mercoledì, dicembre 19, 2012
Il centro d’accoglienza dopo l’incendio del 2011 può ospitare solo 250 persone. Tutti gli altri dormono fuori. Il mare mosso non consente trasferimenti, mentre la popolazione dell’isola ha esaurito le scorte di coperte e vestiario.  

Città Nuova - Passeggiano tranquillamente per via Roma o sostano sulle panchine di piazza Piave. Fermano i passanti per chiedere qualche spicciolo o per vendere delle sigarette di contrabbando. Tantissimi invece frequentano la parrocchia e chiedono croci e rosari per pregare. La quotidianità degli oltre 800 migranti sbarcati a Lampedusa in queste ultime settimane è fatta di tutto questo. Escono dal Centro di accoglienza da un buco nella rete di recensione e girano indisturbati e senza disturbare. Nessuna rivolta, nessuna rivendicazione.

Alcuni magrissimi arrivano dall’Eritrea: sono soprattutto giovani, donne e bambini. Altri sono somali e non mostrano gli stenti della fame, anzi vogliono vestiti alla moda, perché credono che su questo scoglio del Mediterraneo sia cominciata per loro una nuova vita. L’emergenza pasti è scongiurata: ogni giorno a tutti è garantito cibo sufficiente, non altrettanto per le cure mediche e per gli alloggi. Dentro la struttura di contrada Imbriacola dormono in 250, nel cortile esterno i rimanenti, circa 600. Dopo l’incendio del settembre 2011, le strutture non sono state riparate e i posti sono insufficienti. Le coperte non ci sono e l’appello dei volontari agli isolani per raccoglierle non ha sortito i risultati sperati. «Abbiamo esaurito anche le nostre scorte – commenta Enza, fotografa e instancabile volontaria dei giorni difficili del marzo 2010-. Abbiamo chiesto aiuto alle comunità siciliane. Il mare grosso di questi giorni non ha consentito l’attracco di nessuna nave e siamo a corto non solo di vestiario per loro, ma anche dei viveri per noi». Le navi non arrivano neppure per prelevare i migranti soccorsi instancabilmente dalla Guardia costiera. Lampedusa da luogo di passaggio, con una permanenza massima di 48 ore, è tornata ad essere un centro d’accoglienza a cielo aperto per gli scampati al mare.

Il sindaco Giusi Nicolini ha chiesto al Governo di evitare l’emergenza e di aumentare il numero dei trasferimenti riattivando la rete dei centri e delle comunità alloggio nel resto del Paese. Pur apprezzando la collaborazione con la prefettura di Agrigento, il primo cittadino avverte le autorità sull’aumento degli sbarchi e sulla necessità di prepararsi adeguatamente ad affrontarli. Il mese scorso la Nicolini aveva lanciato un appello anche all’Unione Europea ricordando che in appena quattro mesi di mandato ha dovuto seppellire 21 persone, soprattutto donne e bambini. «Sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra – continua la Nicolini-. Questo tributo di vite umane non è il deterrente per calmierare i flussi».

Denuncia che le motovedette donate dal governo italiano alla Libia non sono impiegate per i soccorsi, che vengono sistematicamente ignorati e lasciati alla Guardia costiera del nostro Paese. E aggiunge provocatoriamente: «Se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze, dopo ogni annegato che mi viene consegnato, come se avesse la pelle bianca».

Ci si prepara al Natale, qui l’accoglienza non cessa, come non cessa la speranza negli occhi giovani degli ultimi sbarcati, affamati di futuro e di vita.


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