Alla ricerca di una globalizzazione fraterna. Vittorio Tranquilli e una vicenda poco nota nella guerra balcanica. Intervista a Luigi Accattoli
Città Nuova - Con i meccanismi della delocalizzazione del lavoro, siamo abituati all’idea di un mercato che premia la competizione senza tregua come unica strada per restare in vita. Questa logica, come osservano gli studiosi dell’economia civile, finisce per invadere ogni aspetto della vita arrivando ad impedire la percezione del volto dell’altro. Esistono, tuttavia, vicende di straordinaria umanità che mostrano i segni di un’insopprimibile ribellione morale. Pochi sanno, ad esempio, che durante la guerra nell’ex Jugoslavia, nel 1989, mentre le bombe distruggevano la fabbrica di automobili Zastava, ora acquisita dalla Fiat grazie ai notevoli incentivi del governo serbo, partiva una grande manifestazione di solidarietà dei lavoratori metalmeccanici che decisero di adottare a distanza le famiglie degli operai rimasti senza lavoro e senza reddito. Nonostante la guerra, il collegamento diretto fu assicurato grazie alla traduzione resa possibile da un’operaia serba che lavorava a Cassino, dall’azione in prima linea di Vittorio Tranquilli. Un'intera vita dedicata allo studio e all’impegno sociale che ha avuto la sua fine terrena a 87 anni, nel luglio del 2012.
Un infaticabile cercatore di “fatti di Vangelo” come Luigi Accattoli (nella foto), che lo conosceva bene, lo ha ricordato in alcuni scritti. Da questa esperienza giungono elementi importanti per intuire alcuni tratti del mondo contemporaneo.
Vittorio Tranquilli ha saputo dare spazio a relazioni solidali tra operai serbi e italiani nel mezzo di un conflitto complesso e senza regole come quello dell’ex Yugoslavia. Ci può dire qualcosa in più di quest’uomo che ha vissuto laicamente la radicalità evangelica?
«Vittorio era un cristiano senza Chiesa, se è possibile dire così. Ben preparato, però, culturalmente. Nella sua produzione saggistica mostra di conoscere bene la Scrittura, i Padri della Chiesa, persino il dibattito teologico più recente. Tranquilli era “naturaliter cristiano” e da cristiano si è sempre comportato, ma grande era il suo pudore di praticante discontinuo. I familiari raccontano che pregava qualche volta e si accostava ai sacramenti, ma era in questo un irregolare: soltanto la figura di Gesù lo affascinava davvero. Nel resoconto scritto nel 2003 di una visita in Guinea Bissau – dopo l’ex Jugoslavia è stata l’Africa il terreno del suo volontariato – riferisce un colloquio con un missionario cattolico che così riassume la sostanza della propria predicazione: “Ciò che realmente importa è solo la fede nel Dio vivente, in Gesù Cristo con il suo Spirito, e nella Bibbia come parola di Dio attraverso la storia”. In queste parole io vedo espresso il cristianesimo di Vittorio che della sua fede personale non parlava mai. Penso che oggi siano numerosi i cristiani senza Chiesa come lui».
La sua vicenda esemplare di “volontario laico” porta in evidenza il percorso poco conosciuto di quei cristiani che non si arrendono al nuovo ordine imposto da una globalizzazione che induce a una competizione senza quartiere tra i lavoratori di Paesi diversi…
«Come era “naturaliter cristiano” così altrettanto nativamente Vittorio era un cittadino del mondo e un educatore alla mondialità. Nel raccogliere a Roma aiuti per le scuole delle zone di guerra tra Serbia e Bosnia, o per quelle della Guinea Bissau, egli si ispirava a una fratellanza senza confini che era sicuramente fondata sul comando evangelico della fraternità universale ma che – si direbbe – non aveva bisogno, per operare e contagiare, di nessuna motivazione espressa in parole. Voleva che la globalizzazione economica fosse accompagnata da una globalizzazione della solidarietà per la quale sentiva di essere nato».
Tranquilli proveniva dalla stessa scuola di Napoleoni, l’economista che, prima di morire, ha lasciato il messaggio sempre più attuale del “cercare ancora” perché vedeva come chiave di volta dei tempi futuri la riscoperta dell’«altro»: «Non è solo una persona, è anche un fratello. Se l’altro non è libero non sono libero neanche io».
«Ho conosciuto personalmente Claudio Napoleoni, nonché Franco Rodano, che insieme sono stati i maestri – si direbbe – di Vittorio Tranquilli. Ritengo importante la loro lezione per il raccordo tra la pedagogia del solidarismo cristiano e quella – più simile di quanto non si creda – del solidarismo laico».
A suo giudizio ci sono oggi in Italia esperienze e percorsi che mantengono questo orizzonte di pensiero e di azione?
«Credo che vi siano e che trovino la loro migliore espressione nel volontariato internazionale, quello che aveva ringiovanito il mio amico Vittorio giunto all’età della pensione. I nostri giovani che partono per fare i cooperatori in ogni parte del Sud del mondo sono tra loro molto simili, sia che provengano da famiglie cristiane, sia da famiglie secolarizzate o decisamente laiche. Penso che domani i due filoni siano destinati a un reciproco riconoscimento e a una schietta alleanza».
Città Nuova - Con i meccanismi della delocalizzazione del lavoro, siamo abituati all’idea di un mercato che premia la competizione senza tregua come unica strada per restare in vita. Questa logica, come osservano gli studiosi dell’economia civile, finisce per invadere ogni aspetto della vita arrivando ad impedire la percezione del volto dell’altro. Esistono, tuttavia, vicende di straordinaria umanità che mostrano i segni di un’insopprimibile ribellione morale. Pochi sanno, ad esempio, che durante la guerra nell’ex Jugoslavia, nel 1989, mentre le bombe distruggevano la fabbrica di automobili Zastava, ora acquisita dalla Fiat grazie ai notevoli incentivi del governo serbo, partiva una grande manifestazione di solidarietà dei lavoratori metalmeccanici che decisero di adottare a distanza le famiglie degli operai rimasti senza lavoro e senza reddito. Nonostante la guerra, il collegamento diretto fu assicurato grazie alla traduzione resa possibile da un’operaia serba che lavorava a Cassino, dall’azione in prima linea di Vittorio Tranquilli. Un'intera vita dedicata allo studio e all’impegno sociale che ha avuto la sua fine terrena a 87 anni, nel luglio del 2012.
Un infaticabile cercatore di “fatti di Vangelo” come Luigi Accattoli (nella foto), che lo conosceva bene, lo ha ricordato in alcuni scritti. Da questa esperienza giungono elementi importanti per intuire alcuni tratti del mondo contemporaneo.
Vittorio Tranquilli ha saputo dare spazio a relazioni solidali tra operai serbi e italiani nel mezzo di un conflitto complesso e senza regole come quello dell’ex Yugoslavia. Ci può dire qualcosa in più di quest’uomo che ha vissuto laicamente la radicalità evangelica?
«Vittorio era un cristiano senza Chiesa, se è possibile dire così. Ben preparato, però, culturalmente. Nella sua produzione saggistica mostra di conoscere bene la Scrittura, i Padri della Chiesa, persino il dibattito teologico più recente. Tranquilli era “naturaliter cristiano” e da cristiano si è sempre comportato, ma grande era il suo pudore di praticante discontinuo. I familiari raccontano che pregava qualche volta e si accostava ai sacramenti, ma era in questo un irregolare: soltanto la figura di Gesù lo affascinava davvero. Nel resoconto scritto nel 2003 di una visita in Guinea Bissau – dopo l’ex Jugoslavia è stata l’Africa il terreno del suo volontariato – riferisce un colloquio con un missionario cattolico che così riassume la sostanza della propria predicazione: “Ciò che realmente importa è solo la fede nel Dio vivente, in Gesù Cristo con il suo Spirito, e nella Bibbia come parola di Dio attraverso la storia”. In queste parole io vedo espresso il cristianesimo di Vittorio che della sua fede personale non parlava mai. Penso che oggi siano numerosi i cristiani senza Chiesa come lui».
La sua vicenda esemplare di “volontario laico” porta in evidenza il percorso poco conosciuto di quei cristiani che non si arrendono al nuovo ordine imposto da una globalizzazione che induce a una competizione senza quartiere tra i lavoratori di Paesi diversi…
«Come era “naturaliter cristiano” così altrettanto nativamente Vittorio era un cittadino del mondo e un educatore alla mondialità. Nel raccogliere a Roma aiuti per le scuole delle zone di guerra tra Serbia e Bosnia, o per quelle della Guinea Bissau, egli si ispirava a una fratellanza senza confini che era sicuramente fondata sul comando evangelico della fraternità universale ma che – si direbbe – non aveva bisogno, per operare e contagiare, di nessuna motivazione espressa in parole. Voleva che la globalizzazione economica fosse accompagnata da una globalizzazione della solidarietà per la quale sentiva di essere nato».
Tranquilli proveniva dalla stessa scuola di Napoleoni, l’economista che, prima di morire, ha lasciato il messaggio sempre più attuale del “cercare ancora” perché vedeva come chiave di volta dei tempi futuri la riscoperta dell’«altro»: «Non è solo una persona, è anche un fratello. Se l’altro non è libero non sono libero neanche io».
«Ho conosciuto personalmente Claudio Napoleoni, nonché Franco Rodano, che insieme sono stati i maestri – si direbbe – di Vittorio Tranquilli. Ritengo importante la loro lezione per il raccordo tra la pedagogia del solidarismo cristiano e quella – più simile di quanto non si creda – del solidarismo laico».
A suo giudizio ci sono oggi in Italia esperienze e percorsi che mantengono questo orizzonte di pensiero e di azione?
«Credo che vi siano e che trovino la loro migliore espressione nel volontariato internazionale, quello che aveva ringiovanito il mio amico Vittorio giunto all’età della pensione. I nostri giovani che partono per fare i cooperatori in ogni parte del Sud del mondo sono tra loro molto simili, sia che provengano da famiglie cristiane, sia da famiglie secolarizzate o decisamente laiche. Penso che domani i due filoni siano destinati a un reciproco riconoscimento e a una schietta alleanza».
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.