Abu Mazen: chiederemo all'Onu di bloccare i nuovi insediamenti israeliani
Radio Vaticana - Il presidente palestinese, Abu Maze,n ha detto di volersi rivolgere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per fermare i nuovi 1.500 insediamenti a Gerusalemme Est annunciati, per la seconda volta in poche settimane, dal governo israeliano di Benyamin Netanyahu. I cristiani di Terra Santa vivono con grande difficoltà questa situazione di perdurante tensione. In occasione delle imminenti difficoltà natalizie, il custode francescano di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, esorta i cristiani a non abbandonarsi allo sconforto, ma di continuare ad essere “pietre vive in questa terra in cui siamo stati chiamati a vivere”. Ma quale la strategia dello Stato ebraico? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Janichi Cingoli, direttore del Cipmo, Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente: ascolta
R. - Netanyahu si sente forte, non trova competitori nelle prossime elezioni di fine gennaio e si rivolge all’elettorato del centrodestra: i sondaggi, in questo momento, gli danno ragione. Di fatto questa decisione rappresenta un po’ anche una sfida agli Stati Uniti: Obama, dopo la rielezione, ha mantenuto un atteggiamento che può essere definito di distacco, non ostile, ma certamente non di coinvolgimento come nel precedente mandato. Tutto questo ha creato un forte irrigidimento a livello europeo: molti Stati hanno convocato gli ambasciatori israeliani per significare la loro disapprovazione per questa decisione. Quindi, c’è una situazione di crescente disconnessione, di isolamento di Israele verso l’Europa, di crescente tensione a livello internazionale e di forza all’interno del Paese.
D. - La presa di posizione israeliana ha, questa volta, un significato nuovo alla luce dell’ingresso della Palestina all’Onu, tanto più che il presidente Abu Mazen ha chiesto l’intervento del Consiglio di sicurezza…
R. - Ha un senso perché vuole essere una reazione a questo voto che riconosce che è uno Stato e questo gli dà il diritto di dire foro internazionale, come anche alla Corte internazionale di giustizia. Ovviamente, questa è una cosa che può essere intrapresa per gli insediamenti decisi dopo quel voto, come in questo caso.
Radio Vaticana - Il presidente palestinese, Abu Maze,n ha detto di volersi rivolgere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per fermare i nuovi 1.500 insediamenti a Gerusalemme Est annunciati, per la seconda volta in poche settimane, dal governo israeliano di Benyamin Netanyahu. I cristiani di Terra Santa vivono con grande difficoltà questa situazione di perdurante tensione. In occasione delle imminenti difficoltà natalizie, il custode francescano di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, esorta i cristiani a non abbandonarsi allo sconforto, ma di continuare ad essere “pietre vive in questa terra in cui siamo stati chiamati a vivere”. Ma quale la strategia dello Stato ebraico? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Janichi Cingoli, direttore del Cipmo, Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente: ascolta
R. - Netanyahu si sente forte, non trova competitori nelle prossime elezioni di fine gennaio e si rivolge all’elettorato del centrodestra: i sondaggi, in questo momento, gli danno ragione. Di fatto questa decisione rappresenta un po’ anche una sfida agli Stati Uniti: Obama, dopo la rielezione, ha mantenuto un atteggiamento che può essere definito di distacco, non ostile, ma certamente non di coinvolgimento come nel precedente mandato. Tutto questo ha creato un forte irrigidimento a livello europeo: molti Stati hanno convocato gli ambasciatori israeliani per significare la loro disapprovazione per questa decisione. Quindi, c’è una situazione di crescente disconnessione, di isolamento di Israele verso l’Europa, di crescente tensione a livello internazionale e di forza all’interno del Paese.
D. - La presa di posizione israeliana ha, questa volta, un significato nuovo alla luce dell’ingresso della Palestina all’Onu, tanto più che il presidente Abu Mazen ha chiesto l’intervento del Consiglio di sicurezza…
R. - Ha un senso perché vuole essere una reazione a questo voto che riconosce che è uno Stato e questo gli dà il diritto di dire foro internazionale, come anche alla Corte internazionale di giustizia. Ovviamente, questa è una cosa che può essere intrapresa per gli insediamenti decisi dopo quel voto, come in questo caso.
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