giovannesi, "Alì ha gli occhi azzurri", ripete la storia del “ragazzo di vita” pasoliniano, certo attualizzata, se è vero che Alì è un egiziano incompreso dai suoi e perciò ribelle. Interessante, ma non è una novità.
Diciamolo, che il festival quest’anno ha volato basso. E non si parla solo di calo di presenze, di biglietti, di star, tutte cose comunque vere. Ma di vita. Si è andati sul già visto, troppo spesso, e i premi lo dimostrano.
La gente ora ha voglia di cose diverse. Più autentiche. Ci permettiamo di suggerire ai registi un poco di umiltà nell’accettare cosa pensa il pubblico e anche i critici, lasciandoli liberi di esprimere – con educazione – il loro parere. «Nessuno nasce imparato», si dice a Napoli.
E tanti auguri al direttore Marco Müller per esser riuscito, nonostante tutto, ad andare in porto. Speriamo in meglio, il prossimo anno. Ma meno male che c’è la sezione "Alice in città", dove si vede davvero qualcosa di interessante come alcuni documentari, tipo quello prezioso su Giuliano Montaldo di Marco Spagnoli, e persone intelligenti come James Franco a dare un po’ di respiro.
di Mario Dal Bello
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