Oltre alle 50 presenti sulla propria bandiera, gli Stati Uniti hanno collezionato nella loro storia economica un numero di stelle ben più numeroso. Oggi, Apple è indubbiamente una delle più brillanti, fenomeno di costume e simbolo della new economy. Peccato i prodotti con la mela siano, sì, «designed in California», ma ormai da tempo «assembled in China». La musica adesso però sembra cambiare.
GreenReport - Le note sono le stesse che hanno contribuito grandemente alla rielezione del presidente Barack Obama, e raccontano di una America che vira verso la reindustrializzazione. Timidamente, certo. Ma è comunque significativo che Apple abbia deciso di investire nel 2013 100 milioni di dollari per tornare a produrre una linea di Mac negli Stati Uniti. È la prima volta dagli anni '90, quando la manifattura Apple decise di andare a produrre nella più economica Asia. In ogni caso, rappresenta una svolta.
Nel 2007, era evidente come la crisi finanziaria costituisse l'onda d'urto conseguente alla bolla dei mutui subprime, scoppiata in America. Si alzò il dito ad indicare la finanza facilissima e liberissima come colpevole responsabile, iniziando ad elaborare delle briglie adatte per frenarla. Iniziarono a circolare addirittura voci ora quasi soffocate, circa la pericolosità di una diseguaglianza dei redditi sempre più ampia, e del conseguente ed eccessivo ricorso al debito dei privati per garantirsi uno stile di vita opulento che altrimenti non avrebbero potuto permettersi. Poi, il ricorso alle tasche pubbliche per tamponare i danni della finanza - col conseguente gonfiarsi dei debiti sovrani - ha cancellato tutto: d'improvviso, la crisi è stata rinominata come quella dei debiti pubblici, e si è estesa a contagiare il resto dell'economia. Dopo quasi sei anni, l'Europa è pressoché ancora ferma a questo punto. Dall'America, invece, cominciano dunque a susseguirsi segnali di rinnovamento.
Tanto che l'annuncio Apple, arrivato direttamente dall'amministratore delegato dell'azienda di Cupertino, Tim Cook, si accompagna ad una forte rivendicazione: «Guardando all'impatto avuto da Apple sull'occupazione negli Stati Uniti stimiamo di aver creato oltre 600mila posti di lavoro», comprendendo nella stima quelli riguardanti l'indotto. «Abbiamo la responsabilità di creare occupazione», ha rincarato Cook.
Una mossa alla ricerca di un colpo d'immagine, ma anche dettata dal clima favorevole creato dal presidente Obama, come dai vantaggi legati alla delocalizzazione in assottigliamento. Ma il rimpatrio - sottolinea oggi il Sole24Ore - offre «anche e soprattutto nuove dimostrazioni di una progressiva spinta alla reindutrializzazione del paese, il cosiddetto "reshoring", da parte di note e meno note firme della Corporate America. Un rimpatrio legato a ben più che a scelte di singole aziende: in gioco il recupero della competitività degli Stati Uniti e l'alleggerimento di tensioni all'estero che danneggiano sofisticate quanto delicate reti di furniture, soprattutto nella tecnologia [...] Apple, all'avaguardia quando si tratta di innovazione, non vuole trovarsi fanalino di coda di una rinascita manifatturiera».
La stessa rinascita che la Commissione europea vorrebbe far fiorire anche nel Vecchio Continente. Con la consapevolezza, sempre più diffusa, che un mondo di sola finanza costituisce un castello di carta, pronto ad incendiarsi in ogni momento con i piromani della speculazione. In un mondo di risorse scarse, non è però possibile proseguire sulla strada del tutto consentito, purché si produca. L'industria sostenibile (e, conseguentemente, un consumo sostenibile), attenta agli equilibri sociali e ambientali oltre che a quelli economici, giocoforza non potrà essere una replica del modello proposto in passato. La reindustrializzazione ci permette di ripensare ad un «un'economia a ciclo chiuso», come l'ha definita anche il commissario europeo Antonio Tajani. Dai giganti dell'industria moderna, Apple compresa, si aspetta il buon esempio. Anche questa, citando Cook è una «responsabilità» che non può essere trascurata.
GreenReport - Le note sono le stesse che hanno contribuito grandemente alla rielezione del presidente Barack Obama, e raccontano di una America che vira verso la reindustrializzazione. Timidamente, certo. Ma è comunque significativo che Apple abbia deciso di investire nel 2013 100 milioni di dollari per tornare a produrre una linea di Mac negli Stati Uniti. È la prima volta dagli anni '90, quando la manifattura Apple decise di andare a produrre nella più economica Asia. In ogni caso, rappresenta una svolta.
Nel 2007, era evidente come la crisi finanziaria costituisse l'onda d'urto conseguente alla bolla dei mutui subprime, scoppiata in America. Si alzò il dito ad indicare la finanza facilissima e liberissima come colpevole responsabile, iniziando ad elaborare delle briglie adatte per frenarla. Iniziarono a circolare addirittura voci ora quasi soffocate, circa la pericolosità di una diseguaglianza dei redditi sempre più ampia, e del conseguente ed eccessivo ricorso al debito dei privati per garantirsi uno stile di vita opulento che altrimenti non avrebbero potuto permettersi. Poi, il ricorso alle tasche pubbliche per tamponare i danni della finanza - col conseguente gonfiarsi dei debiti sovrani - ha cancellato tutto: d'improvviso, la crisi è stata rinominata come quella dei debiti pubblici, e si è estesa a contagiare il resto dell'economia. Dopo quasi sei anni, l'Europa è pressoché ancora ferma a questo punto. Dall'America, invece, cominciano dunque a susseguirsi segnali di rinnovamento.
Tanto che l'annuncio Apple, arrivato direttamente dall'amministratore delegato dell'azienda di Cupertino, Tim Cook, si accompagna ad una forte rivendicazione: «Guardando all'impatto avuto da Apple sull'occupazione negli Stati Uniti stimiamo di aver creato oltre 600mila posti di lavoro», comprendendo nella stima quelli riguardanti l'indotto. «Abbiamo la responsabilità di creare occupazione», ha rincarato Cook.
Una mossa alla ricerca di un colpo d'immagine, ma anche dettata dal clima favorevole creato dal presidente Obama, come dai vantaggi legati alla delocalizzazione in assottigliamento. Ma il rimpatrio - sottolinea oggi il Sole24Ore - offre «anche e soprattutto nuove dimostrazioni di una progressiva spinta alla reindutrializzazione del paese, il cosiddetto "reshoring", da parte di note e meno note firme della Corporate America. Un rimpatrio legato a ben più che a scelte di singole aziende: in gioco il recupero della competitività degli Stati Uniti e l'alleggerimento di tensioni all'estero che danneggiano sofisticate quanto delicate reti di furniture, soprattutto nella tecnologia [...] Apple, all'avaguardia quando si tratta di innovazione, non vuole trovarsi fanalino di coda di una rinascita manifatturiera».
La stessa rinascita che la Commissione europea vorrebbe far fiorire anche nel Vecchio Continente. Con la consapevolezza, sempre più diffusa, che un mondo di sola finanza costituisce un castello di carta, pronto ad incendiarsi in ogni momento con i piromani della speculazione. In un mondo di risorse scarse, non è però possibile proseguire sulla strada del tutto consentito, purché si produca. L'industria sostenibile (e, conseguentemente, un consumo sostenibile), attenta agli equilibri sociali e ambientali oltre che a quelli economici, giocoforza non potrà essere una replica del modello proposto in passato. La reindustrializzazione ci permette di ripensare ad un «un'economia a ciclo chiuso», come l'ha definita anche il commissario europeo Antonio Tajani. Dai giganti dell'industria moderna, Apple compresa, si aspetta il buon esempio. Anche questa, citando Cook è una «responsabilità» che non può essere trascurata.
Luca Aterini
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