Il libro scritto da Filippo Conticello per la Round Robin racconta le storie di chi ha denunciato i propri estorsori dimostrando che è possibile opporsi al racket
“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità” fu lo slogan che il 29 agosto del 2004 riecheggiò a Palermo grazie ad un gruppo di giovani che lanciò un grido di speranza che si è riprodotto dal sud al nord Italia senza mai più fermarsi. Fra le strade della capitale di Cosa Nostra comparvero inaspettatamente adesivi e striscioni che lanciavano un messaggio di ribellione nato sulla scia del gesto coraggioso di Libero Grassi, il primo martire della lotta contro il racket, ucciso barbaramente nel 1991 per non aver accettato lo squallido compromesso imposto dalla mafia. Ogni anno i figli dell’imprenditore posizionavano sulla tomba del padre un cartello che ricordava il suo gesto eroico, finché il giorno del tredicesimo anniversario Alice e Davide Grassi ricevettero un sostegno inatteso che riuscì a risvegliare le coscienze di gran parte dei commercianti locali. Nacque così “Addiopizzo”, un’associazione che operò una rivoluzione culturale in un territorio martoriato dal racket.
Filippo Conticello descrive la lotta contro questo cancro sociale nel suo libro “L’isola che c’è. La Sicilia che si ribella al pizzo”, edito dalla Round Robin, dove il pizzo è definito un disvalore in grado di alimentare il circuito mafioso e rafforzare il potere della criminalità organizzata: il racket è un meccanismo economico che impedisce lo sviluppo e costringe le imprese a vivere nella mediocrità rinunciando all’eccellenza. Tano Grasso, presidente della Fai (Federazione Nazionale delle Associazioni Antiracket e Antiusura), cura l’introduzione del volume e offre un quadro completo di quella che è stata una vera e propria “rivoluzione copernicana”, che ha visto per la prima volta un popolo ribellarsi all’imperativo della mafia “pagare poco, ma pagare tutti”. Così l’unione della gente onesta e dei commercianti determinati ha permesso questa “primavera palermitana”, raccontata nel testo attraverso una storia collettiva che è un esempio per tutti coloro che ancora non hanno scelto la strada della libertà e preferiscono chiudere la propria attività anziché denunciare gli estorsori. Tuttora c’è una fascia di commercianti e imprenditori che subiscono 1300 reati al giorno: è un dato allarmante che si unisce al rapporto Censis che dice che se negli ultimi anni non ci fosse stato il pizzo il meridione sarebbe cresciuto quanto il Nord, creando 180.000 unità di lavoro regolare annuo. Mentre oggi la “Mafia Spa” registra un fatturato da 90 miliardi di euro l’anno, mettendosi in tasca il 7% del Pil nazionale.
Il libro offre una testimonianza di coraggio grazie alle storie di chi ha saputo ribellarsi al pizzo nonostante la paura, le minacce, le intimidazioni. Il sostegno da parte delle associazioni, delle forze dell’ordine, delle autorità governative è stato indispensabile: per esempio il patto Stato-Imprese prevedeva sanzioni per coloro che non avrebbero denunciato i loro estorsori o addirittura l’espulsione da Confindustria, la sospensione della licenza e l’esclusione dai finanziamenti o dalle agevolazioni previste dalla legge n°44 del 1999 che consente l’accesso al Fondo di solidarietà per il ristoro dei danni subiti.
In seguito alla morte di Libero Grassi nel 1991 e quella di Gaetano Giordano, il profumiere di Gela, avvenuta nel 1992, ci fu la rinascita, e non solo del popolo siciliano ma anche di quello calabrese: gli “attacchini abusivi” contro la Mafia comparvero anche a Vibo Valentia, poi “Addiopizzo” esordì sul web lanciando il suo sito e avviò la campagna intitolata “Contro il pizzo cambia i consumi”, che consisteva nel convincere i consumatori a fare i propri acquisti nei negozi dove non si pagava il cosiddetto “scrocco” (in dialetto siciliano). La propaganda coinvolse 3.500 palermitani e i nomi di coloro che aderirono furono pubblicate sul Giornale di Sicilia, grazie all’appoggio di Pietro Grasso, all’epoca a capo della Procura di Palermo. Seguirono gli spot pubblicitari prima nelle tv locali poi in quelle nazionali e ancora la 1° Giornata Pizzo-Free che si svolse in Piazza Magione, nel quartiere popolare della Kalsa, dove nacquero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Oggi naturalmente l’attività dell’associazione va avanti e l’opposizione al pizzo continua ad essere una nobile espressione di lotta alla mafia. Il pizzo fra l’altro, come abbiamo appena visto, strangola l’economia italiana, specie quella del Sud. Ma oggi chi dice no al racket sa di non essere più solo in questa battaglia!
“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità” fu lo slogan che il 29 agosto del 2004 riecheggiò a Palermo grazie ad un gruppo di giovani che lanciò un grido di speranza che si è riprodotto dal sud al nord Italia senza mai più fermarsi. Fra le strade della capitale di Cosa Nostra comparvero inaspettatamente adesivi e striscioni che lanciavano un messaggio di ribellione nato sulla scia del gesto coraggioso di Libero Grassi, il primo martire della lotta contro il racket, ucciso barbaramente nel 1991 per non aver accettato lo squallido compromesso imposto dalla mafia. Ogni anno i figli dell’imprenditore posizionavano sulla tomba del padre un cartello che ricordava il suo gesto eroico, finché il giorno del tredicesimo anniversario Alice e Davide Grassi ricevettero un sostegno inatteso che riuscì a risvegliare le coscienze di gran parte dei commercianti locali. Nacque così “Addiopizzo”, un’associazione che operò una rivoluzione culturale in un territorio martoriato dal racket.
Filippo Conticello descrive la lotta contro questo cancro sociale nel suo libro “L’isola che c’è. La Sicilia che si ribella al pizzo”, edito dalla Round Robin, dove il pizzo è definito un disvalore in grado di alimentare il circuito mafioso e rafforzare il potere della criminalità organizzata: il racket è un meccanismo economico che impedisce lo sviluppo e costringe le imprese a vivere nella mediocrità rinunciando all’eccellenza. Tano Grasso, presidente della Fai (Federazione Nazionale delle Associazioni Antiracket e Antiusura), cura l’introduzione del volume e offre un quadro completo di quella che è stata una vera e propria “rivoluzione copernicana”, che ha visto per la prima volta un popolo ribellarsi all’imperativo della mafia “pagare poco, ma pagare tutti”. Così l’unione della gente onesta e dei commercianti determinati ha permesso questa “primavera palermitana”, raccontata nel testo attraverso una storia collettiva che è un esempio per tutti coloro che ancora non hanno scelto la strada della libertà e preferiscono chiudere la propria attività anziché denunciare gli estorsori. Tuttora c’è una fascia di commercianti e imprenditori che subiscono 1300 reati al giorno: è un dato allarmante che si unisce al rapporto Censis che dice che se negli ultimi anni non ci fosse stato il pizzo il meridione sarebbe cresciuto quanto il Nord, creando 180.000 unità di lavoro regolare annuo. Mentre oggi la “Mafia Spa” registra un fatturato da 90 miliardi di euro l’anno, mettendosi in tasca il 7% del Pil nazionale.
Il libro offre una testimonianza di coraggio grazie alle storie di chi ha saputo ribellarsi al pizzo nonostante la paura, le minacce, le intimidazioni. Il sostegno da parte delle associazioni, delle forze dell’ordine, delle autorità governative è stato indispensabile: per esempio il patto Stato-Imprese prevedeva sanzioni per coloro che non avrebbero denunciato i loro estorsori o addirittura l’espulsione da Confindustria, la sospensione della licenza e l’esclusione dai finanziamenti o dalle agevolazioni previste dalla legge n°44 del 1999 che consente l’accesso al Fondo di solidarietà per il ristoro dei danni subiti.
In seguito alla morte di Libero Grassi nel 1991 e quella di Gaetano Giordano, il profumiere di Gela, avvenuta nel 1992, ci fu la rinascita, e non solo del popolo siciliano ma anche di quello calabrese: gli “attacchini abusivi” contro la Mafia comparvero anche a Vibo Valentia, poi “Addiopizzo” esordì sul web lanciando il suo sito e avviò la campagna intitolata “Contro il pizzo cambia i consumi”, che consisteva nel convincere i consumatori a fare i propri acquisti nei negozi dove non si pagava il cosiddetto “scrocco” (in dialetto siciliano). La propaganda coinvolse 3.500 palermitani e i nomi di coloro che aderirono furono pubblicate sul Giornale di Sicilia, grazie all’appoggio di Pietro Grasso, all’epoca a capo della Procura di Palermo. Seguirono gli spot pubblicitari prima nelle tv locali poi in quelle nazionali e ancora la 1° Giornata Pizzo-Free che si svolse in Piazza Magione, nel quartiere popolare della Kalsa, dove nacquero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Oggi naturalmente l’attività dell’associazione va avanti e l’opposizione al pizzo continua ad essere una nobile espressione di lotta alla mafia. Il pizzo fra l’altro, come abbiamo appena visto, strangola l’economia italiana, specie quella del Sud. Ma oggi chi dice no al racket sa di non essere più solo in questa battaglia!
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