mercoledì, dicembre 12, 2012
Riproponiamo un articolo del nostro primo direttore, testimone dei passi del Vaticano II su un tema fondamentale per l'umanità, per la fede, per la politica. «La dialettica fra i Padri non logora la fratellanza»

Città Nuova - Paolo VI esorta a pregare per l’imminente sessione del Concilio Vaticano II: tutti gli spiriti liberi fidano nelle sue formulazioni, le quali saranno il coronamento di lavori già ricchi di risultati religiosi, morali, civili. Esse verteranno innanzi tutto sul tema della libertà religiosa: un tema che comporta problemi ardui di teologia e di morale, di politica e di diritto. Anche per questa quarta sessione il sinodo risulterà probabilmente il più grande nella storia. Negli altri si trattò di rivendicare i titoli della divinità, della maternità di Maria, della dignità del magistero gerarchico... In questo si tratta di rivendicare i titoli dell’umanità redenta, tra cui quello della libertà di ogni creatura – la libertà dei figli di Dio – in un’epoca che ha visto le più spettacolari manomissioni dei diritti primordiali dell’uomo. Persino le riforme liturgiche, sopra tutto nella celebrazione della messa, son definite da uno specialista, H. A. Reinhold (su New Blackfriars), segni libertà; che – dice – certi conservatori non approvano, perché «rifiutano di essere liberi... e non capiscono che qui abbiamo un vero caso di educazione alla libertà». Il decreto De Ecclesia inculca una coscienza della libertà nei laici stessi, apparsi sinora inerti, e cioè ignari della loro responsabilità.

La libertà – pare un paradosso, ma a studiarci sopra si vede che è la realtà – è una conquista del cristianesimo. Il Vangelo è il manuale della vita liberata dalla tirannide politica, morale, monetiera. Il mondo antico, tranne intuizioni isolate, di saggi, da Isaia a Socrate, intendeva per libertà l’emergenza di una persona o di un gruppo sugli altri. L’alta spiritualità dei greci è condensata da Festugière nell’aforisma: «L’uomo è schiavo e poi muore». Di là dalla Bibbia, domina il fatalismo, e cioè la credenza in una forza dispotica cieca sovrammessa agli stessi dei. Quando uno schiavo del Palatino, come il martire Euelpisto dice al giudice, che pure era un filosofo collega di Marco Aurelio: «Sono schiavo di Cesare, ma libero di Cristo», enuncia una di quelle innovazioni che facevano inorridire gli statisti e i magistrati antichi, i quali le definivano «sovversivismo, rivoluzione, peste...››.

[...] Il Concilio ha fatto e farà affermazioni importanti su questo tema, che, ripeto, è capitale in un’epoca, nella quale il materialismo sta cacciando gli uomini contro lo spigolo d’un dilemma: pane o libertà. Il Concilio risponde: pane e libertà. Il dilemma ricorre in Dostoiewski, il quale si riferisce a una religione asservita alla politica: e questa religione non è certo quella del Concilio.

La libertà religiosa è la applicazione di tale principio al fatto religioso. Già dai suoi tempi sant’Agostino insegnava che una conversione religiosa coatta non vale: non ha senso. Dio ci ha fatti liberi e cioè capaci di optare tra il male e il bene: e nel male si comprende persino la rivolta a Dio. La vera libertà è libertà dal male, non dal bene: questa porta alla schiavitù spirituale, preludio di morte. Perciò, in certo senso, ogni libertà ha una origine e una essenza religiosa, perché sempre è «libertà dei figli di Dio». La libertà che fa il male è attentato ai diritti altrui: alla altrui libertà.

Il Comitato esecutivo del Consiglio mondiale delle Chiese molto si attende dalle definizioni conciliari sulla libertà religiosa. E così i corpi direttivi delle altre religioni, e le organizzazioni culturali e politiche più attente a questi valori. Ci saranno dibattiti fra i Padri conciliari? Lo speriamo. Il dialogo è vita; la discussione illumina le menti e scopre verità. In riviste americane si nota con sorpresa che tra i vescovi corrono dissensi in aula e poi sorrisi d’amicizia fuori. Bene: vuol dire – e questo deve essere se vale la carità – che la dialettica non logora la fratellanza.

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